PREMIO GIORNALISTICO 20 ANNI DI ASA


Articolo n.1

Le radici degli ultimi “ 150 anni di gusti e sapori d’Italia” sono in terra di Sicilia.


Allignano in misura significativa a Salemi (Prov. di Trapani) cittadina della Valle del Belice, che alla luce della Delibera del Decurionato del 13 maggio 1860 è ritenuta Prima capitale d’Italia. Con tanto orgoglio dell’estroso sindaco Vittorio Sgarbi. Salemi fu tappa importante della spedizione dei mille. Qui, per la prima volta, un panel consistente e di cultura gastronomica eterogenea poté degustare e comunicare quei piatti che oggi sono considerati parte di un unicum culinario nazionale. ”E’ storia riportata da fonti attendibili –dice la giovane dottoressa salemitana Giuliana Giammarinaro che il 10 novembre scorso ha conseguito la Laurea in Scienze e tecnologie della comunicazione alla “Libera Università di Lingue e Comunicazione” in Milano, discutendo l’ ottima tesi “ I mille sgarbi a Salemi” col professore Alberto Abruzzese- Nella mia Salemi, dove il Generale Garibaldi si fermò per due giorni e mezzo, dal 13 al 15 maggio del 1860, è stato automaticamente avviato anche il percorso di unificazione enogastronomica d’Italia. I riferimenti storici pur citati nella tesi portano a quel 13 maggio quando il generale con i suoi mille proveniente da Marsala raggiunse Salemi. Per arrivare a Salemi aveva fatto un cammino tutt’altro che agevole –sottolinea Giammarinaro- da Marsala a Salemi non esisteva alcun tratto di collegamento che poteva essere definito strada. La stragrande maggioranza della truppa camminò a piedi sotto il sole cocente tra campagne desolate, lungo viottoli di collina, tortuosi e con salite ripide e disagevoli. La fatica rese all’estremo le forze di quegli uomini che la storia ci consegna quali esempi di coraggio e di sacrificio. Considerata la situazione Garibaldi, per far rifocillare e riposare i suoi, informato a Marsala della presenza in prossimità di Salemi dell’antico Feudo di Rampingallo, mandò due uomini che operavano in avanscoperta ad informare, dell’arrivo e delle esigenze delle camicie rosse, il gabellotto del feudo Alberto Mistretta (gabellotto, nella Sicilia del tempo, era la figura di affittuario di un latifondo del quale ne curava la conduzione mediante coloni). Mistretta, già al corrente e simpatizzante degli ideali di unificazione dell’Italia, si mise subito a disposizione, prodigandosi di buon grado a far trovare ai protagonisti dell’unificazione d’Italia prelibate “tipicità siciliane”. E fu lì, in quella splendida cornice di vigneti e colture agricole che centinaia di persone di città del nord e di altre regioni d’Italia hanno avuto la prima occasione di conoscere, apprezzare e poi propagandare nelle loro città, i gusti e i sapori della nuova Italia. Le citazioni storiche tramandano che ad onorare i palati dei garibaldini in quel di Rampingallo fu la caponata, le olive Nocellara del Belice, il pecorino siciliano(che sulle colline di Salemi vanta origini storiche. Citazione ne Il libro d’oro della Cucina e dei vini di SiciliaMursia Ed. 1976 – Pino Correnti autore), il pomodoro secco ripieno, il famoso pane di Salemi, i fichi secchi, il vino catarratto. Dopo il ristoro Garibaldi, col suo Stato Maggiore, fu accompagnato in Città, a Palazzo Torralta, residenza del Marchese Gaetano Emanuele di Torralta. Personaggio che si mostrò molto predisposto ad accogliere il generale. Tant’è che lo ospitò fino al mattino del 15 maggio. A Palazzo Torralta, il Generale e i suoi ufficiali furono deliziati a tavola con diversi piatti tipici che il Marchese fece preparare in grande abbondanza. Si tramanda di ben 40 pietanze con 20 intramezzi, oltre ai post pasto e ai sorbetti. Non mancarono il ragù di tonno, il cous cous, la pasta con le sarde, il macco, l’agnello a forno, i sorbetti, la cassata siciliana e i cannoli.

In quei giorni di permanenza a Salemi mille uomini contribuirono a ben seminare radici italiche di gusti e di sapori, e poi, a lanciarle quali fonti nella cultura gastronomica italiana- aggiunge lo Chef e professore dell’Istituto Alberghiero di Marsala, Paolo Austero, delegato per la Sicilia nel Direttivo nazionale della FIC (Federazione Italiana Cuochi). Austero, forgiato all’ALMA di Gualtiero Marchesi, che il 18 maggio scorso ha cucinato con la sua scolaresca alla Reggia di Venaria Reale in Torino, la cena di gala con il Capo dello Stato Giorgio Napolitano sul tema “ Il Risorgimento gastronomico”; e che con la stessa squadra ha vinto a Brescia il “Gran Trofeo d’oro della Ristorazione Italiana”, è un convinto sostenitore delle ricette storiche- La Sicilia è terra madre di tanti piatti che sono identità italiana nel mondo-dice- La nostra cucina ha vissuto la sua più ricca evoluzione nel periodo baronale, cioè proprio all’inizio dei 150 anni dell’unità d’Italia. Allora nelle grandi casate si elaborarono i segreti della culinaria nobile e prelatizia e si allestirono pranzi sempre più opulenti. Si consolidò la barocca cucina baronale dei numerosi “gattopardi”. Questi, si tramanda, si contesero, anche a costo di un duello, i monzù più rinomati (cuochi francesi al seguito dei borboni, adottati dalla nobiltà locale). E’ proprio alla cucina dei monzù che faccio spesso riferimento. Valorizzando, in chiave moderna e nel rispetto dei prodotti a chilometro zero, quella nostra preziosa radice storica. A proposito dell’epoca dei Florio e di Donna Franca Florio, c’è da ricordare Il vino Marsala, Principe dei vini da dessert, anch’esso col suo corredo aromatico, protagonista del Risorgimento enogastronomico italiano”. E’ significativo l’evento del 19 luglio del 1862 quando Garibaldi in visita alle Cantine Florio degustò e apprezzò il Marsala superiore, a concia tradizionale dolce, che, da quel giorno, in suo onore, fu chiamato Marsala Garibaldi Dolce. Anche il Marsala, con la sua fama ed il fascino ha contribuito a quel percorso che da 150 ci unisce nei gusti e nei sapori che costituiscono l’immenso invidiabile patrimonio enogastronomico italiano.