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L’augurio di Carlo Petrini ai delegati al Congresso di Slow Food Italia: «Viviamo con gioia questo nuovo cambiamento e apriamoci alle novità, solo così ci rigenereremo»

Il fondatore di Slow Food lancia nuove sfide: università diffusa per mettere a disposizione di tutte le conoscenze sul cibo e nuova socialità per far rivivere i borghi d’Italia.

«Vivo questo Congresso di Slow Food Italia con molta attenzione, speranza e grande fiducia. La nostra storia ci dà un’indicazione chiara: Slow Food è un movimento che nel tempo ha saputo evolversi, adattarsi in maniera costante. Non deve farci paura la trasformazione nell’organizzazione e negli ideali, perché abbiamo già vissuto momenti come questo nella nostra storia e ci sono costati anche qualche perdita. Da quel piccolo gruppo che si raccoglieva prima intorno ad Arci Gola e poi a Slow Food, e sviluppava le prime riflessioni di tipo gastronomico, siamo riusciti a diventare un movimento mondiale in grado di dialogare con la politica. Oggi siamo una rete presente in 160 Paesi nel mondo.

Io ho iniziato questa avventura quando avevo poco più di 30 anni e il prossimo anno ne compio 70. Di mutamenti ne ho vissuti tanti, governati e anche provocati. Ne cito solo tre che sono fondativi: la presa di coscienza che non si poteva parlare di alimentazione senza considerare il disastro che  avveniva in campo agroalimentare a causa della perdita di biodiversità.

Il secondo grande passo è avvenuto quando abbiamo esplicitato la nostra dimensione internazionale. Questa nuova sfida faceva molta paura perché eravamo piccoli e non avevamo soldi. Quel manifesto scritto da Folco Portinari lentamente ci ha permesso di essere presenti in decine di Paesi nel mondo. Si è trattato di una scelta schizofrenica perché abbiamo coinvolto solo Paesi con la pancia piena, non avevamo ancora gli strumenti per capire che il diritto al piacere c’è anche in quei Paesi in cui a governare era la malnutrizione.

Il terzo e dirompente cambiamento c’è stato nel 2004 con la prima edizione di Terra Madre e la fondazione dell’Università di Scienze Gastronomiche. La nascita del nostro ateneo ha significato confrontarci con uno dei più vecchi e obsoleti sistemi della nostra società, fermo a dinamiche di tipo medievale che non esprime compiutamente il bisogno di democrazia e di fame di conoscenza che c’è nel mondo. Oggi in Italia esiste una classe di laurea in Scienze gastronomiche, che esprime l’approccio sistemico di Slow Food per affrontare il mondo del cibo: non solo scienze agrarie, veterinarie alimentari o mediche, ma anche antropologiche, economiche. Oggi oltre 3 mila allievi sono usciti dall’Università di Pollenzo e ci fanno onore nel mondo.

Nello stesso anno celebravamo Terra Madre, e con essa il movimento di liberazione per Slow Food che ci ha aperto il cuore. Abbiamo riconosciuto alle comunità che provenivano dal Sud del mondo il nostro stesso diritto al piacere, che la loro cucina è all’altezza della nostra, che non ci sono graduatorie. Terra Madre ha cambiato profondamente il nostro movimento. Oggi siamo in 160 Paesi nel mondo ma ci siamo con un vestito vecchio, eurocentrico, che prevede forme di tesseramento individuale, logiche organizzative verticali e questo, abbiamo visto strada facendo, non è proponibile in tante parti del mondo.

A Chengdu, lo scorso ottobre, abbiamo risolto la nostra schizofrenia perché abbiamo pensato a un vestito nuovo che potesse stare bene al mondo intero. Questo cambiamento è una liberazione per il movimento. Le nostre comunità saranno improntate sulla libertà di operare. Vorrei rivolgermi ai 67 delegati di questo congresso che hanno meno di 30 anni. Fate Slow Food come volete, realizzate un’associazione che sia in sintonia con le vostre qualità. Il più grande atto d’amore che noi possiamo fare nei confronti di voi giovani è darvi la libertà di fare un’associazione che sia in sintonia con i vostri valori.

Al prossimo Terra Madre Salone del Gusto - a Torino, dal 20 al 24 settembre – lanceremo un’altra sfida: l’università diffusa. Vuol dire che non esiste alcuna primogenitura tra saperi accademici e tradizionali, ma ci deve essere dialogo. Noi realizzeremo dei luoghi, anche virtuali, in cui si trasmette sapere tradizionale nelle sedi di tipo universitario: un casaro, un produttore biologico, se si mette a disposizione, diventa docente. Ecco allora che questa rete che tesseremo in tutto il mondo dovrà essere telematica e coinvolgere i docenti.  Libereremo così la democrazia della conoscenza da queste paludate accademie tradizionali. Questi saperi saranno a disposizione di chi non ha tempo o soldi per frequentare l’università. È un’impresa che fa tremare i polsi ma se non cogliamo queste sfide si muore di inedia.

E infine un augurio per la nostra Italia. Non possiamo ridurre le opportunità del nostro Paese alle bellezze turistiche e gastronomiche, dobbiamo piuttosto iniziare una grande battaglia per rigenerare i nostri borghi, non attraverso la promozione dei luoghi o la vendita dei prodotti, ma a partire dalla socialità. Questa è la fame di cui abbiamo bisogno!


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