SALUTE E BENESSERE
I consumi di carne degli italiani sono sostenibili. Lo dimostra la “Clessidra Ambientale”

Presentato a Bruxelles al Parlamento Europeo l’aggiornamento dello studio sulla sostenibilità delle carni in Italia. Consumare carne è ok, soprattutto se si considera il contesto italiano, molto più sano (e meno impattante) di quelli nordamericano o nordeuropeo

Consumare carne è veramente insostenibile come si dice? Non necessariamente, soprattutto se si considera il contesto italiano, molto più equilibrato (e meno impattante) di quelli nordamericano o nordeuropeo. Parola di Carni Sostenibili, progetto nato dalle tre principali associazioni di categoria del settore zootecnico italiano: Assocarni, Assica e Unaitalia, rappresentanti rispettivamente le filiere bovina, suina e avicola. Obiettivo? Mostrare, attraverso una innovativa rappresentazione grafica denominata Clessidra Ambientale, che la carne e i salumi sulle nostre tavole non sono affatto la principale causa del nostro impatto ambientale, se non altro quando li si consuma in modo corretto. In poche parole: dimostrare al mondo intero che il sistema zootecnico e l’alimentazione italiani sono un modello virtuoso in termini di sostenibilità e di tutela della salute. 

Il messaggio di questo progetto, presentato al di fuori dei confini italiani presso il Parlamento europeo a Bruxelles in presenza dei parlamentari Ue Paolo De Castro e Giovanni La Via, è molto chiaro: la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente. Una reazione del settore delle carni e dei salumi alle molte accuse e ai continui attacchi mediatici ricevuti? Può darsi. Sta di fatto che negli ultimi anni il consumo di carne è divenuto oggetto di molte attenzioni e di dibattito, legati soprattutto a ragioni nutrizionali e ambientali. E la Clessidra Ambientale, presentata all’interno dello studio “La sostenibilità delle carni in Italia”, per ciò che descrive non lascia spazio a molte obiezioni: i cibi più impattanti a livello ambientale sono anche quelli consumati in minori quantità, e con il maggiore valore nutrizionale. 

In effetti, in una dieta equilibrata nessuno mangia le stesse quantità di carne e di verdure. Se della prima le principali linee guida nutrizionali consigliano un consumo di 450 grammi alla settimana, per le seconde si parla invece di 5.650 grammi, 12 volte di più. Se si analizzano i dati contenuti nella Clessidra Ambientale, vista ormai da molti come un’evoluzione della doppia piramide ambientale e alimentare, emerge ad esempio come l’impronta di carbonio (carbon footprint, ossia emissioni di gas serra generate lungo tutta la filiera) delle proteine sia 6,7 kg di CO2 equivalente, un valore in linea con quello di frutta e ortaggi, pari a 6,0 kg di CO2 equivalente. 

Come sono stati ottenuti questi valori? In pratica, dalla moltiplicazione dell’impatto ambientale degli alimenti (per semplicità è stata appunto utilizzata la carbon footprint) per le quantità settimanali suggerite dalle linee guida nutrizionali INRAN, ora CREA. Ma se da una parte viene così dimostrato che mangiare carne in giuste quantità non comporta un aumento significativo dell’impatto ambientale di un individuo, dall’altro si vuole evidenziare un aspetto importante: uno stile di vita sostenibile dovrebbe misurarsi anche con altre scelte, oltre a quelle alimentari, come la mobilità, i consumi di energia, l’abbigliamento, le abitudini per il tempo libero, e così via. 

Scegliere di utilizzare la bicicletta invece dell’automobile anche solo per spostamenti di pochi chilometri alla settimana incide molto di più sul benessere dell’ambiente che non scelte alimentari estreme come quelle che escludono a priori le proteine animali, sottolineano gli ideatori di Carni Sostenibili: “Il bilancio della sostenibilità, quindi, sta nell’equilibrio complessivo delle nostre scelte quotidiane”. 

Sostenibilità però non significa solo ambiente, ma anche economia e società. Il settore delle carni ad oggi impiega infatti oltre 180.000 addetti, generando un valore economico di 30 miliardi di euro all’anno rispetto ai circa 180 miliardi dell’intero settore alimentare italiano e ai 1.500 miliardi del PIL nazionale. Non solo, i rappresentanti dei produttori di carne italiani ci tengono a ricordare il valore culturale (fatto anche di tradizioni) che sta dietro agli allevamenti, senza i quali verrebbe meno una grande fetta di presidio del territorio e di tutela del paesaggio. “Dove c’è un allevamento non ci sono né cementificazione né dissesto idrogeologico”, fanno presente le tre Associazioni: “Uno dei tanti, troppi dettagli che spesso si tende a trascurare, quando ci si scaglia a priori contro la produzione e il consumo di carne”.

(Mario Pandolfi - www.lastampa.it)

 



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