storie di cibi tra passato e futuro
Sbirciare e poi leggere il volumetto “I sapori del Piave” di Aldo Trivellato è stata un’elettrizzante capriola nel tempo! Una sorta di seducente itinerario nei saperi ma soprattutto nei sapori culinari di una delle zone più dinamiche e lusinghiere del Paese, e vale a dire quella del “Basso Piave” – realtà non lontana da Venezia e dalla foce del fiume Piave, che proprio a Cortellazzo (VE) sfocia nel Mare Adriatico. Una terra che con immenso lavoro e caparbietà è stata “strappata” alle paludi e alle insidie di Madre Natura, e in seguito “affidata” all’uomo affinché con destrezza ne ricavasse tanti buoni prodotti e materie prime. L’autore, accortamente, declina al presente usi, costumi e modi di fare che hanno preso le mosse ante litteram. Azioni e cognizioni che per alcun motivo devono essere archiviate, o collocate stoltamente in disparte. Si snodano nell’opera molteplici idee e concetti intelligenti, che abbracciano in primis la nozione di tempo e quella universale di continuità. I gusti remoti, quasi in preda a un sortilegio alchemico, si riverberano nel presente, e perché no – persino nell’indecifrabile futuro, cristallizzando per le generazioni a venire quelli che sono a tutti gli effetti storia, tradizione e sapere perpetuato. È così, oltre a gustare parecchie “leccornie” nel nostro panorama contemporaneo, abbiamo la smagliante presunzione di prenderci gioco del tempo (e degli indefessi limiti che ne derivano), per proiettare in avanti i sapori, le fragranze e le varie sinuosità che proprio le vivande d’antan custodiscono nei loro goderecci dedali. Grazie al cibo si aprono nuove connessioni impensabili con il mondo che è stato e con quello che sarà. Alimenti che simultaneamente sono mezzo e fine, ma anche insostituibile gratificazione per corpo e psiche (greco ψυχή). Nel tomo – ben impaginato e foriero di piacevoli sequenze fotografiche – non mancano testimonianze su ciò che fu la civiltà rurale in riva al fiume Piave, e in più impagabili ragguagli sulla tradizione alimentare, che non era solo mera sopravvivenza o progetto occasionale, bensì ponderata analisi e pianificazione! Certamente; alcune consuetudini e lavorazioni non erano solo un’esclusiva prerogativa locale, e vale a dire del microcosmo di cui stiamo argomentando. Ad esempio, l’allevamento e poi la macellazione del maiale, come di altri animali da cortile nutriti proprio con la sopraccitata finalità. Affiora palesemente l’eclettico criterio di stagionalità – elemento quasi sacrale di ogni comunità destinata a “duellare” con gli eventi naturali e con le bizze del clima, che potevano condizionare o addirittura frantumare il raccolto, e cioè l’intero lavoro di una o più famiglie. Alcune riflessioni tracciate dall’autore sprigionano una serie di parvenze “stinte”, che suscitano un pizzico d’incontaminata nostalgia per chi le ha vissute in prima persona, come il capitoletto dedicato al “lesso” domenicale – appellato proprio così e non “bollito” – nomea invece in auge in altre parti d’Italia. Aldo Trivellato ci regala un tassello fondamentale di ricerca e di narrazione tematica, che strizza l’occhiolino alla scienza culinaria e alle tradizioni a essa riconducibili. Meglio, un’intensa e appassionata iconografia dedicata alla tavola e all’annessa cultura autoctona – aspetti fondamentali per il rendez-vous che ci attende con il futuro, al fine di affrontarlo in modo competente – proprio perché si ha la consapevolezza di come andavano le cose tanti anni or sono. In modo particolare, facendo i conti con i nostri tanti piatti, ingredienti e ricette tradizionali.
(SB)
NOTA: il libro, uscito nel 2013 e a distribuzione gratuita, appartiene al progetto "Antichi sapori", voluto e ideato dalla Confartigianato di San Donà di Piave (www.artigianisandona.it) e sostenuto da Venezia Opportunità.
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