Sarà il Crea a gestire i 21 milioni stanziati dal Governo per la ricerca sul miglioramento genetico e la valorizzazione delle colture tipiche italiane. Un'opportunità di cui si è parlato a Treviso e che mette (quasi) tutti d'accordo: guarda le videointerviste
Viti più resistenti alle malattie e ai cambiamenti climatici. Sono questi gli obiettivi principali che guideranno il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) nel lavoro di miglioramento genetico della vite. Piante più forti grazie alla ricerca, resa possibile dai 21 milioni di euro che il Mipaaf ha stanziato ad inizio anno e che faranno finire sotto i microscopi le colture tipiche italiane, vite in primis.
E proprio delle nuove frontiere della ricerca genetica si è parlato durante l'incontro organizzato dal Crea nel suo centro di ricerca di Susegana (Treviso), dal titolo 'Verso una nuova alleanza tra genetica e vite'. E' infatti la genetica lo strumento in cui scienziati e agricoltori ripongono le maggiori aspettative per ottenere colture capaci di adattarsi ai cambiamenti climatici e di resistere a malattie e parassiti.
Miglioramento genetico sì, ma attraverso quali tecniche? A spiegare le differenze tra i vari approcci al dna ci ha pensato il professor Mario Pezzotti, vicepresidente della Società italiana di genetica agraria. Secondo la legislazione del 2001, una varietà si dice transgenica quando è frutto dell'inserimento nel genoma di un gene estraneo alla specie stessa. Ad esempio il gene di una medusa in una pianta di mais. Questo tipo di organismi, detti appunto Ogm transgenici, in Italia non sono né sperimentabili in campo né coltivabili.
“Altra cosa sono quegli organismi ottenuti con il genome editing e la cisgenesi”, spiega il professor Pezzotti. E sono proprio queste le tecniche che saranno finanziate con i fondi sbloccati dalla legge di stabilità. Tecniche che, ricorda il ministro Maurizio Martina, sono “assolutamente sostenibili ed efficaci”.
Con la cisgenesi e il genome editing è infatti possibile introdurre all'interno del dna di una pianta uno o più geni di un altro organismo appartenente alla stessa specie. Non si tratta dunque di organismi transgenici, ma di varietà ottenibili anche con l'incrocio naturale. Queste tecniche però sono molto più precise nella selezione dei geni di interesse e hanno tempi estremamente più brevi rispetto ai classici incroci.
“Esistono vitigni selvatici in Asia e Nord America che sono resistenti all'oidio e alla peronospera”, spiega Pezzotti. “Sara dunque possibile inserire quei geni e trasferire la resistenza nella nostra vitis vinifera”. Ma in linea di principio si potrà anche inserire un gene che riduce il fabbisogno di acqua o che rende una vite capace di crescere su terreni salini.
Il più grosso ostacolo attualmente sembra essere la legislazione. L'Unione europea non ha infatti ancora chiarito se queste tecniche siano svincolate dai limiti imposti agli organismi transgenici. “Ci aspettiamo che da Bruxelles arrivi un chiarimento al più presto”, spiega il ministro Martina. “Anche l'Olanda, che è presidente di turno del Consiglio Ue, ha posto la nostra stessa questione”. Già, perché come ha ricordato anche Roberto Defez del Cnr, senza le prove in campo il lavoro di miglioramento genetico effettuato nei laboratori è inutile.
Ma in un Paese come l'Italia, in cui il dibattito sugli Ogm divide ferocemente l'opinione pubblica, che cosa ne pensano agricoltori e consumatori?
“Sono una grande opportunità, l'importante è che non si stravolgano le nostre tipicità territoriali,” spiega Arturo Stocchetti, presidente di Vini veneti. Favorevole è anche Angelo Gaja, viticoltore piemontese: “Sono una buona opportunità per abbattere l'utilizzo di agrofarmaci nelle nostre campagne”.
Qualche dubbio lo solleva Cinzia Scaffidi, vicepresidente di Slow Food. “Queste piante sono Ogm a tutti gli effetti, non ci si può limitare a cambiare semplicemente le parole. Il consumatore vuole sapere che cosa mette nel piatto e le etichette dovrebbero essere più chiare”.
“Il miglioramento genetico è l'unica strada per salvare i nostri vitigni autoctoni”, mette in guardia Attilio Scienza, titolare della cattedra di vitivinicoltura all'Università Statale di Milano e tra i massimi studiosi al mondo della vite e del vino. “Se non rendiamo le nostre viti resistenti alle malattie e ai cambiamenti climatici rischiamo che gli agricoltori rinuncino a coltivarle in favore di altre varietà più forti”.
Su una cosa sono tutti d'accordo: serve ricerca e diffusione tra gli agricoltori dei risultati degli studi per mantenere competitivo il settore. “Il mercato mondiale del vino vale 60 miliardi di euro, quello della Coca Cola 110”, provoca Oscar Farinetti, nella sua veste di presidente di Vino libero. “Il mondo sta scoprendo il vino e i consumi del futuro esploderanno. L'Italia si deve fare trovare preparata se vuole cavalcare l'onda”. (Tommaso Cinquemani - http://agronotizie.imagelinenetwork.com)
ASA Press / Le notizie di oggi