Bruxelles ha stilato un elenco di prodotti da difendere con i denti, proibendo qualsiasi tipo di replica. Ottantaquattro, equamente divisi, vengono da Italia e Francia. Ma tutelare la varietà italiana, unica al mondo, è una partita difficile
Il rischio è una "Louisiana 'nduja", o un "Illinois ciauscolo", un "Wisconsin squacquerone cheese". Ma niente "Vermont bresaola" o "New York Parmesan". E neppure "Kentucky grappa" o "Appalachian Camembert". Gli uffici della Ue hanno diffuso l'elenco di quelle che l'Europa definisce le proprie "eccellenze alimentari". Si tratta di 200 prodotti dei 28 diversi paesi da difendere con le unghie e con i denti nelle trattative con gli americani. Pochi credono che il negoziato con Washington per la Ttip, la partnership commerciale transatlantica, sia destinato al successo, in tempo per la scadenza della presidenza Obama e al di là della ventata protezionistica che Trump e Bernie Sanders hanno proiettato sulle elezioni presidenziali di novembre. Ma l'elenco stilato a Bruxelles rappresenta un'utile traccia di quelli che devono essere considerati i prodotti cardine dell'agricoltura europea, nella misura in cui la sua forza è quella di presentarsi come agricoltura di qualità da difendere, anche in futuri negoziati di minor respiro del megatrattato transatlantico.
I 200 prodotti dovrebbero infatti essere protetti da una vera e propria "tutela rinforzata". Niente possibilità di appropriarsi del nome, neanche un po' storpiato (come "parmesan") e neppure specificando la provenienza reale ("Vermont bresaola") o avvertendo che
si tratta di "kind" o "style", insomma un pomodoro "tipo Pachino" Mancano prodotti tipici importanti, come il fiordilatte, la finocchiona e la porchetta, ma l'elenco di Bruxelles fa venire l'acquolina in bocca. Ci sono birre tedesche come la Koelsch, il gorgonzola danese, il queso manchego spagnolo, il feta e le olive di Kalamata greche e, naturalmente, Camembert, Brie e foie gras de canard. I dop e Igp italiani specificamente tutelati offrono forse il ventaglio più vario. Dall'aceto balsamico di Modena alle arance rosse, dalla bresaola ai capperi di Pantelleria, culatello, zampone e cotechino, il lardo di Colonnata, le lenticchie di Castelluccio, parmigiano e grana, fontina, asiago, taleggio, pecorino romano, sardo e toscano, mozzarella di bufala campana, prosciutti dal Parma al S.Daniele, pomodori di Pachino per finire con i Ricciarelli di Siena.
E' una trincea cruciale, perché l'agroalimentare è uno dei settori in cui, per costi ed economie di scala, la produzione americana, assai più disinvolta sul piano sanitario, sostenuta da aziende multinazionali giganti, dotate di mercati enormi, monocordi, ma per questo omogenei, che assorbono gli stessi prodotti su scala continentale è in grado di travolgere un'agroalimentare europeo più fondato su piccole e medie imprese, sottoposto a regole più rigide, frammentato in mercati poco comunicanti, popolati da consumatori assai diversi e smaliziati. Il queso manchego è ottimo, ma in Italia è introvabile. In America lo stesso formaggio viene venduto dall'Oregon alla Florida.
Più o meno discutibile (ci sono regioni italiane, come le Marche, che non hanno neanche un prodotto nell'elenco), la lista che Bruxelles si prepara a sottoporre agli americani nel prossimo round di negoziati chiarisce però anche, da sola, le linee di frattura che corrono nell'economia europea e perché logiche e lobby che, a occhi italiani sembrano pretestuose a prima vista e inaccettabili comunque, finiscano poi per prevalere. L'agricoltura di qualità europea è, infatti, affare di pochi, secondo una geografia ben precisa. Dei 200 prodotti, quasi metà - 84, equamente divisi - vengono da Francia e Italia. Spagna, Grecia, Germania e Portogallo ne hanno una ventina a testa. Paesi come Svezia, Ungheria, Polonia, Danimarca, Belgio ne hanno quattro o cinque. La Gran Bretagna 7. Poca la voglia di sacrificarsi, a livello europeo, per prodotti di qualità che in patria non ci sono e molto l'interesse di favorire piuttosto un'agricoltura ordinaria e indifferenziata. Da questo punto di vista, l'Italia si trova nella situazione più delicata, proprio per la varietà della sua offerta. Al contrario, la Francia ha lo stesso numero di prodotti da proteggere. Ma, su 42, 32 sono formaggi.
(www.repubblica.it)
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