La proposta lanciata al convegno dell’Associazione Agricoltura Biodinamica: il ritorno al futuro che assicura suoli più fertili del 55%, meno 60% irrigazione
Biodinamico, cioè più che biologico: campi non solo senza pesticidi, ma curati con fertilizzanti organici e con una sorta di medicina omeopatica della terra. E’ così che la biodinamica si vanta di creare suoli non solo più fertili ma anche più resistenti a frane, alluvioni e alla siccità incombente. In un quadro climatico che vede le precipitazioni del nostro Paese fermarsi nel dicembre scorso a meno 90% della media stagionale, questo metodo agricolo sembrerebbe promettere una soluzione quasi obbligata. Secondo una ricerca presentata in questi giorni al convegno ‘Per l’economia della Terra’ che si è svolto a Milano alla Bocconi e al Teatro Franco Parenti, i suoli biodinamici contengono infatti il 55% in più di humus rispetto a quelli convenzionali, e ogni centimetro di sostanza organica in più nei terreni agricoli ne assicura la tenuta, oltre a garantire alimenti con una maggiore qualità organolettica. La Fao conferma: “i campi bio hanno bisogno del 40-60% in meno di irrigazione rispetto a quelli coltivati a chimica”, dice la Senior Officer dell’Organic Agriculture Programme Nadia Scialabba. A testimoniarlo, del resto, anche i successi del biodinamico egiziano: l’azienda Sekem, che ha messo a coltivazione 20 mila ettari di deserto trasformandoli in terre fertili dove si coltivano ortaggi, frutta, erbe aromatiche e cotone.
Agricoltura ecologica, quindi, e capace di resistere agli stress climatici che si stanno particolarmente espandendo alle nostre latitudini. Ma alla due giorni organizzata a Milano dall’Associazione Agricoltura Biodinamica – un appuntamento che si rinnova per il secondo anno consecutivo all’università Bocconi- si è stavolta soprattutto celebrato un nuovo matrimonio: quello tra l’agricoltura più pura che ci sia e il paesaggio italiano. Nell’ultimo secolo – ha spiegato lo storico del paesaggio Mauro Agnoletti – si sono persi 10 milioni di ettari di suolo agricoli: ad avanzare non è solo il cemento (di 8.000 ettari l’anno) ma anche la ‘selva selvaggia’, con un’enorme progressione dei boschi. Si tratta, sottolinea lo studioso, anche di una perdita di biodiversità naturale e paesaggistica, oltre che strettamente culturale: i nostri campi non sono più quel mosaico di diverse colture celebrato dai pittori e dagli scrittori per secoli scorsi ma hanno subito un forte processo di semplificazione e di aggregazione, in parte per rispondere alle esigenze dell’agricoltura industrializzata e in parte per uniformarsi a un concetto di natura – avverte Agnoletti – troppo ‘naturale’ rispetto alle condizioni storiche del nostro Paese.
E così, “in primo luogo per le zone più pregiate dal punto di vista paesaggistico e ambientale del nostro Paese la soluzione è un ritorno al futuro, quello dell’innovazione biodinamica, che restaura suoli e paesaggio tipico delle nostre campagne e fornisce cibo sano”, dice Carlo Triarico, presidente dell’Associazione Agricoltura Biodinamica, commentando l’ultima grande impresa di restauro del territorio agricolo intrapresa dal Fondo Ambiente Italiano, il recupero di Punta Mesco nelle Cinque Terre. Qui, spiega il vicepresidente del FAI Marco Magnifico, con un’azione durata anni si sono ricostruiti i muretti a secco dei terrazzamenti, rimessa a dimora la coltura mista di vite e ulivo, assicurata una sosta paesisticamente integrata ai numerosi escursionisti che percorrono le Cinque Terre. E le soluzioni agricole scelte sono strettamente biodinamiche.
Ma la biodinamica non aspira solo a riempire una nicchia. “L’agricoltura diventerà un settore strategico per il nostro paese solo se investirà in bioagricoltura che già oggi rappresenta oltre l’11% del suolo coltivato in Italia”, afferma Triarico. “Ora è necessario far partire il Piano Strategico Nazionale del Biologico e Biodinamico che darà impulso all’innovazione scientifica, agricola e produttiva perché, a differenza di quello che dicono i suoi detrattori, il biodinamico scommette proprio sullo sviluppo della ricerca”. Un invito raccolto e rilanciato dal viceministro alle Politiche Agricole Andrea Olivero: “Stiamo lavorando alla definizione di un piano strategico per il settore che punta fortemente sulla difesa dell’ambiente, della qualità dei prodotti e delle eccellenze italiane. E la cosa che più mi colpisce è che i biologici e i biodinamici vengono da noi a reclamare più controlli sul campo, sui processi e sui prodotti, e meno scartoffie da riempire”. (Silvia Toscano - www.lastampa.it)
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