Con il sistema biodinamico raddoppia la capacità del terreno di catturare il carbonio. Il ministro Martina: ''Un miliardo e mezzo di euro per consolidare la nostra leadership nel biologico''
''Se pensiamo all’evoluzione come a un esperimento di laboratorio durato tre miliardi e mezzo di anni, e al pool genico come all’archivio delle informazioni accumulate nel corso di questo esperimento, cominciamo a capire che, quando si tratta delle sue stesse operazioni, la natura ha una conoscenza di gran lunga più vasta della nostra”. Michael Pollan, in quello straordinario saggio sui giardini che è ''Una seconda natura'', appena pubblicato da Adelphi, lo scrive a proposito degli orti ma vale per tutta l’agricoltura, che si chiama settore primario perché precede gli altri dal punto di vista storico e logico, visto che ci fornisce la base della vita.
Negli ultimi decenni però le tecniche agricole hanno progressivamente allentato il loro legame con la natura. La produzione è aumentata ma il prezzo pagato è stato molto alto. L’eccesso di chimica e il sovra sfruttamento hanno indebolito i terreni rendendoli meno capaci di resistere a difficoltà che vanno dalle malattie agli scompensi derivanti dal cambiamento climatico. Centinaia di specie di insetti sono diventati resistenti ai pesticidi e hanno spinto a creare pesticidi ancora più aggressivi. Ogni anno 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile, quell’humus che si ricostituisce al ritmo di meno di un centimetro al secolo, vengono spazzati via dal vento e dall’acqua.
Anche in Italia, per varie ragioni, i danni sono stati consistenti. In 40 anni il terreno agricolo ha subito una drastica dieta dimagrante: sono scomparsi 5 milioni di ettari, l’equivalente alla somma di Lombardia, Emilia Romagna e Liguria. In 10 anni 190 mila stalle sono state chiuse. La perdita della biodiversità agricola e culturale, dei paesaggi che hanno affascinato i viaggiatori del Settecento e dell’Ottocento, ha contribuito a farci scivolare dal primo al quinto posto nella classifica mondiale del turismo.
Oggi però c’è una riscossa in atto. Siamo primi per prodotti agroalimentari a marchio territoriale riconosciuti dall'Unione europea. Nei vini abbiamo battuto la Francia per volume di export. Il biologico e il biodinamico sono in crescita a due cifre: hanno raggiunto i 3,6 miliardi di euro di fatturato, danno lavoro a 55 mila persone, occupano più dell’11% delle terre coltivate in Italia e il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, ha dato al Paese l’obiettivo di una crescita ancora più veloce: ''Abbiamo messo sul tappeto, tra fondi del governo, delle Regioni e dell’Europa, un pacchetto da 1,5 miliardi di euro da qui al 2020 per consolidare la nostra leadership in questo campo''.
Anche perché, negli ultimi anni, ai target economici e paesaggistici si sono aggiunti quelli climatici. La conferenza Onu di Parigi lo scorso dicembre ha fissato l’obiettivo di uno stop al riscaldamento climatico prima che raggiunga la soglia dei 2 gradi di aumento della temperatura: una battaglia difficile da vincere se non si interviene anche sulla gestione dei suoli. Il cambiamento di uso dei terreni agricoli e l’abbattimento delle foreste sono infatti responsabili di circa un quarto delle emissioni serra. Inoltre la quantità di carbonio trattenuta nella terra è doppia di quella custodita nell’atmosfera: il suolo ben amministrato è una potente spugna di CO2. E, secondo una ricerca dell’Istituto elvetico Fibl che ha condotto per 21 anni un confronto tra agricoltura chimica e biodinamica, da questo punto di vista il metodo biodinamico, una sorta di omeopatia dei campi, si è rivelato particolarmente efficace nel conservare stabilmente nel terreno la sostanza organica: i microrganismi non solo sono più numerosi (quasi il doppio: tra il 60 e l’85% in più rispetto al sistema convenzionale), ma più vari.
''Giù nel 2002 la rivista Science ha pubblicato dati che andavano in questa direzione'', aggiunge Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica. ''Secondo la ricerca citata, con l’agricoltura biodinamica il bisogno di fertilizzanti e di input energetici diminuisce in una misura compresa tra il 34 e il 53%. E la ragione è semplice: sono terreni più equilibrati, più in grado di sequestrare il carbonio e di sopportare le avversità''. (Antonio Cianciullo - www.repubblica.it)
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