Con 504 l’Italia detiene il primato mondiale di nazione con il maggior numero di vitigni iscritti al registro nazionale delle varietà di viti. Queste sue peculiarità e la diversità varietale sono maggiormente presenti nelle viticolture marginali ed estreme e, proprio per la conformazione morfologica del territorio, rendono i vitigni autoctoni insostituibili e non omologabili. Tale unicità è basata sull’irripetibilità dei terroir, derivante dalla posizione geografica, dalla natura geologica, dal suolo, dal clima, dalle modalità di coltura in vigna e di vinificazione /affinamento in cantina, che oltre a contraddistinguere e a dare fascino alle viticolture estreme, ne rappresenta l’eccellenza. Al contempo, però, costituisce la loro stessa fragilità, perché sono maggiormente soggetti a rischio abbandono e al conseguente degrado del territorio. Questa situazione si verifica per i maggiori costi di produzione e manutenzione delle strutture, per il cambiamento generazionale e climatico e per il rischio idrogeologico, legato alle ridotte superfici vitate che non consentono un reddito sufficiente a garantirne la sopravvivenza.
È proprio la non trasferibilità dei paesaggi delle viticolture di montagna e delle isole minori a conferire loro valori culturali, identitari e di attrattiva economica e turistica, in quanto espressione di un lavoro tramandato da generazioni, che hanno costruito paesaggi unici e indimenticabili (oltre 1500 ore/ettaro di lavoro manuale annuo per la gestione di un vigneto estremo contro le 350/400 in pianura). Questa aree sono depositarie di un valore culturale forte e identitario della viticoltura italiana, volgono un importante ruolo di custode del territorio e del paesaggio e spesso si trovano a soffrire di uno stato di grande marginalità. Senza un’adeguata opportunità economica di sopravvivenza e senza una campagna di divulgazione che faccia conoscere e apprezzare queste realtà si corre il rischio di perdere un prezioso patrimonio del nostro Paese.
A tal fine, sarà avviato un progetto di ricerca triennale che vede il CREA in prima linea, con l’intento di favorire il rilancio economico di quei territori che ospitano la viticoltura estrema, creando sostenibilità sociale, culturale e ambientale (scambio buone pratiche e riduzione costi produttivi e sinergie con il turismo).
Di questo si è discusso oggi al convegno Il valore delle viticolture estreme italiane, dove è intervenuto il Vice Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Andrea Olivero che ha dichiarato: «Con grande favore ho promosso la realizzazione di questo incontro perché penso che la viticoltura estrema abbia la capacità di mantenere vitali le zone impervie, come quelle montane e isolane. Sono convinto che attraverso la valorizzazione di queste viticolture si possano generare implicazioni positive di carattere ambientale e socio-economico. In quest’ottica riusciamo anche ad andare incontro ai nuovi stili di consumo che vedono un consumatore attento e capace di riconoscere la qualità che si genera dal legame unico tra prodotto e territorio».
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