La gastronomia fa passi da gigante, il vino resta uno indietro. L’eccezione? Locali accoglienti, dove una cucina non ingessata e vino a bicchiere fanno sentire a proprio agio
Vino e buona cucina, più che di connubio, è di abbinamento “imperfetto” che si deve parlare. Perché mentre la gastronomia italiana, creativa e vivace, compie passi da gigante, il vino resta un passo indietro. Si beve sempre meno vino nei luoghi dove si mangia, specie nei ristoranti stellati, e i giovani non fanno eccezione, contribuendo all’inesorabile calo dei consumi, tra crisi economica, etilometro, voglia di sperimentare altre cucine e altre bevande, meno attenzione alla sua importanza storico-culturale. Ma anche perché bere vino al ristorante non è nel loro stile, e spesso non viene proposto ai clienti in maniera adeguata. Divisi a metà tra integralisti che, nella scelta di un vino, sanno cosa vogliono, e coloro che - e sono la maggior parte - hanno invece bisogno di consigli, di certo c’è che chi prende la carta e ci si immerge, non esiste più. Carte di cui, peraltro, il vino non ha più il monopolio: dalle birre al thè, dalle acque ai caffè, aumentano a dismisura. A dirlo è un’inchiesta WineNews uno dei siti più cliccati dagli amanti del buon bere, per Vinitaly, la rassegna internazionale di riferimento del settore (Verona, 10-13 aprile; www.vinitaly.com), con le voci della critica italiana e dei top sommelier. Dalla quale emerge come, oggi come oggi, a guidare la scelta di un vino prima di tutto è sì il prezzo, sempre di più anche la curiosità per etichette di territori meno noti o emergenti, e sempre più spesso anche il grado alcolico, ma anche il sentirsi a proprio agio nel farlo, senza timore di apparire inesperti di fronte a carte formato “Treccani”. La ricetta per ridare slancio ai consumi? Se ad andare per la maggiore sono quei locali che fanno di una cucina non ingessata e del vino al bicchiere il loro punto di forza, le carte dei vini ben fatte, restano quelle tarate su ciò si mangia, curate e con proposte selezionate direttamente dal ristoratore, e, di conseguenza, dinamiche ed aperte ai cambiamenti.
“Purtroppo la cultura del vino nella ristorazione, a prescindere da quella alta, in Italia non è particolarmente sviluppata - sottolinea Enzo Vizzari, direttore responsabile delle Guide de “L’Espresso” - rispetto ai progressi della cucina in generale, ci si potrebbe aspettare di più. Da una parte, c’è una certa pigrizia da parte degli osti, dall’altra il dato di fatto che si beve sempre meno vino nei luoghi dove si mangia, piuttosto che in bar, wine bar o enoteche. Se poi si guarda alle carte dei vini, ce ne sono molte che seguono le mode per accattivarsi la simpatia di qualche fascia di consumatori, ma anche ben fatte, ragionate e tarate sull’offerta della cucina, ma purtroppo solo in una certa ristorazione”. Il vino al ristorante si consuma di meno “anche perché si ricerca l’essenziale. Rispetto al passato - spiega Marco Bolasco, direttore area gastronomica Giunti e direttore editoriale di Slow Editore, curatore della Guida Osterie d’Italia - c’è una delega maggiore da parte del cliente verso chi può consigliarlo nella scelta di un vino. Quando invece la scelta viene fatta in modo diretto e dunque convinto, è una scelta particolarmente convinta. Quello che non vedo più, è chi prende la carta dei vini e si immerge nella sua lettura. Carte che se la passano male, sempre di meno e sempre più piccole. Ma non per forza è una perdita negativa, specie per quelle compilate male o in maniera frettolosa o, all’apposto, enciclopedica. Bene invece per quelle più essenziali, curate, frutto di una proposta selezionata del ristoratore”.
“Dagli anni Novanta, quando ho iniziato nei ristoranti gastronomici c’è stata una trasformazione radicale nella scelta dei vini - racconta Giuseppe Palmieri, sommelier della tristellata Osteria Francescana - all’epoca il cliente prendeva la carta dei vini, sceglieva in totale autonomia una bottiglia, beveva di più e faceva meno degustazioni, ordinando un bianco e un rosso, al 90% vini nazionali, mentre il sommelier lo assistiva con un servizio classico. Oggi invece il pubblico è completamente cambiato, l’età media si è molto abbassata, ci sono tanti giovani che instaurano subito un dialogo con noi sommelier, così curiosi da chiedere di fare una serie di assaggi o bere al bicchiere. E con un’apertura mentale tale, per cui che sia vino italiano, spagnolo, francese o californiano non è importante: a loro interessa fare esperienze nuove. C’è una grande attenzione per i “vini veri”, naturali ed autentici, a differenza del passato quando semplicemente si sceglieva una bottiglia di vino. Le carte dei vini si sono molto alleggerite, sono diminuiti gli stock in cantina ma è aumentato il numero di referenze, perché dal punto di vista finanziario si è capito l’importanza di avere una cantina più “leggera”, ma data questa grande curiosità si è più liberi di comprare un numero di referenze più ampio”. Oggi, poi, “nella clientela c’è una cultura che cresce per quanto riguarda i vini italiani - spiega Marco Reitano, chef sommelier del ristorante La Pergola, tre stelle Michelin - e include anche quelle regioni viticole che si sono messe in mostra più recentemente, minori e del Sud Italia. C’è voglia di sperimentare. Tra le tipologie più gettonate, vi sono i vini di beva non troppo complessa, equilibrati e che si bevono meglio, con un’attenzione particolare al grado alcolico. Rispetto al passato, sono sempre più i clienti che di un vino chiedono anche il grado alcolico. Nella selezione per la carta dei vini siamo agevolati dai produttori, e dalle loro nuove etichette, spesso pensate per i giovani e di più facile beva. Così come, stiamo assistendo ad un cambiamento epocale, di alcuni vini per il quali le lavorazioni di cantina sono state alleggerite”.
“Il prezzo resta imprescindibile e ha condizionato la ristorazione, perché se ci fosse un benessere diffuso ben pochi ristoratori e chef avrebbero aperto bistrot, street food e altri locali del genere, aguzzando l’ingegno - fa notare Paolo Marchi, ideatore di Identità Golose e della Guida ai Ristoranti d’autore d’Italia e del Mondo - ed è impensabile che in trattoria si rinunci ad un piatto per una bottiglia. Rispetto al passato, poi, nessuno si vergogna più a chiedere vino al bicchiere e la sua offerta è codificata anche nelle belle carte. Così come a chiedere consigli al sommelier. Tuttavia a volte la selezione dei vini è affidata più alla passione di quest’ultimo che al ristoratore ed a ciò che propone. In molte carte, anche se di vini, sono presenti anche altre bevande, come la birra, ma esistono anche carte ad hoc, persino del thè. In alcuni ristoranti, poi, il vino non ha più il monopolio, e, tra crisi economica, voglia di sperimentare anche le cucine etniche, meno attenzione alla sua importanza storica e culturale, deve farsi largo”. “Il vino si consuma più nelle trattorie e nelle osterie che nei ristoranti stellati - sottolinea il Gastronauta Davide Paolini - ci sono pizzerie che hanno carte dei vini interessanti, dettate da una scelta più personale, che dai giudizi della critica. Il prezzo influisce e come, ma vedo sempre più vini dai prezzi interessanti, e gente che li consuma. Del resto vino e ristorazione hanno risentito della crisi, perché la gente magari ordina meno piatti e senza vino. C’è ancora spazio, invece, per berne un bicchiere in quei locali dove non ci sono ad esempio costi per servizio o coperto. Le carte le giudico dai vini rossi: quando vedo che sono di annate 2004, 2005 o 2007 capisco che quella carta non gira, e dunque neppure il suo ristorante”.
“L’attenzione al vino è indubbiamente cresciuta, ma guardando oltre i ristoranti stellati e cantine fantasmagoriche, le persone cercano locali più informali, di medio-buon livello - secondo Laura Mantovano, vicedirettore Gambero Rosso e curatrice di alcune delle sue più importanti guide gastronomiche - dove la cucina è buona, sana, con una sua identità, non ingessata, e che ti permettono di entrare per mangiare anche solo un piatto. Locali che, se organizzati in maniera intelligente, hanno cantine costruite e pensate per essere ammortizzate, e che, accanto alle perle, propongono vini ottimi anche nel rapporto qualità-prezzo, e, soprattutto, al bicchiere, sempre più apprezzato, ma ancora troppo limitato. L’importante è essere aperti, dinamici, e questo si traduce anche nelle carte dei vini, che devono dare un’ampia possibilità di scelta, a partire proprio dai prezzi”. “La cultura enogastronomica italiana è grande in quanto diversa, e il vino è altrettanto - sottolinea Franco Maria Ricci, patron di Bibenda e della Fondazione Italiana Sommelier, direttore della Guida Bibenda - e non è legato solo all’alta ristorazione. Dalla cucina delle massaie a quella dei cuochi, si sta riscoprendo la qualità della nostra cucina, proporzionalmente al valore delle materie prime. Purtroppo però di pari passo c’è incapacità da parte dei ristoratori italiani nel saper fare le carte dei vini, a partire dal ricarico dei prezzi: il vino a monte costa poco, ma quanto ti siedi al ristorante in Italia costa troppo”.
(www.winenews.it)
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