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Fao: cresce commercio agricolo, rischi per sicurezza alimentare

Presentato presso la Fao a Roma il Rapporto 2015/2016 sullo stato dei mercati dei prodotti agricoli nel mondo. Si tratta di uno studio volto a migliorare l’equilibrio tra le priorità nazionali e il bene collettivo dell’umanità e del Pianeta, come ha evidenziato il vicedirettore generale della Fao Daniel Gustafson. Vogliamo collaborare per arrivare ad un consenso sulle politiche agricole e commerciali, ha aggiunto Xiaozhun Yi, vicedirettore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, in vista della X Conferenza ministeriale dell’Omc, prevista a Nairobi, in Kenya, dal 14 al 18 dicembre. Roberta Gisotti ha intervistato Eleonora Canigiani della Divisione Commercio e Mercati della Fao:

D. - Dr. Canigiani, in evidenza nel rapporto è il tema della sicurezza alimentare. Crescono i rischi?

R. – Come sappiamo, negli ultimi 10 anni il commercio è aumentato notevolmente: circa tre volte in termini di valore. Questa tendenza si prevede che continuerà nei prossimi anni e di conseguenza il commercio avrà sempre più impatto su quella che è la sicurezza alimentare, in quanto diversi Paesi saranno sempre più coinvolti o come importatori o come esportatori. Questo avrà delle implicazioni su tutti i quattro pilastri della sicurezza alimentare: disponibilità, accesso, stabilità e utilizzazione. Il commercio agisce infatti su delle variabili socio-economiche che hanno a che fare con la crescita, la povertà, il reddito degli individui e il reddito di un Paese e può anche avere degli impatti a livello strutturale su infrastrutture e servizi. Tutte queste variabili condizionano la sicurezza alimentare. Per esempio: tramite le importazioni si aumenta la disponibilità; nello stesso tempo si ha anche un impatto sui prezzi perché aumentando l’offerta, i prezzi normalmente tendono a scendere. Quindi questo potrebbe rappresentare un vantaggio, ma allo stesso tempo questo meccanismo presenta anche dei rischi, perché aumentare l’offerta e abbassare i prezzi può essere un vantaggio per i consumatori, ma non per i produttori, perché a livello nazionale hanno meno incentivo a produrre quegli alimenti. E nel momento in cui si verifica uno shock a livello internazionale e di conseguenza non c’è più possibilità di importare, il Paese si trova in difficoltà nel gestire il fatto di non avere più la stessa capacità che aveva prima di soddisfare la domanda interna, perché il produttore nazionale è impreparato a dover rispondere a quella domanda.

D. – Dott.ssa Canigiani, questo aumento del commercio mondiale vuol dire che c’è aumento anche di produzione: questo quali effetti può avere nella difesa dell’ecosistema?

R. – Questa sicuramente è una delle grandi sfide dei prossimi anni, anche dei prossimi decenni, in quanto la popolazione mondiale aumenta e cambiano le modalità di consumo: c’è una proiezione almeno di un incremento del 60 per cento fino al 2050. Certo, la grande sfida è che questa produzione venga incrementata rispettando la sostenibilità ambientale, nonché sociale. Quello che noi cerchiamo di argomentare in questa pubblicazione è il fatto di guardare a quella che è la specificità dei Paesi: non c’è una regola per tutti, non c’è una best-practice o una modalità di produrre o di fare politiche commerciali che vale ovunque. Bisogna vedere qual è lo stato di sviluppo del Paese, in particolare dell’agricoltura all’interno di quel Paese.

D. – A questo proposito, libero scambio e protezionismo: a che punto siamo rispetto al pensiero del passato, forse un po’ troppo semplificato?

R. – Il pensiero forse è ancora un po’ semplificato, nel senso che c’è questa forte polarizzazione tra chi parla di libero scambio in termini assoluti – apparentemente almeno – e chi invece parla di politiche più protezioniste. Quello che diciamo noi è che bisogna sempre considerare quale sia la situazione di un Paese, perché non c’è una legge uguale per tutti: se l’obiettivo è quello di passare da un’economia fondamentalmente agricola ad una economia più evoluta, in cui il manifatturiero piano piano cresce e si articola in più settori l’economia, bisogna avere un obiettivo di lungo termine; mentre invece le politiche commerciali – per quello che riguarda la sicurezza alimentare – spesso hanno un obiettivo di corto termine, che si limita quindi a guardare quello  che è l’impatto sui prezzi e ad andare a mitigare il rischio di questo impatto, senza porsi necessariamente in una prospettiva di quella che è la trasformazione strutturale dell’economia.

D. – In questo rapporto  la Fao propone una sua idea per governare meglio il commercio dei prodotti agricoli nel mondo…

R. – Innanzitutto fare una distinzione fra il breve e il lungo termine e quindi valutare molto attentamente, in base a quella che è la situazione specifica del Paese e in particolare il ruolo che il settore agricolo svolge, e ragionare in termini di trasformazione strutturale dell’economia. Quindi non pensare solo ai prezzi, se il commercio internazionale favorisce i produttori piuttosto che i consumatori. L’altro aspetto è riflettere su come vengono formulate le politiche commerciali, perché spesso e volentieri nei Paesi in via di sviluppo sono processi paralleli, legati al Ministero dell’agricoltura, al Ministero del commercio e alle istituzioni rilevanti nei due ambiti, senza che ci sia una vera coordinazione: per cui sono processi paralleli, che poi coinvolgono attori anche internazionali e donatori in due processi che non sono interconnessi.

(http://it.radiovaticana.va)


 



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