SALUTE E BENESSERE
Attenzione sale! Sui menu di New York compare una saliera per mettere in guardia dall’eccesso di sodio

Ancora una volta New York, grazie alla spinta impressa dal sindaco (oggi Bill De Blasio, ieri Michael Bloomberg) e dal consiglio comunale, fa da apripista con un provvedimento che, probabilmente, sarà presto adottato anche in altre città o stati americani e non solo, e comunque prosegue nella sperimentazione di ogni possibile mezzo valido per educare i suoi cittadini a mangiare meglio.

A partire dal primo dicembre, infatti, tutti i ristoranti che hanno più di 15 punti vendita nel paese (e quindi in tutti gli stati), dovranno indicare sui menu, con una saliera ben riconoscibile, ogni pietanza il cui contenuto di sodio superi il valore giornaliero consigliato, pari a 2,3 grammi (il consumo medio di ogni americano è stabilmente attorno ai 3,4 g al giorno); rientreranno quindi nell’ordinanza tutte le grandi catene, da McDonald’s a KFC, da Pizza Hut a Taco Bell.

L’iniziativa, di cui hanno dato notizia molti media, segue il tentativo di introdurre il divieto per i bicchieri troppo grandi (superiori a 473 millilitri, o 16 once) di bibite zuccherate, fatto da Bloomberg nel 2012 e fallito in seguito a una sentenza della Corte di stato, ma anche alla decisione, diventata legge nel 2008, di obbligare i ristoranti a indicare il conteggio calorico sui menu, regola che la FDA ha poi iniziato a implementare in tutto il paese, e che diventerà obbligatoria per tutti entro la fine del 2016.

Il provvedimento, inoltre, è stato annunciato negli stessi giorni in cui Francesco Cappuccio, consulente OMS e docente da oltre trent’anni di medicina cardiovascolare ed epidemiologia presso l’Università di Warwick, in Gran Bretagna, ha lanciato un accorato appello a tutti i governi affinché introducano leggi severe sul junk food e, in particolare, sul contenuto di sale. Dai dati pubblicati nello studio uscito sul British Medical Journal Open, infatti, e ottenuti in Italia valutando quasi 4.000 persone di tutte le regioni e di ogni estrazione socioeconomica, è emerso ancora una vota che a rimetterci in salute, quando i cibi industriali e dei fast food sono malsani, sono innanzitutto le persone con minori disponibilità economiche e più basso livello di istruzione (nel caso italiano situati per lo più al sud, ma non solo). I nuovi dati, peraltro, ne rispecchiano altri molti simili ottenuti sempre da lui in Gran Bretagna, dove le zone a maggior rischio cardiovascolare e di morte sono risultate quelle della Scozia e di alcuni distretti, sempre tra i più poveri.

L’esperto, nel lavoro, spiega poi con numeri molto semplici perché è necessario agire con normative cogenti: le linee guida indicano in 6 la quantità massima di grammi di sale da assumere ogni giorno (più o meno quanto un cucchiaio da tè), valore che diminuisce nell’infanzia. Nei paesi occidentali, il 75% del sale introdotto è però nascosto, perché viene assunto tramite alimenti industriali o piatti offerti dai ristoranti, e solo il 15% deriva da aggiunte volontarie, cioè dalla cucina domestica; il restate 10% giunge invece da fonti naturali. Rimanendo il consumo medio stabilmente al di sopra dei limiti consigliati, l’unica opzione di reale efficacia è quindi di intervenire sugli alimenti di provenienza industriale, come del resto ha dimostrato la campagna in atto in Gran Bretagna da diversi anni, che negli ultimi otto ha portato a una riduzione del consumo di sale di 1,5 grammi al giorno. In oltre, dal 2001, con la sigla del Responsibility Deal, le aziende si sono impegnate a ridurre gradualmente il sale e in generale a migliorare la qualità del cibo prodotto, e questo ha contribuito alla diminuzione del consumo di sodio. Ma questo non basta, soprattutto perché le persone che più pagano le conseguenze di formulazioni ricche di sale sono anche quelle che si curano di meno e fanno meno prevenzione. E lo stesso vale in tutti i paesi occidentali, e la tendenza al calo è troppo lenta. (Agnese Codignola - www.ilfattoalimentare.it)





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