Sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea sono state pubblicate le linee guida sull’uso prudente degli antibiotici in medicina veterinaria, partendo dal fatto che negli ultimi anni l’impiego massiccio di questi farmaci sull’uomo e sugli animali ha accelerato la comparsa e la diffusione di microrganismi resistenti. La situazione è peggiorata a causa della mancanza di investimenti nello sviluppo di nuovi antibiotici efficaci. La gravità è evidente: si stima che ogni anno le infezioni resistenti ai medicinali siano responsabili del decesso di almeno 25.000 pazienti e costino all’Unione europea 1,5 miliardi di euro in spese sanitarie e perdita di produttività.
Le linee guida, che non hanno carattere vincolante, mirano a contrastare la resistenza agli antibiotici attraverso un loro uso prudente negli animali, indicando le misure che gli Stati membri devono considerare in sede di elaborazione e attuazione delle strategie nazionali. Il rischio di resistenza aumenta se gli antimicrobici sono usati impropriamente, ad esempio in modo non mirato (trattamenti collettivi o uso per microrganismi non sensibili), a dosi sotto-terapeutiche, ripetutamente o per periodi di tempo inadeguati.
L’Unione europea vieta l’utilizzo degli antimicrobici negli animali a scopo preventivo e li autorizza solo a fini terapeutici. Così non è in altri paesi, come gli Stati Uniti. Tuttavia, siccome la resistenza antimicrobica rappresenta una minaccia globale e la cooperazione internazionale in materia è fondamentale, nell’ambito della sua strategia globale, nel 2009 l’Unione europea ha promosso l’istituzione di una task force Ue-Usa, che nel 2011 ha pubblicato alcune raccomandazioni.
Per quanto riguarda l’Europa, le linee guida dell’Ue forniscono alcune indicazioni generali ed altre più specifiche a seconda dei vari animali. In generale, la prescrizione e la somministrazione di questi medicinali deve essere giustificata da una diagnosi veterinaria conforme all’attuale stato delle conoscenze scientifiche. Quando è necessario prescrivere un antimicrobico, la prescrizione deve essere basata su una diagnosi formulata a seguito di un esame clinico dell’animale da parte del veterinario. Se possibile, deve essere eseguito il test di sensibilità antimicrobica per determinare la scelta dell’antimicrobico. La profilassi non va adottata in modo sistematico, ma deve essere riservata a indicazioni specifiche in casi eccezionali. La somministrazione di medicinali a un intero allevamento o branco deve essere evitata, ove possibile. Gli animali malati vanno isolati e trattati individualmente, ad esempio somministrando preparati iniettabili.
Inoltre, quando si decide in merito al trattamento antimicrobico, occorre considerare tutte le informazioni relative agli animali, alla causa e alla natura dell’infezione e alla gamma di antimicrobici disponibili. Un antimicrobico a spettro limitato deve sempre essere la prima scelta, a meno che precedenti test di sensibilità – sostenuti, se del caso, da dati epidemiologici rilevanti – ne dimostrino l’inefficacia. L’uso di antimicrobici ad ampio spettro e di combinazioni deve essere evitato, ad eccezione di combinazioni fisse contenute in medicinali veterinari autorizzati. Se un animale o gruppo di animali soffre di infezioni ricorrenti che richiedono un trattamento antimicrobico, è necessario intervenire per eradicare i ceppi di microrganismi, stabilendo il motivo per cui la malattia è ricorrente e modificando le condizioni di produzione, la zootecnia e/o la gestione. L’uso di agenti antimicrobici che tendono a favorire la propagazione della resistenza trasmissibile deve essere evitato. (Beniamino Bonardi - www.ilfattoalimentare.it)
ASA Press / Le notizie di oggi