Se il primo avversario dell’industria agroalimentare italiana è la concorrenza, il vero nemico è
rappresentato ancora dalle frodi alimentari, che mettono in pericolo non solo la salute dei
consumatori, ma anche la credibilità di marchi, denominazioni ed intere filiere produttive. Un problema affrontato da 60 esperti internazionali nel convegno organizzato dall’Ente statale britannico Uk Science& Innovation Network insieme al Food Integrity European Project, ospitato dal Parco Tecnologico di Lodi. Il fenomeno, come ha ricordato Barbara Gallani, italiana ai vertici della Food & Drink Federation inglese, “esisteva già ai tempi dei romani, quando si addolciva il vino con gli ossidi di piombo, mentre oggi si usa carne di cavallo in prodotti a base di bovino. Conoscere la storia della contraffazione e dell’adulterazione ci aiuta a prevenirla e a dotarci degli strumenti necessari e combatterla”. Ma come si fa, in termini pratici? Secondo Michele Suman di Barilla, e membro del Comitato Direttivo del progetto Food Integrity, “le frodi dipendono da 3 fattori: il guadagno potenziale, la facilità di identificazione della frode e la severità della pena qualora essa venga identificata. Per combatterle serve dunque capire quali sono i punti critici delle filiere e trovare strumenti gestionali e analitici che rendano non vantaggiosa la frode. Per questo, all’interno del progetto europeo Food Integrity, abbiamo sviluppato un database dove abbiamo raccolto tutti i prodotti alimentari, le possibili frodi che posso avvenire lungo tutta la filiera di produzione e le metodiche analitiche già oggi disponibili per prevenirle”. Uno dei limiti più
evidenti che la repressione frodi deve affrontare, però, è ancora quello dei confini nazionali, in un
mondo ormai globalizzato, in cui truffe e reati raramente sono circoscritti ad un solo Paese. “Il sistema della repressione frodi - spiega infatti Stefano Vaccari, capo Ispettorato Repressioni Frodi del Ministero delle Politiche Agricole - deve poter operare anche fuori dai confini nazionali, non può essere un semplice sistema di controllo interno nazionale. Per questo ci siamo battuti come Paese per far riconoscere i nostri prodotti come patrimonio culturale dell’Unione”. (www.winenews.it)
ASA Press / Le notizie di oggi