Dall’incipit medievale del Laudato si’, più classico del latino e più sintetico di un tweet, la mano corre veloce, leggera ma non leggiadra lungo i paragrafi del testo, alla stregua dei tasti di un pianoforte. L’enciclica tocca le corde dell’anima e dei sensi, dell’intelletto e dell’istinto, declinando le diverse variazioni sul tema e muovendo dall’assunto che società e ambiente, natura e storia si degradano, e gridano, insieme: “I gemiti di sorella terra si uniscono a quelli degli abbandonati del mondo”, in altrettanti acuti, e ambiscono a trasformarsi in titoli di stampa, subito. E in atti di governo, a seguire.
Dal “debito ecologico” tra Nord e Sud al “credito” dei poveri verso le banche, salvate a loro spese. Dal “punto di rottura” delle catastrofi, naturali e finanziarie, alla catarsi adamitica, o francescana, dell’uomo “nudo di fronte al suo stesso potere”. Come se a provocare l’urlo della creatura, in un aggiornamento della tela di Munch, non fosse la visione apocalittica del creato, che stilla “sangue e lingue di fuoco”, bensì semplicemente la propria immagine, riflessa in uno specchio.
Scenari terrificanti da Hunger Games e disaster movie, dove si lotta per l’acqua e il cibo, si alternano a ricercate, raffinate inquadrature da documentario del National Geographic, dove si assiste allo spettacolo, e al miracolo, degli ecosistemi, che intervengono “nel sequestro dell’anidride carbonica, nella purificazione dell’acqua, nel contrasto di malattie e infestazioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti...”. La panoramica del Pontefice, “gioiosa e drammatica insieme”, trasmette il respiro del pianeta e dei suoi “polmoni”, dalle foreste pluviali al loro equivalente marino, le barriere coralline, “con un milione di specie”. Dalla profondità degli oceani alla sommità dei ghiacciai, perché “il mondo è qualcosa di più che un problema di risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode”.
Centonovanta pagine di scrittura creativa, meditativa, emotiva. Una scala di Giacobbe fra cielo e terra, un saliscendi di ragionamenti teologici e passaggi poetici, argomenti scientifici e momenti ascetici, per sfatare le previsioni del meteo e spiegare ai lettori che niente, in fondo, sta scritto. E’ questo il Leitmotiv di Bergoglio: che il futuro, per quanto compromesso, è rimesso, ancora, nelle mani dell’uomo. Parola di Papa, ci si può credere. Comunque si deve, in assenza di alternative: “…sappiamo che le cose possono cambiare, il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato”.
Poi il pianista si alza e fa l’inchino al pubblico planetario, come quando si affacciò dalla loggia centrale, sotto un cielo di pioggia, sentendo arrivare la tempesta con “quella che in spagnolo alcuni chiamano rapidizzazione (“rapidación”) e realizzando che di conseguenza non c’era tempo da perdere: profetico e solenne all’insegna del Noè di John Houston, pratico e solerte sul modello più recente di Russell Crowe. Così a meno di una settimana dall’elezione, il 19 marzo, festa di San Giuseppe e giorno inaugurale del pontificato, Francesco dava inizio alla costruzione dell’arca, pronunciando un discorso che suonò alla maniera di uno slogan, “custodire il creato”, e cominciando un percorso sugli “assi portanti che attraversano tutta l’enciclica: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica del nuovo paradigma e delle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso…”
La barca di Pietro diventa quindi arca di Noè e prende a bordo tutti, etologica oltre che ecologica. Più “ecumenica” e dettagliata della stessa Bibbia. Bergoglio non si limita infatti ai piani alti dei mammiferi e degli uccelli, come nei film, ma scende nel sottobosco e include nell’appello “i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi”, creature che riflettono, scrive, “ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza di Dio…Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto”.
Romantico e accademico, francescano ma gesuitico. Al pari dei Promessi Sposi, che il Papa per sua ammissione tiene sulla scrivania, pure “Laudato si’” ha conosciuto il vaglio di una triplice stesura, scandendo i risvegli antelucani del Pontefice, nelle albe quando fuori è ancora buio, in cerca dell’idea e della lampadina low cost che dal cenacolo di Santa Marta illuminasse in modalità durevole, sostenibile il futuro prossimo. E come i Promessi Sposi possiede l’atout dei libri destinati a sopravvivere alla propria epoca. Compenetrandola e contraddicendola, fotografandola e trasfigurandola, unendosi ad essa e separandosene, per superarla in nuove sintesi.
Non solo romanzo storico, bensì manifesto politico, che ricalca singolarmente le dinamiche della Rerum Novarum. Se l’enciclica di Leone XIII giungeva con un ritardo di mezzo secolo sul Capitale di Marx, Laudato si’ sconta un gap analogo nei riguardi del movimento ambientalista. Tuttavia, beneficiando del terreno biblico, culturalmente profondo e fecondo come nessun altro, realizza un innesto fra le due tradizioni, che avevano finora convissuto, e combattuto, fianco a fianco senza unificarsi. Una sorta di OGM, insomma, o enciclica verde dal cuore rosso, in grado di colmare e nutrire, a sinistra, il vuoto ideologico: “Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.”
Per sei capitoli e duecentoquarantasei paragrafi Francesco martella incessantemente la politica, già di per sé ammaccata, esangue e sul punto di estinguersi, per rimanere in tema. Cosa che peraltro non desterebbe rimpianto, se non fosse che insieme scomparirebbero libertà e giustizia, collegate organicamente a essa, nell’ambito dello stesso ecosistema: “Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade… prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno - economico finiscano per distruggere non solo la politica, ma anche la libertà e la giustizia”.
Sono dunque i politici, o meglio gli statisti, a risultare la specie più in pericolo, nell’enciclica sulla biodiversità, stretti, e stritolati, dall’alleanza tra economia e tecnologia, che ha generato il mostro, ibrido e ingordo, sterile ma insaziabile della tecno-finanza: “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente…La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia…”
Mentre il Laudato si’ di Francesco d’Assisi costituiva un cantico universale ante litteram, quello di Francesco da Buenos Aires esprime un’ode globalizzata, letteralmente. Non solo la traduzione nelle diverse lingue, ma l’adozione di linguaggi differenziati, spaziando dagli aborigeni australiani, religiosamente attaccati alle loro terre, ai migranti sub sahariani, sradicati e in fuga, dalla guerra e dall’effetto serra. Una world car dal design innovativo: con un tratto forte, ben definito, e molteplicità di personalizzazioni. Un vettore ecologico che riduce la velocità e scala le marce fino ad arrestarsi e arretrare, qualora necessario: “… se in alcuni casi lo svilup¬po sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti de¬cenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi…Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro”.
Per la presentazione, e penetrazione commerciale, dell’enciclica, in tempo di trojke, Francesco ha mandato in campo un format alla moda e adottato un tridente, composto dal fantasista di casa, il cardinale Peter Turkson, ministro delle politiche sociali, e due fuoriclasse “stranieri”, un fisico teorico e un aristocratico teologo, ma soprattutto un tedesco e un greco, allineati una tantum: Hans Joachim Schellnhuber, new entry dell’Accademia Pontificia delle Scienze, acquistato “a titolo definitivo”, e il rifinitore bizantino John Zizioulas, in prestito dal Patriarcato di Costantinopoli, senza diritto di riscatto. Per adesso.
Al centro dell’area lo scienziato, fondatore del Potsdam Institute per la ricerca sull’impatto climatico, per mettere a segno dati e cifre, finalizzando e concretizzando l’intento del Pontefice, di un testo rivolto “a ogni persona che abita questo pianeta”. Sulla fascia il ghanese Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, per allargare il gioco e bypassare le obiezioni, o “sanzioni”, che prevedibilmente arriveranno da Ovest. Infine dietro le punte il metropolita di Pergamo, “pallone d’oro” e massimo esponente della teologia contemporanea, per cercare la profondità dei passaggi e messaggi a Est, attraverso un fraseggio corto e un dosaggio accorto.
Frontale e senza frontiere, altresì, l’affondo all’indirizzo delle superpotenze, accomunate nell’equazione, inquietante e inquinante, tra potenza e incoscienza: “La riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei Paesi più potenti e più inquinanti… I negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di responsabilità".
Nel frattempo al bipolarismo USA - URSS, contro il quale Wojtyla puntò l’indice nella Sollicitudo Rei Socialis, negli anni ‘80, è subentrato l’asse Washington - Pechino, con un rovesciamento di prospettiva non da poco. Diversamente dalla guerra fredda, che immobilizzava e congelava, ma in fondo conservava il mondo in freezer, impedendogli di sprigionare le propria energia, la guerra commerciale lo surriscalda, lo spoglia e lo squaglia, materialmente. Sicché l’essenza dell’uomo si vaporizza, come in un remake di Terminator, nell’immagine più visionaria dell’enciclica, per sfuggire al dominio delle macchine: “L’autentica umanità sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza di ciò che è autentico?”
Porta chiusa ma finale aperto, dunque. Se dalle pagine dell’enciclica Bergoglio teorizza una “rivoluzione culturale” a lungo termine, nell’agenda dei viaggi organizza la resistenza immediata. Un programma che da qui a novembre, prima del Giubileo, lo conduce dalle Ande alle savane, dalle rive del Tevere a quelle dell’Hudson e del Potomac. Dal parlamento dell’ONU al raduno degli extraparlamentari, da lui promosso, nuova Internazionale del Terzo Millennio, dei senza terra e senza tetto, a cui ha dato appuntamento in Bolivia. Dalla locomotiva d’America, nella cabina di guida dello Studio Ovale, ai vagoni di coda dell’Africa, fanalini del reddito pro capite. Mentre i macchinisti, dal canto loro, bruciano combustibili e non accennano a fermarsi. E il convoglio del mondo corre il rischio, incombente, di deragliare.
(Piero Schiavazzi - www.huffingtonpost.it)
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