QUALITA'
Troppe frodi nel pesce!

Fish Track, il progetto dell’Università di Siena contro le furberie del settore. Tepedino: serve un programma comune

Il problema delle frodi nel settore ittico è   ben noto. Per questo si moltiplicano le iniziative destinate a prevenirle attraverso strumenti in grado di identificare la specie e la provenienza oltre che verificare le diciture e sull’etichetta. L’ultima iniziativa in ordine di tempo arriva dall’Università di Siena, che in occasione di Expo2015 ha presentato Fish Track, un progetto biennale per la rilevazione delle frodi relative al pesce, organizzato in collaborazione con l’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (ISE) del CNR di Firenze, COOP Centro Italia e cofinanziato insieme alla Regione Toscana.

Obiettivo della ricerca è la caratterizzazione della specie di appartenenza – mediante metodologia di DNA barcoding – di campioni ittici delle specie più comunemente oggetto di frode, prelevati presso i supermercati della regione. Un secondo filone di ricerca riguarda  la determinazione della zona di origine e cattura di due specie locali pregiate, branzino e orata, mediante l’utilizzo di marcatori genetici specie-specifici, per controllare la veridicità dell’origine.

L’obiettivo di questi progetti è tutelare il consumatore

Sono stati presentati i risultati relativi alla prima parte del progetto relativi all’analisi di filetti di pesce decongelato, «particolarmente soggetti a frodi, perché hanno perso le caratteristiche tassonomiche che permettono di riconoscerli», spiega uno dei responsabili della ricerca, Giacomo Spinsanti dell’Università di Siena. I ricercatori hanno analizzato i filetti con il sistema del DNA barcoding, «ovvero confrontando una specifica porzione di DNA del campione con una banca dati internazionale, un sistema riconosciuto dalla FDA americana, con un livello di variabilità interspecifica adeguato alla discriminazione tra individui di specie diverse – aggiunge Spinsanti – così da collegare in modo univoco ogni campione a una determinata sequenza e  identificarne la specie», un po’ come avviene con il codice a barre per i prodotti commerciali. «Il progetto si propone di validare un protocollo di analisi efficace e facilmente applicabile, ispirato alle normative in materia di controllo e certificazione. L’obiettivo è tutelare il consumatore sia dal rischio di pagare come pregiato del pesce di qualità inferiore, sia evitare problemi di salute che potrebbero derivare dal consumo di pesci provenienti da aree inquinate».

Con questo metodo sono state individuate 17 frodi su 251 campioni analizzati. La maggioranza dei casi riguarda campioni etichettati come cernia, che sono risultati essere brotula, pesce chirurgo o pesce pagliaccio. Altre sostituzioni riguardano il Pagro (pagrus pagrus) venduto come Dentice (dentex dentex) o Pagello fragolino (pagellus erythrinus), e la Sogliola oceanica venduta come Sogliola mediterranea (solea solea). «Non è stato invece possibile ottenere risultati per quanto riguarda i crostacei- rileva Spinsanti – perché c’è molta confusione a livello di classificazione».

«Studi come questi sono certamente utili – spiega Valentina Tepedino di Eurofishmarket – ci sono molti istituti di ricerca che stanno lavorando su progetti simili e  anche noi  collaboriamo con alcuni per la parte relativa al reperimento e alla corretta identificazione del campione iniziale». Il problema delle frodi di sostituzione in questo settore (soprattutto per quanto riguarda i prodotti in filetti, i piatti pronti a cuocere, i prodotti trasformati in generale) è molto sentito: «La difficoltà – precisa Tepedino – è che a livello nazionale ed europeo non esiste una metodica riconosciuta ufficialmente e  ci sono diverse banche dati per valutare il target molecolare (gene) che si utilizza nella propria analisi».

Molti database sono liberamente accessibili, ma possono esserci problemi dovuti a sequenze non presenti di specie rare o presenti in alcuni aree specifiche di pesca (si spiegano così, tra l’altro, le difficoltà d’identificazione di numerosi crostacei e molluschi). «Da qui – prosegue Tepedino – è nata l’esigenza di creare una banca dati per le specie italiane, e comunque per quelle più pregiate. In questo modo si rafforza l’esito delle analisi dei laboratori di riferimento, che deriva dal confronto con vari database pubblici ma anche con le sequenze di una banca dati come quella coordinata dal Dipartimento del professor Camillo Secchi dell’Università di Medicina Veterinaria di Milano e il recentissimo progetto coordinato dall’IZS delle Venezie, che ha portato alla pubblicazione di “ittiobase”».

Entrambi i progetti hanno avuto il supporto del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e del Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto, proprio per la loro potenziale utilità. Il passo ulteriore sarebbe quello di validare i tracciati specie-specifici creando una banca dati di riferimento il più possibile ufficiale visto che molte aziende cominciano a richiedere queste indagini per verificare i propri fornitori. «Il dato più significativo del progetto Fish Track -prosegue Tepedino – è quello che ha messo in evidenza oltre il 50% di frodi per le cernie,  un dato rilevato anche da noi qualche anno fa in un’indagine condotta in diverse città italiane. Questo dimostra come sia fondamentale  cercare la frode nelle specie più famose che più si prestano alle contraffazioni». L’auspicio è  che il Mipaaf porti avanti i progetti utili all’identificazione, «anche coordinando e mettendo in rete tutti gli istituti di ricerca e i progetti già sviluppati così da avere un unico punto di riferimento per questa metodica, e soprattutto per la banca dati di riferimento». (Paola Emila Cicerone - www.ilfattoalimentare.it)



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