In Spagna, tra il 2011 e il 2014, è stato venduto sottocosto il 41% dell’olio
“Se un imbottigliatore offre prezzi al di sotto della concorrenza e senza collegamento con i prezzi di mercato della materia prima che lavora, dovrebbe rivedere il suo sistema contabile dei costi. E se non cambia metodo, non ci resta altro che pensare che stia attuando pratica fraudolenta”. Lo scrive nella sua relazione annuale Deoleo, la compagnia olearia spagnola proprietaria, tra gli altri, dei marchi Bertolli, Carapelli, Sasso, San Giorgio, Friol e Maya.
“La vendita di olio sottocosto e la pressione distruttrice sui margini della catena sono un incentivo alla frode, perché se un agricoltore, un imbottigliatore o un distributore vede che, con continuità, i suoi prodotti vengono venduti sottocosto, per sua necessità di sopravvivenza può cadere nella tentazione della frode. Frodi che vanno dall’etichettatura, minor riempimento, profili organolettici al limite, fino alla miscela con altri oli vegetali, miscele di sansa con il raffinato o aggiunte di deodorato all’extra vergine”. Dalla relazione di Deoleo emerge che in Spagna, tra il 2011 e il 2014, è stato venduto sottocosto il 41% dell’olio, con una perdita per il settore calcolata in 113,6 milioni di euro. La pratica della vendita sottocosto ha riguardato soprattutto i private label, mentre è stata molto limitata per i marchi del fornitore.
Deoleo invita tutti gli operatori del settore alla responsabilità, dichiarando, da parte sua, di tendere “la mano per smettere una vota per tutte con una pratica distruttiva”, che fa dire ai veterani del settore: “ho visto la stessa cosa negli anni ’80 e siamo finiti all’olio di colza». Il riferimento è allo scandalo dell’olio di colza destinato a usi industriali e venduto, invece, per il consumo umano, che nell’estate del 1981 causò circa 25.000 avvelenamenti, con quasi 400 morti e diecimila disfunzioni organiche permanenti. (Beniamino Bonardi - www.ilfattoalimentare.it)
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