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LA
VITA DELLA VITE
Dal Letame nascono i ... floreali
Nel
panorama delle strategie di gestione agronomica e fitosanitaria vi sono
da un lato le Aziende che attuano l'agricoltura cosiddetta convenzionale,
all'altro estremo troviamo l'agricoltura biodinamica, nel mezzo sta chi
opera la produzione integrata e chi la biologica. Gli Agronomi di SATA
ci aiutano a capire quali sono le differenze tra i sistemi produttivi
e perché è più importante la corretta applicazione
del sistema che il sistema stesso.
Convenzionale è la gestione che pensa a massimizzare il profitto
ottimizzando le rese, l’obbiettivo dell’agricoltore da sempre,
utilizzando metodi e materiali sempre più moderni e sofisticati,
talvolta purtroppo giungendo a trascurare l'impatto ambientale. Biodinamica
è lo stile produttivo di chi, ispirandosi alle teorie di un filosofo
tedesco del XIX secolo (Steiner), idealizza il rapporto cielo-terra-uomo
come il mezzo per produrre bene e buono, facendo in modo da rispettare
tutto il sistema dei viventi e la loro armonia con il cosmo. Molto difficile
da spiegare in poche parole, come alcuni “credo”, la Biodinamica
va condivisa indipendentemente dalle dimostrazioni scientifiche che non
devono essere, per loro natura, un supporto ideale a dimostrazione di
una pratica che va adattata ad ogni contesto secondo la sensibilità
di chi opera. Normalmente, comunque, questo approccio non porta a produzioni
elevate, piuttosto ad una forte tipizzazione di un prodotto. Chi segue
il metodo Biologico attua scelte razionali e frutto di studi, ma che come
dogma iniziale escludono l'utilizzo di prodotti di sintesi chimica. Anche
in questo caso l'aspetto "morale" gioca un ruolo importante
e quindi l'Azienda opera una scelta che non sempre trova successo nei
canali commerciali usuali ma che richiede interesse e competenza da parte
dei consumatori come degli operatori che sono coinvolti nella produzione
e che devono conoscere il contesto in modo più approfondito: si
tratta infatti di mantenere un equilibrio combattendo con mezzi meno potenti
e meno dirompenti.La produzione integrata coniuga (integra nel processo
produttivo) le strategie e gli obbiettivi dei metodi precedenti, scegliendo
di volta in volta ciò che ritiene meglio. Questa viticoltura sarà
tanto meno integrata quanto più farà scelte di comodo, mentre
sarà più rispettosa dell'ambiente se programmerà
l'utilizzo di metodi e sostanze che, appunto integrati tra loro, permetteranno
di rendere la pianta meno suscettibile alle malattie, l'ambiente meno
predisponente agli attacchi dei patogeni, l'impatto sull'agroecosistema
il minimo possibile.
Se escludiamo il caso dell'agricoltura convenzionale quando applicata
con scopi di puro lucro, possiamo affermare che non esiste un metodo che
sia, in assoluto e sotto tutti gli aspetti, meglio degli altri. Tutti
sono rispettabili e ogni Azienda ha il diritto di fare scelte in funzione
della propria capacità imprenditoriale, della sensibilità
ambientale, degli obbiettivi economici.
Ma, senza ombra di dubbio, possiamo affermare con forza che esistono più
modi di applicazione dei metodi di coltivazione, tanto che, se applicati
male, tutti i sistemi sono negativi per l'ambiente e non forniscono nemmeno
i risultati attesi. Facciamo l'esempio della concimazione o della fertilizzazione.
Se ragioniamo di impatto ambientale minimo, dobbiamo per forza di cose
puntare all'obbiettivo di lasciare ai nostri figli un terreno che sia
uguale, o al limite migliore, di quello che abbiamo trovato. Per questo,
non possiamo banalizzare la tematica della
nutrizione della vite affermando che la vite per fare qualità deve
essere debole e quindi va concimata poco. Se si asseconda questo principio,
i terreni divengono sempre più poveri e, negli anni, giungono al
limite di morire biologicamente o di svuotarsi di elementi. Questo processo
di morte lenta è molto pericoloso, si sta già verificando
in alcune situazioni e, considerato che quando avviene esso è il
frutto di secoli di sfruttamento indiscriminato, non possiamo certo presumere
che in pochi anni i nostri discendenti potranno riparare ai nostri danni.
Questa è solo una delle considerazioni per cui è sbagliato
parlare di nutrizione della vite! Noi Agronomi dobbiamo usare le chiavi
della conoscenza e della sensibilità ambientale per far sì
che le Aziende che si avvalgono della nostra consulenza capiscano il valore
vero della terra che coltivano.
Smettiamo di dire che concimiamo "la vite", dobbiamo nutrire
il terreno, questa è la vera, nuova coscienza da far condividere
a chi deve interpretare i dati della ricerca che ci parlano di esigenze
della pianta, spesso senza ricordarsi delle esigenze della terra! Ed allora,
indipendentemente dal modello produttivo, va rivalutato sempre più
il letame, che è la migliore espressione del "concime completo
ed equilibrato". A fianco del letame, vi sono molte altre deiezioni
animali, o concimi organici elaborati a partire da deiezioni e da sottoprodotti
vegetali o animali, oppure ancora compostati di diversa origine. Sono
tutti prodotti meritevoli di attenzione, purché le loro caratteristiche
fisico-chimiche non si discostino troppo dal letame e, soprattutto, purché
il loro processo produttivo sia trasparente e garantisca qualità
e assenza di inquinanti indesiderati.
Letame e simili sono concimi che apportano al suolo sia elementi che sostanza
organica. Essa è un componente essenziale nel terreno e non è
presente nei fertilizzanti chimici di sintesi. Svolge numerosissime azioni,
tra cui ricordiamo solo le principali. Serve da nutrimento per i microrganismi
del terreno, che contribuiscono al processo di humificazione (produzione
di humus) e rientrano nella catena alimentare della fauna terricola; la
possiamo immaginare come una spugna che immagazzina acqua ed elementi
nutritivi per rilasciarli alle radici nel momento del bisogno (il terreno
di per sé possiede queste capacità in modo estremamente
ridotto), ma anche come una impalcatura che sorregge le particelle micorscopiche
del terreno e funge da scheletro per una struttura all'interno della quale
si sviluppano le radici (che altrimenti verrebbero schiacciate dal peso
di un terreno troppo compatto e asfittico).
Quindi, ambiente migliore per le radici significa pianta in salute, equilibrata,
capace di produrre più radici, di esplorare meglio il terreno,
di infondere al succo della sua uva maggiore ricchezza di elementi e quindi
sapidità e complessità olfattiva e gustativa.
Ma, se ricordiamo l'assunto che in un sistema complesso come il vigneto
non può esistere un meccanismo univoco azione-reazione e quindi
non consideriamo l'apporto di letame come l'unica risorsa a nostra disposizione
per migliorare il suolo e l'equilibrio vegetoproduttivo della vite, allora
prenderemo in considerazione altre tecniche, come ad esempio l'inerbimento
(permanente dove possibile, temporaneo nelle altre situazioni), che possono
contribuire in modo determinante a aumentare il tenore di sostanza organica
nel suolo o la biodiversità nell'ambiente.
Il consulente o il viticoltore devono avere il chiodo fisso della salute
dell'ambiente in cui si opera, a prescindere dal modello produttivo adottato.
Devono ricercarlo - con i fatti e non solo a parole - con la stessa perseveranza
ed impegno, con lo stesso rigore scientifico e conoscenza degli elementi
di filiera con cui cercano di ottenere la qualità e il giusto profitto.
Ed allora, se è vero che il buon vino si può fare solo con
buone uve, forse è giunto il momento di chiedersi non solo chi
è l'Enologo e con quale maestria trasforma uve di qualità,
ma anche chi è l'Agronomo che fa ottenere quelle uve e come le
ottiene.
Testo a cura:
Dott. Agr. Marco Tonni marco.tonni@agronomisata.it
Dott. Agr. Pierluigi Donna pierluigi.donna@agronomisata.it
SATA Studio Agronomico www.agronomisata.it,
info@agronomisata.it
Dalla Vigna, il Vino.
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