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LA
VITA DELLA VITE
Le radici della qualità
Il vino ha radici nel territorio e nel terreno. Per questo programmare
un nuovo impianto implica decisioni frutto di attenti ragionamenti legati
a come l'Azienda desidera rapportarsi con l'ambiente, il territorio, la
produzione ed il mercato. Qui non vogliamo addentrarci in argomenti troppo
tecnici, desideriamo però accennare a quanto importanti possano
essere alcune scelte e fare considerazioni utili anche a chi si approccia
al vino come appassionato, affinché possa capire meglio l'origine
della qualità, scevra da false opinioni e interpretazioni.
Ragionando solo delle scelte prettamente operative, il lavoro di progettazione
di un nuovo impianto di vigneto deve partire da un'analisi che permetta
la corretta interpretazione delle esigenze aziendali. Per fare ciò
si devono valutare le caratteristiche ambientali del sito (clima e terreno)
e le aspirazioni produttive dell'Azienda (livello di qualità atteso,
mercati di riferimento). Quindi si prendono decisioni in merito forma
di allevamento prevista, distanze di impianto, portinnesto più
adatto, cloni e sistema di sostegno (pali, strutture, accessori, fili).
Anche se non esiste una ricetta univoca per l'impostazione di un vigneto,
vi sono alcune indicazioni che si possono fornire per chiarire qualche
aspetto.
Spostamenti terra: Diffidate di chi sposta terra in modo sconsiderato,
solo per ottenere risultati estetici e di comodità operativa. Il
primo pensiero di chi fa nascere un vigneto deve essere la vite. E la
pianta vive bene e riproduce con onestà le caratteristiche del
territorio, solo se può crescere su un terreno biologicamente vivo
e che rappresenta il territorio. Spostare indiscriminatamente terra significa
stravolgere la struttura del suolo, rimescolarne il profilo, frutto di
secoli o millenni di stratificazioni, vicissitudini, radici e microrganismi
che lì sono vissuti, in definitiva significa perdere o quantomeno
confondere le caratteristiche che da questo storico connubio potrebbero
nascere. Senza considerare il problemi di fertilità tipici di sconvolgimenti
di strati di terreno con differente fertilità.
La densità di impianto: si dice che la qualità si fa sulla
fila e la quantità tra le file. Ciò significa che, riducendo
la distanza di impianto tra le viti lungo la fila, è più
facile raggiungere un buon livello qualitativo, in quanto si chiede alla
vite di produrre meno poiché ha meno spazio a disposizione, quindi
le vengono lasciate meno gemme durante la potatura invernale e di conseguenza
produrrà meno grappoli. Ciò è vero, ma è anche
vero che al di sotto di un certo limite si raggiunge un punto di rottura,
lo spazio a disposizione per foglie e radici è troppo poco e la
vite ne soffre. Di certo, per vecchi retaggi di quando le vigne italiane
erano coltivate in modo promiscuo e quindi dovevano lasciare spazio ad
altre colture, in molte zone si è ben al di sopra delle distanze
di impianto che permetterebbero di ottimizzare la qualità ed è
particolarmente difficile convincere molti Produttori e anche numerosi
Tecnici della possibilità della vite di vivere e produrre bene
(anzi, meglio) con spaziature di soli 70-90 cm sulla fila. Qualsiasi motivazione
addotta dai detrattori può essere valida e vera, se presa a sé
stante, ma nessuna è sufficiente di per sé a giustificare
maggiori spaziature quando si punta ad ottimizzare le potenzialità
della vite. L'eccessiva fertilità del terreno o il vigore del portinnesto
diventano non determinanti e limitanti, se si attuano tecniche agronomiche
adatte, ad esempio, a incrementare la competizione dell'inerbimento, quando
presente, o a contenere lo sviluppo vegetativo. Chiedendo alla vite di
produrre meno, inoltre, si avrà più longevità e quindi
una prospettiva di maggiore qualità futura (il vigneto vecchio
è più qualitativo).
E se a vecchi retaggi si riferiscono i contrari ai sesti fitti, per contro
antiche tradizioni colturali possono essere citate dai sostenitori delle
densità elevate: è dimostrato infatti che, in tempi in cui
le vigne erano certamente più vigorose di oggi, quando in epoca
prefillosserica erano "franche di piede", ossia senza portinnesto,
vi erano vigneti a 20.000 piante per ettaro (quando oggi si considera
già ben fitto un impianto a 5.000 p/ha). Certo, in alcuni casi
non vale la pena estremizzare le scelte, perché ad esempio per
un bianco o una base spumante un ritardo di maturazione può anche
essere gradito, permettendo di preservare una maggiore acidità.
Ma, anche in questo caso, se pretendiamo troppo dalla pianta, in particolare
quando è giovane, può succedere che nell'uva non riescano
ad accumularsi in quantità adeguata molte di quelle sostanze che
determinano la qualità sostanziale di un vino, spesso difficilmente
misurabili dal punto di vista analitico: sapidità, eleganza, persistenza,
equilibrio.
Diminuendo la spaziatura tra le file, aumenta la quantità di prodotto,
ovviamente senza diminuire la qualità, in quanto aumenta semplicemente
la lunghezza dei filari per unità di superficie (il numero di filari
sulla medesima superficie). Se il dubbio di alcuni può essere che
minore spazio tra le file possa determinare maggiore umidità ambientale,
diciamo subito che non vi è, a nostra conoscenza, alcun risultato
sperimentale al mondo che avvalori questa teoria "intuitiva",
nemmeno in siti umidi, se non per valori estremi (sotto a 1,4 metri tra
le file).
Forma di allevamento: la scelta della forma di allevamento deve essere
indirizzata da considerazioni riguardo alla tipologia di prodotto e ai
quantitativi desiderati. Forme più espanse, viti più grandi
e spaziature più ampie sono in genere più produttive e vanno
meglio per vini più semplici e possono adattarsi meglio in ambienti
più vocati, mentre più ci si sposta in territori più
difficili o più alto è il livello qualitativo desiderato
e maggiore deve essere la ricerca di produzioni contenute per ceppo.
Portinnesto: l'importanza del portinnesto è innegabile, in quanto
è la parte di pianta che origina le radici e quindi determina l'adattabilità
al terreno di coltivazione, ma si deve anche dire che è spesso
sopravvalutata e altrettanto spesso ignorata. Purtroppo nella realtà
capita infatti frequentemente che si dica che il portinnesto è
importante, poi si agisca in modo superficiale, lasciandosi consigliare
dal rivenditore di barbatelle, il quale ovviamente suggerisce ciò
che torna comodo a lui e non ciò di cui davvero abbisogna l'Azienda:
proprio perché il portinnesto è importante si dovrebbe scegliere
quello giusto, ma proprio perché non è essenziale, spesso
non ci si rende conto di scelte non perfettamente adatte. L'esempio forse
più calzante a questo paradosso è il portinnesto SO4: caratterizzato
da ottima adattabilità, alto vigore ed elevato attecchimento, è
certamente tra i preferiti dai vivaisti. Sennonché, a livello produttivo
in vigneto mostra spesso squilibri nutrizionali e, soprattutto, ha il
grande limite di essere poco longevo, così i vigneti su SO4 durano
meno di altri... Ma a 30 anni di distanza dall'impianto, ben pochi viticoltori
sono in grado di attribuire ciò al portinnesto, anche perché
spesso non hanno termini di confronto nella propria Azienda.
Varietà e cloni: se la varietà è frutto di scelte
strategiche che esulano da questa discussione, il clone invece è
un elemento fondamentale, per la scelta del quale purtroppo valgono le
considerazioni fatte a proposito del portinnesto (troppo spesso sceglie
il rivenditore, che propina ciò di cui dispone).
Così, è importante scegliere il clone in funzione delle
caratteristiche enologiche desiderate, ricordando che ciascun clone possiede
potenzialità peculiari, ed è quindi errato, ad esempio,
scegliere un clone ritenuto qualitativo, ma da invecchiamento, per un
vino frizzante. Peraltro, anche per il clone, come per il portinnesto,
va ricordato che nulla è fondamentale, ma tutto importante: quindi,
bene dare la preferenza al clone più adatto, ma meglio abbinare
più cloni, in modo da ottenere un vino complesso, o addirittura
fare selezione nei vecchi vigneti Aziendali delle vigne potenzialmente
interessanti (selezione massale interna).
Sostegni: negli ultimi anni pali e fili si sono evoluti a ritmo vertiginoso
ed ora vi è l'imbarazzo della scelta tra diversi materiali usati
per produrre pali, e, nell'ambito di quelli, degli accessori. Salvo preconcetti
ideologici, utilizzare cemento, legno, plastica o metallo non determina
diverse risposte della vite. Di certo alcuni materiali sono meccanicamente
meno elastici e più difficili da adattare alle esigenze colturali,
altri invece sono più comodi o veloci da piantare e da gestire,
ma di fatto la scelta può ricadere su l'un tipo o sull'altro, a
prescindere dal livello qualitativo desiderato e fondamentalmente in funzione
della forma di allevamento prevista.
Da questa rapida panoramica, si evidenzia che il ruolo del Tecnico consulente,
che sia totalmente indipendente dai fornitori di prodotti, è assolutamente
fondamentale per operare scelte corrette in ogni diversa Azienda.
Cesare Bosio in un giovane vigneto.
Testo a cura:
Dott. Agr. Marco Tonni marco.tonni@agronomisata.it
Dott. Agr. Cesare Bosio cesare.bosio@agronomisata.it
SATA Studio Agronomico www.agronomisata.it
, info@agronomisata.it
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