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LA
VITA DELLA VITE
A cura di Marco
Tonni [tonni@asa-press.com]
OGM: sì, no, forse?
Un Organismo Geneticamente Modificato è
un essere vivente nel cui DNA viene inserita una porzione di un organismo
di una specie diversa. Poiché il DNA è il codice di informazioni
che determina il “comportamento” (biochimico, fisiologico,
metabolico) di un essere vivente, modificare il DNA può significare
cambiare le risposte di tale organismo all’ambiente che lo circonda.
Il dibattito sugli OGM è sempre più esteso, ciascuno riporta
le proprie ragioni ed aggiungere qualcosa che non sia già stato
detto diventa sempre più arduo.
Tuttavia vorrei provare a fare una riflessione cambiando punto di vista,
rispetto a quanto solitamente viene affermato.
PREMESSA
Io ho una formazione scientifica, come, più o meno, tutti coloro
che si occupano di agricoltura a livello di consulenza professionale.
Parecchi anni di scuole ed Università e molti di approfondimento
successivo su riviste scientifiche, mi portano ad affermare che sia giusto
che l’Uomo ricerchi e faccia esperimenti, per capire, proporre soluzioni
nuove, conseguire miglioramenti che certamente migliorano il tenore di
vita e le nostre prospettive.
In quest’ottica gli OGM possono dare un enorme contributo perché
possono risolvere problemi reali e migliorare la qualità della
vita.
Ma quali sono i problemi reali che gli OGM potrebbero, o forse sarebbe
meglio dire, dovrebbero, risolvere?
L’esempio che viene sempre fatto è quello della soia della
Monsanto resistente al diserbante che la stessa Monsanto produce: si può
usare quella soia e quel diserbante in abbinata, eliminando così
le malerbe che competono con la soia e ottenendo rese maggiori. Questo
semplifica la tecnica produttiva e fa produrre di più. Chi protesta
contro gli OGM dice che in questo modo si inquina di più per l’uso
massiccio del diserbante e si vincolano i produttori alla dipendenza dalle
forniture di una multinazionale. Senza trascurare che per la ricombinazione
genetica che vi è quando piante della stessa specie si incrociano
tra loro, vi potrebbero essere in futuro problemi dovuti alla dispersione
di geni alloctoni (stranieri) in popolazioni di soia “naturali”.
È anche vero che gli agricoltori che coltivano mais, riso ed altre
grandi colture, sono comunque dipendenti dall’acquisto delle sementi
delle multinazionali, anche quando non OGM, perché gli ibridi o
le varietà estremamente produttive che sono coltivate da decenni
sono prodotti o commercializzati da loro.
Per contro, esempi dell’utilità degli OGM presumibilmente
senza controindicazioni dirette sono quelli di OGM prodotti per specifiche
finalità mediche, alimentari, ambientali e non per interessi come
l’esempio suddetto. L’insulina prodotta da batteri GM ha risolto
i problemi di quella prodotta dai suini e che determinava allergie nei
pazienti, ed i microrganismi GM che riescono a ripulire ambienti contaminati
da petrolio sono certamente utili. Esiste anche un riso “giallo”,
che contiene un precursore della vitamina A e può essere utile
nei Paesi poveri dove la sua carenza porta a gravi malattie infantili,
ma in esso la concentrazione del precursore della vitamina è troppo
bassa; allo stesso modo, vengono prodotti mais resistenti ad insetti,
quindi sui quali non è necessario utilizzare insetticidi, anche
se dobbiamo attenderci che nel tempo le popolazioni di insetti possano
adattarsi e quindi si selezionino fra alcuni anni (che siano 10, 100 o
1000, non è dato sapersi) popolazioni di questi insetti in grado
di aggirare il problema. Gli esempi possono essere, e saranno, sempre
di più.
Di per sé quindi gli OGM potrebbero anche non essere solamente
una subdola strategia delle multinazionali per creare dipendenza ai loro
prodotti, anzi potrebbero essere una grande opportunità per il
miglioramento della vita o la soluzione di alcuni problemi ambientali.
Quale diverso punto di vista?
Uno dei tormentoni di questa rubrica è la sostenibilità.
Se non ragioniamo più in termini meccanicistici, come invece troppo
spesso si ragioniamo in funzione della nostra formazione scientifica,
non dobbiamo più guardare al meccanismo causa-effetto come ad un
qualcosa che avviene in un proprio mondo perfetto. Infatti, non basta
avere una pianta che resiste ad un insetto, se l’insetto riesce
a trovare nella sua progenie un figlio che resiste a quella pianta. Bene
invece avere un batterio che produce insulina, se questo processo è
“fine a sé stesso” e pertanto vive davvero nel proprio
mondo perfetto.
Penso allora che il vero problema non sia se esiste un’utilità
per gli OGM, o se e quanto il bilancio del loro rapporto rischi-costi/benefici
sia favorevole o meno (qualcosa di utile fanno, anche se in funzione dei
diversi punti di vista può essere più utile che dannoso
o viceversa).
Probabilmente non vale nemmeno arrovellarsi su quanto potrebbero essere
potenzialmente pericolosi gli OGM per il futuro del nostro ambiente o
per il presente della nostra salute, perché per queste valutazioni
non si può far altro che affidarsi ai dati scientifici ed agli
studi estremamente approfonditi che già vengono fatti: sicuramente
si fanno più studi sulla salubrità e sicurezza degli OGM
che non di qualsiasi altro prodotto.
E non credo che conti molto se gli OGM sono in mano a poche multinazionali,
dato che, nostro malgrado, anche la benzina delle nostre auto lo è,
come le scarpe o le magliette che usiamo ogni giorno, e, come detto, lo
sono molte delle sementi che già stiamo utilizzando.
Il problema più grave a mio parere, più indiretto e quindi
più subdolo, è che utilizzare OGM significa far passare
un messaggio fuorviante, il “solito” messaggio meccanicistico
e semplificatore, il concetto che è giusto fare ciò che
si reputa necessario per ottenere un obbiettivo senza ragionare sugli
effetti collaterali. Non intendo gli effetti, probabilmente molto ben
conosciuti e perfettamente studiati, che essi possono determinare sull’ambiente
o sulla nostra salute.
Sto parlando dell’effetto dell’uso degli OGM sulla mentalità
produttiva. Una mentalità sostenibile deve trovare soluzioni alternative
sia agli OGM che al diserbo, sia all’uso eccessivo di energie non
rinnovabili che al calpestamento del suolo, sia agli antiparassitari utilizzati
indiscriminatamente che alle sementi monomarca.
Di fatto, un agricoltore con una mentalità aperta a fare agricoltura
sostenibile non deve pensare: “tanto c’è chi mi risolve
il problema”, ma deve sentirsi attore principale della sua sostenibilità,
giocare un ruolo da protagonista, con idee ed azioni, non un ruolo passivo
di mero utilizzatore dell’ambiente che ha a disposizione o delle
tecnologie che paga di tasca sua.
E allora?
Questo non significa rifiutare il progresso, anzi?!
Significa proprio l’opposto: sfruttare al massimo tutte le conoscenze
che il progresso ci fornisce, ottenute ad esempio anche grazie agli studi
sugli OGM, sui fitofarmaci o sulla biodiversità, per affinare sempre
più le tecniche, le macchine, le strategie operative, ma soprattutto
la nostra testa ed il nostro modo di pensare, al fine di impostare metodi
di lavoro che siano sempre più sostenibili.
Non significa nemmeno rifiutare ciò che il progresso ci mette a
disposizione e che siamo consapevoli fin da ora che possa essere pericoloso,
come ad esempio i fitofarmaci!
Essi sono pericolosi, ma indispensabili per garantire produttività
(= sostenibilità) alle nostre Aziende e per salvaguardare gli ambienti
dove c’è agricoltura, che in assenza di presidio verrebbero
abbandonati in favore di incolti o di zone industriali; per il momento
non possiamo immaginare un’agricoltura senza fitofarmaci. Però
dobbiamo cercare di fare agricoltura nel modo migliore possibile. Talvolta
il migliore non è altro che il meno peggio (come nel caso dell’uso
dei fitofarmaci, che siano essi di sintesi o biologici), talaltra il migliore
modo è il voler perseguire le giuste e buone produzioni con metodi
faticosi o impegnativi, ma meno impattanti di altri.
Quindi, non significa rifiutare sempre e comunque gli OGM perché
possono essere pericolosi. Insulina docet. Ma si tratta di un processo
“industriale”.
In agricoltura ed in zootecnia li rifiuterei sempre, perché possono
rappresentare una falsa scorciatoia ed un modo semplicistico di banalizzare
la filiera produttiva; con il loro utilizzo gli Agricoltori ed i Tecnici
arrivano a sottovalutare gli effetti collaterali delle strategie produttive
o a trascurare le “buone pratiche agricole” credendole superflue
grazie alla presenza del “superGene”. Significa rifiutarli
anche quando il loro uso, come quello di altre sementi non OGM, riduce
la biodiversità di un ambiente agricolo ad essere “solo”
cento volte più di quella di una metropoli, quando invece dovrebbe
esserlo 10mila volte in più. In definitiva, il problema vero non
sono gli OGM, ma il nostro atteggiamento che può farceli ritenere
erroneamente la panacea di ogni problema, azzerando lo stimolo alla conoscenza
ed al miglioramento dei processi produttivi.
Da ultimo, faccio giusto un riferimento al mondo viticolo, che non può
mancare. Se mai dovessero produrre una varietà OGM resistente a
Peronospora, sarebbe a mio parere da rifiutare: a cosa vale produrre vino
Chardonnay (o Merlot, o Nebbiolo) con un OGM senza utilizzare fitofarmaci
antiperonosporici, quando l’uomo, con ingegno e pazienza, può
ottenere un risultato analogo (anche organoletticamente) incrociando in
modo naturale individui del genere Vitis tra loro per dare origine a una
progenie di varietà con la stessa resistenza? In questo caso la
produzione di un OGM rischierebbe di cancellare non solo la biodiversità
varietale, ma anche l’impegno umano a ricercare soluzioni. E, per
inciso, personalmente ritengo che queste varietà resistenti oggi
allo studio diverranno la viticoltura del futuro.
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