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LA
VITA DELLA VITE
“Trattiamoci” bene!
Cari Amici, gentili Lettori,
continua l’appuntamento con SATA, gruppo di Dottori Agronomi consulenti
in viticoltura ed olivicoltura, che credono in un obiettivo comune: valorizzare
l’Azienda permettendo alla vigna
di esprimersi al meglio nel proprio territorio.
Con questa uscita si “tratta” un argomento molto delicato:
quello dei trattamenti antiparassitari in vigneto.
Auspichiamo che questa rubrica risulti interessante e, soprattutto, che
possa essere stimolata dalle Vostre richieste e domande, alle quali saremo
particolarmente orgogliosi di poter rispondere.
Ricordiamo quale è la filosofia del nostro intervento in vigneto,
perché essa è la premessa all’approccio sull’impatto
ambientale di cui parliamo in questo testo.
La vigna deve essere guidata nel suo sviluppo, dall’impegno
delle persone che in ogni Azienda operano, affinché
accompagni l’uomo nella sua esigenza di produrre
vini che siano sinceri come la pianta che li fa nascere. La consulenza
rappresenta l’anello di congiunzione tra il territorio
ed il desiderio del vino: si devono interpretare con
sensibilità ed esperienza sia gli obiettivi dei Proprietari
che le esigenze delle loro Vigne.
Ma ricordiamo che Territorio significa anche, e soprattutto, Ambiente.
Il minimo impatto ambientale deve essere l’obiettivo
assoluto, imprescindibile: NON SI PUÒ
PRETENDERE DI FARE UN BUON VINO IN UN AMBIENTE MALTRATTATO.
Mens sana in corpore sano, per tutti i vignaioli coscienziosi
non può che tradursi “uva sana in ambiente sano”. Chi
possiede un terreno e non ha lo spirito del mercenario ma quello del vignaiolo,
deve ovviamente pensare a proteggere la propria produzione ed il proprio
reddito, come è giusto che sia, ma nel medesimo tempo deve fare
tutto il possibile per lasciare ai propri figli un vigneto bello
e sano almeno quanto l’ha trovato lui.
Chiariamo subito che, purtroppo per tutti, non si riesce a fare uva senza
proteggere la vigna con gli opportuni interventi con fitofarmaci (non
ci piace il pesticida che arriva dall’inglese, fa sembrare tutti
cattivi!).
Ma chi pensa all’uva e insieme alla Vigna
che la porta e alla Terra che la ospita – e ci
ospita -, non deve ragionare per compartimenti stagni. Curare
una malattia è concettualmente sbagliato, se prima non
si ragiona su come ridurre la suscettibilità della pianta:
una vite meno suscettibile è la chiave di volta del successo di
una strategia di prevenzione e lotta rispettosa dell’ambiente.
Così, se non volete che a vostro figlio venga il mal di gola, copritelo
prima che esca d’inverno!
- Le malattie
della vite
La vite è pianta meno delicata rispetto a molta altra frutta, ma
comunque numerose sono le avversità che la possono colpire, in
particolare funghi, causando la perdita completa della produzione. Peronospora,
Oidio e Botrite sono i più temibili e la coltivazione della vite,
fino all’800 estesa ovunque, con l’arrivo di Peronospora,
Oidio e Fillossera (un insetto) dall’America nella seconda metà
dell’800, si ritirò solo nelle aree che noi ora chiamiamo
più “vocate”, ma che a quei tempi furono nicchie di
salvezza dalla distruzione completa, dove per motivi climatici, microclimatici
o pedologici la suscettibilità della vite o la
virulenza dei patogeni erano minori. Solo con la scoperta
degli antiparassitari adatti e dei portinnesti (resistenti alla Fillossera)
la vite si salvò.
Altre malattie più o meno gravi affliggono la vite, talvolta endemiche
e talaltra gentilmente omaggiate dal Nord America, ma non è il
caso di discuterne ora.
A distanza di 150 anni, abbiamo a disposizione decine di sostanze che
possono proteggere perfettamente foglie e uva dagli attacchi parassitari.
Questo è il vantaggio. I difetti sono l’inquinamento,
la tossicità e il costo, oltre
che, paradossalmente, proprio la loro elevatissima efficacia.
- Il costo
Fare viticoltura costa, anche perché oltre al lavoro si devono
impiegare i fitofarmaci. Piuttosto che eseguire operazioni laboriose e
costose per ridurre le condizioni di suscettibilità della pianta,
è più comodo “spruzzare pesticidi” (se li usiamo
così, diventano null’altro che cattivi!).
- La tossicità
La tossicità verso l’uomo è molto variabile a seconda
della sostanza. La ricerca mette a disposizione sostanze sempre più
efficaci verso gli organismi nocivi e sempre meno tossiche verso l’uomo
e l’ambiente. In linea di massima, si può tranquillamente
affermare che al consumatore fa molto più male il vino che i residui
che vi sono contenuti (sempre presenti, ma a livelli infinitesimi). Chi
invece è molto esposto ai rischi è l’operatore, che
manipola frequentemente quantitativi enormi di fitofarmaci e deve quindi
proteggersi adeguatamente.
- L’efficacia dei fitofarmaci ed il loro impatto ambientale
L’impatto ambientale è la nota dolente, perché è
subdolo. Nel breve periodo non si vede, non si sente e non si tocca, ma
noi ci rendiamo conto ora dei disastri dei nostri padri e del nostro stile
di vita, i nostri discendenti si renderanno conto dei disastri di cui
noi possiamo essere autori. Queste ovviamente non sono
considerazioni tecniche, ma devono stare alla base di un approccio ragionato,
sono il substrato su cui deve crescere la nostra conoscenza ed il nostro
atteggiamento.
Abbiamo detto che negli ultimi anni sono state scoperte e prodotte dalla
ricerca numerose sostanze molto valide: proprio per la loro notevole efficacia,
troppo spesso ci si affida esclusivamente ad esse, trascurando
quei fattori importantissimi che possono aiutare la pianta ad essere meno
suscettibile o l’ambiente a essere meno predisponente
verso attacchi parassitari, ossia quegli elementi che hanno determinato
in modo naturale la salvezza della nostra amata vite nel XIX secolo e
che possono tutt’oggi permetterci di ridurre l’utilizzo
dei fitofarmaci e l’impatto ambientale.
Come affrontare il problema? Probabilmente il piccolo mondo viticolo rispecchia
con esattezza tutto ciò che viviamo ogni giorno.
Ciascun viticoltore può ridurre gli interventi chimici
nella sua proprietà lavorando di più in vigna e accettando
un livello di rischio “adatto” al suo temperamento
e alla sua coscienza ambientale.
Ma, dato che belle parole e prediche al vento non riducono l’inquinamento,
vediamo alcuni esempi concreti che possono aiutare a
capire meglio di cosa stiamo parlando:
* se desideriamo produrre molto e abbattere i costi di produzione,
la via più semplice è fornire più cibo alla vite
(concimazione), renderla più vigorosa e più produttiva (potature),
lavorare il terreno per subire meno competizione nutrizionale ed idrica
da parte dell’erba e ridurre gli interventi di sistemazione della
chioma (sistemazione dei germogli, cimature, sfogliature) per abbattere
le ore di lavoro. Viceversa, se vogliamo essere amici dell’ambiente,
dobbiamo fornire il giusto nutrimento, avere una pianta equilibrata, lasciare
l’inerbimento tra le file in modo che si riduca l’umidità
(quest’ultima, amica intima dei funghi patogeni) e che nell’erba
si moltiplichino insetti e acari predatori e parassiti naturali dei fitofagi
(sono quelli che si nutrono a spese della vite), nonché lavorare
molto per mettere foglie e grappoli in una posizione che migliori il microclima
e quindi riduca la suscettibilità alle malattie. Esattamente tutto
il contrario di prima ed esattamente ciò che serve per fare uve
di qualità!
* se siamo terrorizzati dalla presenza dei patogeni della vite e non vogliamo
accettare il benché minimo danno, nemmeno entro una normale e tollerabile
soglia, ossia se vogliamo che il nostro vigneto assomigli a una sala operatoria
sterile, allora non ci azzarderemo mai a rischiare qualcosina per ridurre
il numero di trattamenti antiparassitari. Chi, invece, pensa all’ambiente,
studia strategie di riduzione del numero di interventi che rientrino in
limiti ragionevoli di rischio, verificando attentamente
la fase fenologica della pianta, le caratteristiche di persistenza (durata
dell’efficacia) dei prodotti utilizzati, gli eventi meteo passati
e quelli previsti (e, concedetecelo, molto del il rischio sta proprio
qui!).
Senza adeguata protezione con trattamenti antiparassitari, le foglie
della vite
si ammalano e si può perdere completamente la produzione
- Biologico o
non biologico, questo è il problema…
NO, non è questo il problema. Il dilemma si può
risolvere molto semplicemente dicendo che se si vuole fare biologico ci
si deve credere veramente, perché è una strategia produttiva
sicuramente più impegnativa e costosa e che a priori non genera
nessun vantaggio commerciale.
Dal punto di vista ambientale, a prescindere dalle prese di posizione
di parte, il biologico in sé non è necessariamente migliore
delle strategie convenzionali, ma dipende da come lo si applica, da che
conoscenze e sensibilità si mettono in campo, da quanto ci si vuole
impegnare per attuarlo nel modo più adatto a ridurre l’impatto.
E, sull’altro fronte, identici ragionamenti si possono applicare
a ogni metodo di produzione, che sia tradizionale, guidato o integrato.
Per SATA, Marco Tonni
www.agronomisata.it
marco.tonni@agronomisata.it
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