LA VITA DELLA VITE


Guardiamoci attorno

Lavorando al progetto ItaCa.vitevino (cfr. il testo “L’impronta del vino sul nostro Pianeta” www.asa-press.com del 27/01/2009) ci si rende conto di come i nuovi Paesi vitivinicoli, soprattutto di formazione anglosassone, abbiano un approccio molto rigoroso alle problematiche viticole. Probabilmente la decisione di muoversi in questo modo è dettata dall’assenza di riferimenti viticoli storici o tradizionali ed è favorita dalla presenza di Aziende giovani, dinamiche e di grandi dimensioni, tre fattori che fanno sì che queste Aziende percepiscano come estremamente importante muoversi in modo attento nelle direzioni dell’efficacia operativa e dell’immagine verso il consumatore. Le nostre Aziende spesso sono legate a schemi storici e modalità operative tradizionali che, se da un canto hanno il grandissimo vantaggio di essere una garanzia della costanza del risultato, dall’altro frenano l’innovazione. E non si intende qui innovazione della tecnica vitienologica, che di per sé potrebbe anche avere ripercussioni negative se non ragionata in funzione del vino che fa nascere, ma semplicemente innovazione in quegli ambiti dell’organizzazione aziendale che non inficiano la qualità del prodotto ma solo l’efficienza operativa.
Facendo riferimento al modello GEA-Vite (precedentemente chiamato LEAVES, cfr. il testo “Leaves per la qualità del vino” www.asa-press.com del 03/12/2008), si capisce come un metodo che permetta alle Aziende di monitorare la loro efficienza operativa, i costi di gestione ed i riscontri delle operazioni eseguite, possa assumere un ruolo di primaria importanza nel miglioramento dell’organizzazione aziendale, con ovvii vantaggi per tutta l’Azienda. Purtroppo da noi vi sono troppe remore culturali nel pensare l’Azienda agricola come un soggetto dinamico ed aperto alle moderne strategie di gestione aziendale, così si rischia ad esempio di pensare al tempo investito nella registrazione delle ore per i lavori colturali come a tempo perso, non a una fonte di preziose informazioni per capire come l’Azienda stia impiegando i suoi operai o che tipo di riscontro vi è tra spesa e qualità ottenuta. Allo stesso modo, si ritiene purtroppo poco importante insistere a livello territoriale (Istituzioni) per informare le Aziende riguardo a un approccio moderno e sensibile all’impatto ambientale, lasciando di fatto alla capacità e voglia dei singoli, oltre che alle poche e generiche regole normative, l’impegno per la realizzazione di una viticoltura sostenibile. Si dimentica forse che l’importanza sociale e politica di una azione territoriale consiste nel proporre con lungimiranza argomenti nuovi, non ancora percepiti come necessari dalle Aziende, ma di futura importanza settoriale. Il “pubblico”, deve mostrare la strada in anticipo, deve fornire gli strumenti affinché i privati possano capire l’importanza di alcune scelte prima che si evidenzino come impellenti. Forse allora sarebbe il caso di vedere cosa fanno i concorrenti mondiali.
Parlando di ItaCa.Vitevino, abbiamo visto che ormai tutto il mondo sta affrontando l’argomento della produzione di gas serra: sono coinvolti nella realizzazione e, soprattutto, nella diffusione presso le proprie Aziende, Australiani, Californiani, Neozelandesi, Sudafricani. Se si tratta il tema dell’impatto ambientale sul territorio, un ottimo esempio di protocollo innovativo, che ricorda GEA.vite ma è in fase di applicazione su migliaia di ettari perché proposto da una Istituzione, sostenuto a livello pubblico e “fatto condividere” alle Aziende grazie a una oculata campagna di spiegazione e divulgazione, sono le “Lodi Rules”, nella maggiore zona viticola Californiana, ma altri esempi si possono trovare altrove, ad esempio in Francia. Già, la Francia. Cosa fanno i nostri vicini? Il “Bilan carbone” si sta diffondendo, più a livello territoriale che aziendale, ma ricordiamo quanto detto sopra a proposito della valenza di iniziative territoriali sulla presa di coscienza da parte delle Aziende riguardo a tematiche nuove. I Francesi lo sanno. E anche per quanto riguarda i metodi di autodiagnostica dell’efficienza delle operazioni aziendali e dell’impatto ambientale, da anni fa scuola il modello della Champagne, dove le Aziende sono invitate a tenere un registro delle operazioni che, se adeguatamente compilato, serve all’Azienda non come mero esercizio di scrittura, ma come utile strumento di autovalutazione.
Ed allora, forse sarebbe il caso che non solo chi come noi fa consulenza, ma anche e soprattutto chi opera a livello territoriale, come Enti, Associazioni e Consorzi, percepisse per tempo le necessità di un settore che, proprio nei momenti di crisi, è giusto e saggio che trovi spunti di innovazione e miglioramento “strutturale” e settoriale. Le modalità della consulenza privata possono estendersi, con i dovuti adattamenti, anche a vaste aree produttive. Lungimiranti scelte di politica territoriale portano a fornire alle Aziende un sapere diffuso e se molti dei produttori hanno valide conoscenze tecniche, ciò permette alle zone di compiere importanti passi verso la qualità, mentre se si abbandonano le Aziende a sé stesse, solo poche sono in grado di emergere e quelle poche non riescono a fare sistema.



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