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LA
VITA DELLA VITE
Il clima cambia? Terza parte
SATA ha organizzato il 5 maggio scorso
un seminario tecnico molto partecipato (oltre 150 persone tra Tecnici
e Proprietari di Aziende da tutta Italia) presso la Guido Berlucchi in
Franciacorta, titolato “Nuovi obiettivi per il vino di qualità”,
Sostenibilità e rapporti con l’ambiente in un clima mutabile.
Riportiamo la relazione a cura del Prof. Giacomo Mojoli
Dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo
IL VINO DEL FILOSOFO, BUONO DA PENSARE.
Nell’arco del secolo a venire – lo affermano numerosi studiosi
e scienziati – diversi dei nostri vini più rinomati potrebbero
scomparire: a causa delle modificazioni delle condizioni climatiche e
del progressivo aumento dell’effetto serra. Senza bisogno di scomodare
la scienza ufficiale, comunque, basta scorrere l’andamento dell’ultima
vendemmia, parlare con i coltivatori e con gli agronomi di quasi tutte
le regioni italiane per apprendere che il clima, con il suo oscillante
mutamento, ha interagito con i problemi che in molte realtà si
sono presentati: dalla resa alla qualità della materia prima, dallo
stress idrico ai sempre maggiori danni da parassiti. Lo si voglia o no,
dunque, quello del clima sarà un tema dal quale neanche il mondo
del vino – dalla ricerca alla viticoltura – potrà più
prescindere.
Senza volerci addentrare in un discorso tecnico o ecologico di lungo periodo,
certo è che non possiamo più, già oggi, limitarci
a parlare di vino considerandone esclusivamente l’aspetto edonistico
e il carattere organolettico, prendendone in esame, cioè, soltanto
la dimensione sensoriale ed estetica. Come succede per altre produzioni,
oggi occorre riscoprire qualcosa di più complesso, di più
originale, di più rintracciabile, qualcosa che il “semplice”
concetto di piacevolezza derivante da un liquido versato in un bicchiere
non ci può dare. Qualcosa che si trova non dentro ma attorno alla
bottiglia e che, oltre ad appagare (di più o di meno) il gusto,
è in grado di accompagnarci verso la genealogia del vino, la sua
provenienza, il suo rapporto con la terra, il clima, l’economia,
le risorse genetiche locali, a cominciare dell’ acqua.
È quello che sta accadendo per il cibo, con la riflessione che
si è aperta intorno alla necessità che la sua produzione
diventi sostenibile, al fatto che dobbiamo cominciare a parlare, oltre
che dei diritti dell’uomo, di quelli degli animali, delle piante,
dei fiumi, delle montagne, della terra. Il tutto per riaffermare come
la grande scommessa futura sarà saper realizzare vini che siano
sì “buoni da bere”, ma anche e soprattutto “buoni
da pensare”, compatibili con la natura e il paesaggio, sostenibili
e in sintonia con l’evoluzione e la crescita di una nuova figura
di consumatore. Un consumatore che sempre più tende a trasformarsi
in consum-attore, che non si accontenta più di un vino omologato
nella metodologia di realizzazione e, di conseguenza, nel gusto, che vuole
conoscere in piena trasparenza l’origine del prodotto e condividere
idealmente le scelte culturali e agricole di vignerons ed enologi.
In una visione del vino e, soprattutto, del terroir, da vivere
come una sorta di geografia emozionale che nel vino prende corpo, dando
a esso una personalità profonda, un’anima.
In tal modo, ciò che riempie quel bicchiere diventa un progetto
in simbiosi con il territorio che, in una con il consumatore-produttore,
diventa capace di generare un modello di viticoltura sostenibile, rispettoso
dell’ambiente e dei suoi ritmi. Sarà, questo così
concepito, un vino capace di porre ai suoi artefici come ai suoi acquirenti,
ai degustatori e agli operatori, la sfida del cambiamento, per arricchire,
ognuno, la propria dimensione culturale e operativa, una sfida che comporterà
la condivisione di valori come la naturalità, la difesa della biodiversità,
il rispetto di un uso consapevole della risorsa “acqua”. Un
vino che affondi le radici nel territorio, che sappia essere “altro”
essendo genuinamente diverso, per certi aspetti “imperfetto”,
dopo anni di rincorse a una perfezione troppo spesso passate attraverso
scorciatoie fin troppo tecnologiche. Un vino fruibile nella quotidianità,
con un prezzo dettato dal buon senso oltre che dall’equità,
con una dimensione rivolta alla sensibilità del consumatore e un’altra
al riconoscimento di una giusta remunerazione di chi lavora, tutelando
la terra, l’acqua e il paesaggio.
La filosofia, diceva Platone, consiste nel «sapersi servire di quello
che si fa». Non è, quindi, estranea a essa la dimensione
dell’agire, del confrontarsi con la quotidianità, i suoi
bisogni e le sue difficoltà. Fare il vino, coltivare la vigna,
diventa allora «sapersi servire» culturalmente di «quello
che si fa». Non solo un gesto agricolo, dunque, ma un vero e proprio
atto filosofico.
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