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LA
VITA DELLA VITE
SATA ha organizzato il 5 maggio scorso un seminario tecnico
molto partecipato (oltre 150 persone tra Tecnici e Proprietari di Aziende
da tutta Italia) presso la Guido Berlucchi in Franciacorta, titolato “Nuovi
obiettivi per il vino di qualità”, Sostenibilità e
rapporti con l’ambiente in un clima mutabile. Riportiamo una delle
relazioni, a cura del Prof. Luigi Mariani dell’Università
degli Studi di Milano, che propone un approccio un po’ diverso dal
solito riguardo alla problematica del cambiamento climatico, affermando
che troppo spesso i toni allarmistici no sono avvalorati da solide conferme
scientifiche. Ciò non significa che possiamo ignorare il rispetto
ambientale o che non si debba fare di tutto per consumare meno energia
o inquinare meno, ma che forse alcune considerazioni riguardo ai cambiamenti
alla moderna viticoltura possono essere fatte con più cautela,
senza dare per scontato che ci avvieremo sicuramente verso una rivoluzione
delle nostre abitudini vitienologiche. Durante i prossimi appuntamenti
discuteremo di clima anche da punti di vista diversi (es. quello del Prof.
Bernard Seguin dell’Unità Agroclimatica dell’INRA di
Francia), nonché di come affrontare in viticoltura e in cantina
le problematiche di una gestione viticola ed enologica sostenibile.
Il clima cambia? aspetti connessi con l’attività
agricola in Italia
Le temperature globali sono aumentate di 0.7°C in un secolo e quelle
europee di circa 1-1.5°C. L'aumento delle temperature in Europa si
è concentrato nella seconda metà degli anni '80 del 20°
secolo, con un gradino che ci ha introdotti in una fase climatica nuova,
caratterizzata da maggiore aridità e anticipo delle fasi fenologiche
della vite di 10-20 giorni rispetto al periodo precedente. Si noti che
a fronte dell'aumento delle temperature le precipitazioni totali si sono
mantenute stazionarie ovvero hanno presentato lievi diminuzioni. Di fronte
a questi fenomeni molti nostri concittadini tremano temendo che il cielo
gli stia cadendo addosso, con un atteggiamento millenaristico al cui instaurarsi
cooperano non poco i media. Occorre tuttavia considerare da un lato il
fatto che nel clima la variabilità è la norma e dall'altro
che la storia dell'agricoltura, dal neolitico ad oggi, insegna che occorre
mettere da parte i catastrofismi e considerare la nuova fase climatica
apertasi nel 1989 come densa di opportunità per la viticoltura
di qualità. La storia ci insegna infatti che il massimo danno per
la viticoltura viene dai periodi freddi (es: piccola era glaciale, protrattasi
dal 1550 al 1850) ovvero da quelli caldo aridi (es: grande fase siccitosa
dell'11° secolo a.C.) mentre al contrario fasi calde e ricche d'acqua
(come l'optimum climatico medioevale fra il 900 ed il 1200 d.C.) si sono
rivelate fasi di grande espansione per la viticoltura.
Nello specifico, guardando alle vendemmie a valle del cambiamento climatico
di fine anni '80, si può osservare che si è assistito ad
una serie di vendemmie buone in termini di alcol e colore. A volte tuttavia
la spinta produttiva legata alle elevate risorse termiche e radiative,
ha colto di sorpresa i viticoltori e gli enologi traducendosi in problemi
di eccesso di alcol e corpo, problemi che sono stati ulteriormente enfatizzati
dall'entrata in produzione di nuovi vigneti caratterizzati da cloni migliorati
e sesti d’impianto ottimizzati. La lezione che si deriva da tali
problemi è che in vigneto e in cantina occorrono tecniche adeguate
al nuovo clima con cui abbiamo a che fare dagli anni 90.
Altro aspetto cruciale cui ci richiama il nuovo clima è la necessità
di una migliore gestione delle risorse idriche. Niente di rivoluzionario,
in quanto in sostanza ci viene richiesto di applicare al meglio le tradizionali
tecniche di aridocoltura. In particolare si rivela essenziale la definizione
di una strategia del deficit controllato che consenta di evitare sia gli
stress idrici drastici sia le situazioni di eccesso idrico. Se infatti
un deficit idrico drastico può mettere a repentaglio la produzione,
situazioni di eccesso idrico persistente tendono a spostare gli apparati
radicali verso la superficie rendendo la vite più sensibile a future
situazioni di carenza idrica. Da favorire è inoltre l'insorgere
di lievi deficit in post-invaiatura, notoriamente favorevoli alla qualità.
Circa i nuovi impianti occorre rilevare che gli scenari delineati dai
modelli climatici globali (GCM) per i prossimi decenni sono afflitti da
elevatissimi livelli di incertezza. In sostanza non è possibile
oggi affermare con sufficiente attendibilità che “in futuro
farà sempre più caldo”. Pertanto eseguire impianti
al di fuori dei limiti altitudinali e/o latitudinali della vite espone
ad un rischio imprenditoriale legato ad esempio alle gelate tardive che
l'agricoltore dovrà comunque assumersi. Una regola aurea da questo
punto di vista può essere quella di ipotizzare per i prossimi anni
la stazionarietà del clima attuale ed in tale ipotesi svolgere
le scelte strategiche in termini di varietà, sistema di allevamento,
sesti d'impianto, sistemi di irrigazione, ecc. In proposito si noti che
in termini quantitativi il clima attuale può essere ragionevolmente
considerato come rappresentato dai valori medi ed estremi di temperatura,
precipitazione, radiazione solare e vento del periodo 1990-2007.
Alcune considerazioni specifiche merita inoltre l'effetto annata: infatti
al persistere la variabilità interannuale tipica dell'ultimo ventennio
siamo in grado di produrre vini con stili anche molto diversi, per cui
ai vini “Oceanici” tipici di annate più fresche (es:
2002) potranno alternarsi nelle annate più calde (es: 2003) vini
“Mediterranei”, con sapori di spezie e frutti maturi. In relazione
a ciò si tratta di collegare fra loro enologi e marcheting, in
modo tale da definire se sia meglio puntare su un prodotto stabile nel
tempo nonostante la variabilità meteorologica interannuale, ovvero
valorizzare tale variabilità puntando su prodotti immediatamente
riferibili all'annata di produzione. In altri termini: variabilità
enologica interannuale da appianare oppure da enfatizzare?
Infine un invito ai viticoltori: se le variabili meteorologiche (radiazione
solare, temperatura, umidità relativa, precipitazione, vento, ecc.)
sono sempre più una risorsa con cui fare i conti, è necessario
giungere al più presto ad una visione quantitativa attraverso misure
meteorologiche svolte in azienda. E qui si parte dalla registrazione della
copertura nuvolosa e dei fenomeni meteorologici significativi alle misure
svolte con idonei strumenti meteorologici (pluviometri, termometri, anemometri,
radiometri, ecc.) da installare secondo modalità standard definite
dalle normative internazionali di settore.
Luigi Mariani (Università degli
Studi di Milano)
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