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IL
VIAGGIO GASTRONOMICO
A
cura di ASA - asa.web@asa-press.com
Nell’Inferno... dove riposa il vino sotterraneo...
Esistono
mondi sotterranei incredibili, dove il silenzio narra la storia dell’umanità.
Luoghi dove regna l’oscurità, ma l’ingegno di uomini
semplici li illumina di storia e la fantasia crea inimmaginabili spazi
da narrare.
Dall’ipogeo etrusco, l’antica costruzione sotterranea adibita
a sepolcro, al complesso monumentale di Sant’Agnese con la catacomba
romana. Dai templi sotterranei dedicati al dio Mitra, alle caverne naturali
o a cavità artificiali, sino ai Sassi di Matera e le chiese rupestri.
L’Italia vanta un ecosistema straordinario, che dalla preistoria
ad oggi ci insegna di come l’uomo abbia saputo realizzare un modo
di vivere utilizzando le risorse che gli offriva la natura.
Queste meraviglie sotterranee spesso fanno parte di siti archeologici,
silenziose testimonianze di civiltà scomparse. Altre volte sono
più vicine a noi, appartengono al passato dei nostri nonni, come
le storiche “Cattedrali Sotterranee” in Piemonte, che scendono
per 30 metri nel sottosuolo percorrendo per oltre 20 km l’intera
collina e il paese, o come “Il Tempio dell’Uomo” di
Damanhur, incredibile libro di pietra che narra la storia dell’uomo
in un percorso mistico ed esoterico.
Ma esistono anche ambienti suggestivi più vicino a noi, come “Balma
Boves” di Sanfront (CN), i “Balmetti” di Borgofranco
(TO), le “Case Grotta” di Mombarone, i “Crotìn”
di Calosso e gli “Infernot” di Grazzano Badoglio, tutti nella
provincia di Asti, ed è di questi ultimi che voglio narrarvi.
Grazzano Badoglio è un piccolo comune in provincia di Asti, ma
ricco di storia, di cultura e di tradizioni che narrano di un passato
contadino, quando la viticoltura era la principale risorsa, la fonte di
guadagno. Simbolo di ricchezza o povertà segnata da siccità,
grandine e altre avversità che distruggevano i vigneti, come la
temuta peronospora il flagello delle viti.
Il vino è da sempre storia e cultura, tradizione e folclore che
si perde nella notte dei tempi, sacralità durante i riti cristiani,
religiosità racchiusa in un calice o simbolo di festività
che brinda al nuovo anno o ad un evento: il vino è la quotidianità
nella nostra cultura.
Fonte di guadagno,simbolo di eventi o tradizioni, i nostri nonni gli dedicarono
ogni attenzione, ogni cura, sino a costruire intorno alle bottiglie delle
cattedrali in cui farlo riposare.
Grazzano Badoglio, poco più di seicento anime, ma con tante storie
da narrare. Storie di vino attorno a cui hanno costruito angoli suggestivi,
quasi sacrari del vino, custodi del “nettare degli dei”. Un
piccolo paese che domina le colline vitate e lo sguardo si perde sulle
Terre del Monferrato, dove basta girare l’angolo ed ecco comparire
il gigante simbolo del Piemonte: il re di pietra: il Monviso!
Grazzano Badoglio, un piccolo punto sulla carta geografica dell’astigiano,
ma con tante risorse da scoprire, tante perle storiche e culturali nascoste.
Preziosi tesori che aspettano di essere scoperti e tra questi gli “infernot”,
le cantine scavate nel tufo, che da secoli custodiscono il vino scendendo
per decine di metri nelle viscere della terra, simili a dei piccoli vani,
scavati nel tufo, creando ambienti surreali e suggestivi: corridoi, stanzette
quadrate o rotonde, scalini, tratti piani, corridoi angusti e camminamenti:
veri capolavori di ingegneria e architettura che ospitano centinaia di
bottiglie di vino ad una temperatura costante sui 13 gradi.
Infernot Monti Colombaro
Sono opere uniche, ognuna nata dalla
fantasia del costruttore che a picconate ha inciso il tufo creando nicchie
per bottiglie e damigiane, ma anche spazi per conservare salumi e formaggi,
che con queste condizioni, oltre a conservarsi più a lungo, assumevano
sapori e aromi particolari.
In alcune sono stati ricavati dei tavoli, su cui nelle giornate estive
ci si ritrovava per pranzare al riparo dalla calura.
Non dimentichiamo che un tempo quando non esistevano i moderni frigoriferi
era in uso scavare “ghiacciaie” sotterranee o erigere costruzioni
esterne in muratura. Le antiche ghiacciaie erano costruzioni vere e proprie,
sia private che della comunità.
In inverno venivano riempite di neve per conservare il cibo il più
a lungo possibile.
Lungo le pareti venivano collocate delle mensole su cui si ponevano le
derrate alimentari.
In questi enormi spazi veniva immagazzinato il ghiaccio prodotto dall’accumulo
di neve pressata o costruendo cisterne in cui fare confluire l’acqua
che la temperatura invernale trasformava in ghiaccio. Dalle ghiacciaie
comuni veniva poi prelevato a blocchi e trasportato per essere immagazzinato
nelle ghiacciaie... casalinghe o in alcuni appositi spazi di crotin, cantine,
infernot o altro spazio idoneo alla refrigerazione per gli alimenti.
Negli infernot una zona è riservata alla conservazione delle bottiglie
più pregiate, quelle da conservare negli anni, destinate ad essere
aperte nelle grandi ricorrenze e in queste camere le nicchie per contenerle
si adornano di fregi, architetture fantasiose, creando uno scenario fantastico,
tra giochi di luci e ombre proiettate sulle pareti, luci soffuse che rischiarano
angoli nascosti nel buio della profondità. Tutto ha un significato
e segue un codice preciso. Forme e proporzioni adattate ad ogni singolo
tipo di bottiglia, architetture simboliche create dall’estro
del proprietario sino a trasformarle quasi in un luogo di culto alla vite.
E’ una giornata di metà Novembre, gelida e piovosa. Giunti
con molto anticipo attendiamo l’arrivo del Sindaco di Graziano Badoglio,
Rosaria Lunghi, passeggiando sulla piazza e osservando scorci che avremmo
voluto fotografare se la pioggerella non ce lo avesse impedito.
Ad attendere sull’uscio di casa troviamo due proprietarie degli
“infernot” di piazza Cotti.
Mariuccia Monti Colombaro non fatica a riconoscere che i due giornalisti
che attendeva siamo noi e ci invita ad entrare per aspettare al caldo.
Poco distante si affaccia sul piazzale anche Marì Mosso Redoglia,
altra proprietaria del secondo infernot che visiteremo e ci saluta invitandoci
a ripararci sotto il portone.
Il piccolo Marco Colombaro corre verso di noi tirandoci per la giacca
e invitandoci ad entrare a visitare il suo infernot! Impossibile resistere
a quella faccetta birichina e all’insistente richiamo ad entrare,
e la sua intraprendenza ci contagia favorevolmente, tanto da non resistere
all’ennesima tiratina della giacca...
... Ed è subito atmosfera famigliare, accoglienza tipica dei nostri
nonni, fortunatamente rimasta radicata nelle radici di queste terre contadine
e delle sue genti ospitali!
Ci sentiamo come in famiglia e ci ripariamo mentre ci scambiamo i saluti.
Pochissimi minuti e ci raggiunge Rosaria Lunghi, Sindaco di Grazzano Badoglio,
che ci ha organizzato le visite e inizia la nostra “discesa all’inferno”,
o meglio... all’infernot di Mariuccia Colombaro, in compagnia del
piccolo Marco che con molto entusiasmo ci fa da cicerone.
Il tempo passa troppo veloce, quasi senza che ce ne accorgiamo, ma tutto
è cosi incredibilmente suggestivo che non lascia spazio... all’orologio.
Infernot Mosso Redoglia
Ed eccoci a visitare l’infernot
di Marì Mosso Redoglia, un altro luogo di fascino. Le emozioni
sono le stesse: tra ammirazione e incredulità nel pensare che secoli
fa “l’uomo del vino” avesse potuto realizzare simili
opere d’arte e architettura... con solo martello, scalpello e piccone!
Il terzo incontro è presso Giovanni Alasio dell’infernot
di via Roma. Stessa accoglienza, stesse emozioni dinanzi a delle opere
che scendono nelle viscere della terra e da centinaia di anni custodiscono
un patrimonio di cultura contadina così affascinante.
Le difficoltà di discesa fanno parte di questi ipogei e per un
attimo sorrido pensando ad un ascensore o a scale più comode, ma
indubbiamente anacronistiche!
Ed è la cortesia di Alasio a riportarmi in questo luogo in cui
il tempo si è fermato per sempre.
Ci porge la mano per aiutarci a scendere, mentre illumina lo stretto passaggio
e dinanzi a noi si apre un paesaggio sottoterraneo di incredibile bellezza.
Indubbiamente le sensazioni e le emozioni provate sono le stesse degli
altri, ma stranamente sempre nuove ed emozionanti.
E’ uno strano mondo sotterraneo che però sa di vita, di arte,
di ingegno e di bellezza!
E’ strano come una che soffre tremendamente di claustrofobia sia
riuscita ad entrare in luoghi cosi “inospitali per una patologia
come la mia”... senza... attacchi di panico!
Forse è complice la bellezza misteriosa di queste costruzioni,
la storia che racchiude ogni singolo segno di piccone che lo ha faticosamente
scavato, modellato, inciso!
Forse è la storia di quelle bottiglie e del suo contenuto che sono
la storia stessa dell’uomo, ma come si discendono i primi gradini,
seppure faticosamente e non senza disagi, ad ogni passo è come
allontanarsi dal frastuono della civiltà che scorre frenetica sopra
questi scavi sotterrane ed immergersi in un mondo nuovo, buio e silenzioso,
dove il Tempo si è fermato per sempre.
Infernot Alasio
I percorsi si snodano su diversi livelli, scendono nelle viscere della
terra tufacea, per questo gli hanno dato quel nome dialettale di “infernot”
che però non conduce in un Inferno dantesco, ma in un luogo di
rara suggestione, con fantastici impatti visivi ed emotivi davanti a colonne
scolpite, pareti modellate a nicchia per conservare le bottiglie o la
singola bottiglia.
Le luci sono soffuse, a volte inesistenti necessitano di lampade portatili
e il tutto rende ancora più incredibile questa sorta di paesaggio
sotterraneo, di... vigneto sotterraneo!
Quelle rocce di tufo pare trasportino l’energia stessa della terra
e mi piace immaginare quei cunicoli come un percorso “nella vita
del vino” e quelle stanze terminali sono l’elogio alla vite!
Gli “infernot”, come ogni ipogeo sono un laboratorio dove
la tecnologia moderna non è entrata per “plasmarli a nostra
immagine”, per questo ha lasciato al duro lavoro di piccone e gerla,
per il trasporto dei detriti, il compito di penetrare nelle viscere della
terra a fatica, con rispetto e con dolcezza, senza violarla o deturparla,
lasciando intatto tutto il potere della sua natura misteriosa!
Sono anche luoghi d’arte, dove chi aveva accudito alle viti, nei
momenti di riposo si dedicava con un senso di religioso rispetto e amore
a scavare la dura roccia, trasformandosi da rozzo contadino in delicato
artista che immagina e crea piccoli, ma grandi, segni d’arte, rappresentando
la più grande espressione artistica e spesso collettiva, di quella
società contadina semplice, ma con segni di raffinata saggezza.
Uomini forse resi rozzi dalla fatica, con il volto rugoso per il duro
lavoro e le mani incallite, ma non per questo privi di emozioni, sensibilità
e raffinata bravura. Uomini semplici, che hanno gettato quelle primitive
basi che hanno generato la cultura e le tradizioni di un popolo che ha
fatto la nostra storia.
Gli “infernot” di Grazzano Badoglio sono una realizzazione
che sorprende e sa dare emozioni e sensazioni. Nascono dalla comunità
che nel corso dei secoli li ha costruiti e ora li conserva come patrimonio
da preservare e per questo li offre all’UNESCO come “patrimonio
da trasmettere alle generazioni future”.
Costruiti... sotto di noi come città sotterranee, attraversano
il cuore del paese e senza accorgercene quando camminiamo su quella piazza,
per quelle stradine... camminiamo sopra ... secoli di storia.
Opere architettoniche di suggestiva bellezza rimaste intatte nel corso
degli anni e alcuni, da secoli, custodiscono gelosamente quelle bottiglie
allineate come soldatini.
Ricoperte di “polvere antica” e ragnatele, rappresentano il
passato e nessuna mano profana li priverà di quelle “polveri”
e loro continueranno a restare li, custodi della storia di chi un giorno
vi versò quel nettare in attesa di un evento, di un momento di
gioia per versarlo nei bicchieri e brindare con gli amici.
Per questo messaggio, racchiuso in questi templi sacri del vino, come
si varca la porta ci si sente come proiettati nel passato e se avessi
avuto un momento per rimanere sola, avrei voluto restare in silenzio,
toccare quelle pareti per percepire la loro storia, il loro mistero e...
immaginare...
Infernot Tenuta “Santa Caterina”
Si riparte per l’ultimo appuntamento con gli infernot.
Davanti a noi si apre uno splendido palazzo che esternamente si presenta
come una storica dimora signorile, con scenografica facciata, balconcini
e all’interno uno stupendo giardino dove la vista spazia sulle colline
e la pianura circostante.
Ad accoglierci è Sergio Carpignano della “Tenuta Santa Caterina”
che ci introduce nella splendida location dei vini custoditi nelle antiche
scenografiche cantine di un vecchio monastero. Sergio Carpignano conduce
la proprietà per l’avv. Guido Carlo Alleva, occupandosi di
tutte le fasi produttive dei vini, dall’impianto delle vigne fino
alla bottiglia.
Il Monferrato è un territorio medioevale con castelli, abbazie,
antichi poderi come questa costruzione in cima al paese, da dove si dominava
il fondovalle. Anticamente fungeva anche da difesa dalle scorrerie delle
soldataglie e dei saraceni che invasero questo territorio.
Una sorta di borgo, con funzioni di difesa, nel complesso abbaziale benedettino
fondato da Aleramo nel 961, ma anche storica dimora dei nobili Plebano,
consignori di Montalero, Rosignano e Scandeluzza.
Rimaneggiata nel corso dei secoli, nel 1737 venne trasformata in palazzo
signorile, finchè
all’inizio del XIX secolo passò ai Cotti, ramo degli astigiani
Conti di Ceres e di Brusasco.
Per oltre un secolo sviluppò l’attività agricola utilizzando
tecniche all’avanguardia per quell’epoca, fino a quando, nel
XX secolo passò alla famiglia di un importante imprenditore torinese
che restaurò il palazzo e continuò l’attività
agraria finchè non segui le sorti del lento decadimento del territorio
verso la fine del ‘900.
Solo nel nostro secolo, grazie ad un imponente opera di restauro tornò
a risplendere in tutta la sua magnificenza.
La storia prosegue con gli attuali proprietari e le vigne di proprietà
della “Tenuta Santa Caterina”. Situate nella zona elevata,
su terreni di marne sabbiose e limo argilloso con prevalenza calcarea
anche questi vigneti sono stati integrati con il recupero della dimora
e ristrutturati seguendo gli antichi impianti preesistenti, utilizzando
pali di legno anziché i moderni di cemento accorpandovi anche un
antico podere con cascina storicamente produttiva.
Attualmente è in programma un progressivo reimpianto con nuovi
impianti su terreni storicamente produttivi legati ai vitigni storici.
Sono 16 ettari di superficie vitata, per la produzione di Barbera, Grignolino,
Nebbiolo, Freisa, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Sauvignon Blanc, a cui
si aggiungeranno anche Syrah e Malvasia.
Anche queste scendono nel sottosuolo mediante un’ampia scala fiancheggiata
da nicchie di pregiato vino. Diverse da quelle in tufo si presentano in
tutta la loro magnificenza, con imponenti nicchie, arcate con volte in
mattoni a vista. Un capolavoro di ingegneria enofila, con luci che creano
un ambiente surreale tra ampi spazi, imponenti volte simili a cattedrali
e un pozzo interno di acqua sorgiva.
Migliaia di bottiglie riposano in celle offrendo un affascinante itinerario
sotterraneo.
Come un libro aperto ripercorriamo la storia di questa imponente maison
del vino, che conserva nel sottosuolo un patrimonio enologico non solo
incalcolabile nella sua architettura, ma anche come esempio di luogo ideale
per l’affinamento dei grandi vini pregiati che la “Tenuta
Santa Caterina esporta nel mondo.
Tenuta Santa Caterina - Vini
- Grazzano Badoglio - Asti
Tutte le cantine fanno parte del circuito degli infernot di Grazzano Badoglio.
Il viaggio termina con le ultime immagini di Grazzano Badoglio che il
Sindaco, dot.ssa Rosaria Lunghi, ci mostra da questa altura su cui sorge
la Tenuta.
Ancora qualche nozione storica, qualche anticipo su cosa potrò
vedere la prossima volta e un rinnovato appuntamento.
Già, la prossima volta, perchè ho ancora tante cose da scrivere
e da farvi vedere su questo splendido paese, e souvenir gastronomici da
segnalarvi! Come quelli della bottega alimentare Carelli, con golosi salumi,
marmellate, antipasti e degustare le specialità locali, come la
“Zuppa dell’abate” e la “Torta di Aleramo”.
Se mi seguirete vi racconterò la storia del Monferrato e della...
leggenda del mattone con cui Aleramo ferrò il cavallo e per tre
giorni e tre notti percorse quelle terre che presero il nome “Monferrato”.
Terre che si estendevano dalle provincie di Asti e Alessandria sino alle
province liguri di Genova e Savona.
Ma poichè le belle storie hanno sempre un seguito, vi farò
scoprire altri luoghi fantastici del Monferrato e non mancheranno storie
di fantasmi, di dame e cavalieri, di tesori delle grotte dei saraceni
e di Templari.
Già, proprio loro, i Cavalieri del Tempio, e allora: “Non
nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam”... alla
prossima leggenda...
testo: Alexander Màscàl - foto: Matteo Saraggi e Alexander
Màscàl

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