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IL
VIAGGIO GASTRONOMICO
A
cura di ASA - asa.web@asa-press.com
Valle Varaita: Storie di buon cibo, luoghi fantastici e di misteri...
Là dove nascono
i colori si estendono terre incontaminate, dense di storia, cultura e
folclore: sono i “sentieri del Passato”, le “memorie
del Tempo”, sono il nostro passato e senza questo non esisterebbe
il presente, per questo tocca a noi, scrittori “Senzatempo”
narrare le fiabe e le leggende racchiuse nelle rocce, negli immensi boschi
popolati non solo di fiori e animali, ma anche di gnomi e folletti che
danzano sui verdi pascoli o attorno ai mille ruscelli, di masche, le streghe
delle favole, e di come l’uomo un tempo coltivò queste valli,
imparò a fare il formaggio, soggiogò le carestie e le avversità
di una vita grama legata ai capricci del tempo che governava il raccolto
e rendeva il terreno fertile o arido, spargeva grandine e pioggia.
E’ la terra che dà il sapore, i profumi e l’uomo li
trasforma in quei prodotti che nascono da una cultura del cibo vecchia
quanto l’uomo!
Mi sono chiesta spesso se il formaggio è un prodotto animale o
vegetale: non sorridete! Avete mai pensato che il latte prima di divenire
un prodotto gestito dalla mucca... nasce nei prati?
Sono i pascoli che ne danno l’aroma e il sapore, e per questo varia
da una latitudine all’altra, dall’altezza dei pascoli, dalla
fioritura stagionale, dalla temperatura e dalle condizioni atmosferiche!
L’uomo è solo il custode di questo bene prezioso, indubbiamente
uno tra i primi alimenti che ha imparato a “trasformare”.
Il formaggio potrei anche immaginarlo come un bouquet di fiori! Il sentore
dei pascoli, l’effluvio di alcune muffe “volutamente create”
ne danno il sapore.
Il sapore dei fiori e dei frutti contraddistingue i grandi vini e ne crea
quelle sfumature che ci fanno distinguere i vini, anche se provengono
dallo stesso vitigno, dalla stessa collina, ma da vigne diverse.
E’quella “sfumatura” dono della natura e sta all’uomo
migliorarla o trasformarla in una sbadata immagine impressa su un’etichetta
e racchiusa in un contenitore di vetro, o in un esaltante dono degli dei!
Il cibo può essere una nota musicale, una dolce melodia o un assordante
rumore chiassoso: equilibrio o sregolatezza il cibo è un piacere
a cui l’uomo non sa sottrarsi e a noi non resta che soffermarci
per scoprire le note armoniose o lo stridere dirompente... devastatore
di un piatto che di buono ha solo il nome, e allora entriamo in quello
spazio che spesso la mitologia ha considerato come una linea che delinea
i confini tra l’uomo e gli dei, e gustiamoci gli attimi smarriti
tra il semplice mangiare per vivere e il gustare attraverso la Conoscenza
quello che è il cibo per gli dei o se preferite: quello che da
sempre gli dei hanno donato all’uomo!
I pascoli, i campi coltivati, i vigneti, i frutteti e i prodotti che ne
derivano racchiudono la storia della cucina di un tempo e uniscono l’uomo
alla terra che gli da il cibo come sostentamento per la famiglia, ma anche
un prodotto da vendere o barattare e così nascono quelle che oggi
chiamiamo “Vie del sale, delle acciughe, dell’olio”
un tempo percorse da mercanti, pellegrini, contrabbandieri, condottieri,
popoli nomadi, e oggi voglio condurvi in uno di questi sentieri diventati
una delle arterie che collegano il Piemonte alla Francia, la Valle Varaita,
ma la attraverseremo frettolosamente (promettendovi di ritornarci con
i miei articoli sui misteri del Piemonte), per soffermarci in una vallata
parallela e quasi sconosciuta... la Valle di Bellino.
Siamo in Piemonte e il viaggio inizia nella provincia di Cuneo: direzione
Valla Varaita.
Da lontano il Monviso, simbolo del Piemonte, con la sua imponente piramide
di pietra ne delinea i confini e ci indica la strada. E’ ai suoi
piedi che nasce il grande fiume Po che, da poco più di un rigagnolo
che sgorga dai ghiacciai, diventerà un immenso fiume che percorre
oltre 650 chilometri della Valle Padana unendo Piemonte, Lombardia, Emilia,
e Veneto.
Ma quanti di voi sanno che... il logo della Paramount Picture è
il Monviso?
Raggiungiamo Savigliano e proseguiamo verso Costiglione Saluzzo dove facciamo
una sosta alla panetteria Barra, Via Piave: ottimi i biscotti da latte,
i grissini fatti a mano e la focaccia.
Solo 2 chilometri e raggiungiamo Piasco dove inizia la Valle Varaita e
da qui inizia anche il nostro itinerario nel mondo della gastronomia:
seguitemi e vi farò partecipe delle delizie che questa valle offre,
ma senza tralasciare qualche appunto turistico! Piasco è
famosa per il “Museo dell’Arpa” dove la fabbrica di
arpe Salvi si avvale del titolo di una delle più note aziende produttrici
del mondo. Da questa porta della Valle ha inizio il viaggio nella storia
di una vallata occitana che racchiude storia, leggenda, misteri e il folclore
delle tradizioni come la Bahìo di Sampeyre, il Carnevale di Bellino,
le feste patronali con i colorati costumi tradizionali; i luoghi sacri
come il Santuario di Valmala, la Madonna Nera di Becetto e la chiesa in
cui i dipinti dei santi hanno... sei dita.
Mi affascina scoprire i misteri di questo territorio: il segreti delle
tetè coupe (o teste mozze, o teste di pietra), legate ai riti celtici;
rivivere le leggende dei “servot” gnomi del bosco; il
mistero delle marmotte volanti, la leggenda del diavolo di Rocca Senghi
e il giro dell’antica miniera, nella Valle di Bellino. Gli stupendi
paesi di pietra con le loro meridiane, le viuzze strette, con i tetti
addossati l’uno all’altro per riparare il passaggio nei mesi
invernali; Casteldelfino con la chiesa dai doccioni a forma di drago,
l’enorme San Cristoforo dipinto sulla facciata e i segni della devastazione
inflitta dai calvinisti che ne hanno scalpellato i visi; Chianale con
la chiesa che racchiude le magiche teste di pietra, il Tempio Calvinista,
il ponte di pietra, il borgo antico; lo scenario fantastico del Bosco
di Alevè; incontrare i caprioli lungo la strada e percorrere la
panoramica salita al Colle del Mulo tra scenari mozzafiato, mandrie, e
accarezzare i Merens, i neri cavalli di razza dei Pirenei che pascolano
liberi tra marmotte e prati colorati di mille fiori, laghetti e cascatelle,
e salire su fino al Colle, a 2744 metri, tra prati di stelle alpine, dove
il paesaggio si fa... spettacolare e guardando l’infinito attorno
a te capisci quanto immenso è il mondo e quanto infinitamente piccolo
sei tu! E poi entrare nella francese Valle dei Queyras per vedere la Demoiselle
Coffee.
Salire al Colle di Sampeyre dove dalla cima si domina il Monviso e il
paesaggio offre uno stupendo scenario a 360° sulle montagne, e poi
ridiscende verso Elva per vedere lo stupendo affresco di Hans Clemer
e i misteriosi simboli esoterici scolpiti nella chiesa, dove sulla piazza
bruciarono i “libri maledetti” delle streghe, e poi proseguire
per l’orrido di Elva di incredibile bellezza con strapiombi e rupi,
cunicoli e tunnel nella roccia viva, spettacolare panoramica che unisce
la Valle Varaita alla Valle Maira.
Ma ripartiamo da Piasco per il nostro itinerario del gusto e proseguiamo
sulla statale per il Colle dell’Agnello. Prima di uscire e giungere
alla grande rotonda, sulla destra trovate l’Emporio di Brizio,con
ottimi salumi, formaggi e carne. Giunti a Venasca non perdetevi il pane
tipico di montagna, cotto al forno, nelle panetterie Bogetti, via Cuneo,
Furn a Bosc via IV Novembre e Garnero via Casavecchia.
Si riparte verso Brossasco, intanto si è fatta l’ora del
pranzo. Proseguite per tre km verso Melle, ma appena passato il ponte
(prima di Melle), a sinistra trovate il bivio per Valmala e il Santuario,
seguite le indicazioni e a 3 km, la prima borgata che incontrate e Borgata
Chiesa, passate la chiesa e nella curva vedrete una grande costruzione
con la scritta Ristorante Aurora, meglio noto come “da Faustino”,
fermatevi! Gusterete la polenta o le migliori Ravioles della Valvaraita
(gnocchetti di patate con all’interno il formaggio Toumin dal Mel),
squisiti agnolotti di ogni tipo (al plin, con porri e salciccia, con verdure,
con carne, impossibile consigliarvi: sono tutti buoni!), un favoloso cinghiale,
un ottimo vitello tonnato, una eccezionale purea con salamini, e il tutto
con quel pizzico di cortesia, simpatia, pulizia, cibi eccezionali e prezzo
incredibilmente basso che vi costringeranno a tornare da “Faustino”,
tel. 0175978016, chiuso mercoledì.
Tornate sulla statale e a circa 2 km, sulla sinistra trovate il bivio
per entrare nella borgata di Melle, un vero scrigno di delizie! Sulla
piazza, nella panetteria troverete eccellente pane di montagna e a pochi
passi un’altra panetteria-commestibile-edicola e, oltre all’ottimo
pane, in vetrina vi conquisteranno i torcetti e le paste di meliga.
Tornate sulla statale e proseguite, poco dopo il distributore, sulla sinistra
la grande insegna vi indicherà di sostare sullo spiazzo dell’Azienda
Agricola Roggero, alla vostra destra, dove vi aspettano i deliziosi formaggi
di Roggero: oltre al tipico formaggio di Melle “Toumin dal Mel,
troverete i tomini freschi, la ricotta e altri formaggi eccezionali e
ad un ottimo prezzo.
Prossima tappa gustosa a Frassino in loc. Borgata Centrale e se avete
la fortuna di trovare aperto, potrete dissetarvi e portare a casa delle
eccellenti birre del Birrificio Boero.
Il viaggio prosegue per Sampeyre e Casteldelfino, credo che anche queste
località nascondano delizie gastronomiche, ma purtroppo non ne
ho provate, ma lo farò al prossimo viaggio in Valle!
Appena fuori da Casteldelfino, davanti alla strana costruzione simile
ad un anfiteatro in legno, sulla sinistra trovate il bivio per la Valle
di Bellino, una corta valle, 7/9 Km ma di una bellezza incredibile, e
non priva di un pizzico di mistero!
Prima di proseguire per il Colle dell’Agnello fate questa deviazione,
vale il viaggio.
Ha, dimenticavo! Se siete camperisti il comune di Melle mette a disposizione
il campeggio gratuito, ma lungo tutta la statale da Venasca sino a Pontechianale,
troverete alcuni punti attrezzati per la sosta in cui fermarvi se non
volete approfittare delle mie indicazioni dei ristoranti, e non dimenticate
che a Casteldelfino trovate l’ultimo distributore sulla strada che
sale al Colle.
Iniziamo ad entrare nella magica e misteriosa valle di Bellino. Percorretela
fino alla Borgata Celle, dove nella panetteria Richard (0175956016) potrete
acquistare qualcosa di storico: le grandi forme di “pane di una
volta”, di farina e quelle di segale, cotte nel vecchio forno della
borgata.
L’ultima chicca è S. Anna, dove la strada finisce e davanti
a voi compare la misteriosa roccia Senghi che pare scagliata contro la
montagna proprio dal Diavolo... come vuole la leggenda: ma è in
questo luogo di delizie che volevo condurvi, dove una scritta della Casa
Alpina Excelsior vi introdurrà nella cucina di Francesca per assaporare
i piatti della tradizione!
Francesca Maiolo dall’8 luglio al 20 di agosto 2012 si occuperà
della cucina di questa grande casa che ospita i ragazzi delle colonie,
ma anche dei turisti e dei buongustai a cui consiglio di prenotare chiedendo
un menù degustativo e potrete anche richiedere polenta, risotti
di vari tipi, anche alle erbette di montagna (buoni!) o affidarvi a lei
dicendo che volete assaggiare qualcosa di speciale, fuori dal menù
della colonia, ma il prezzo di tre antipasti, due primi, secondo con contorno,
caffè, acqua, vino, dolce, pane e coperto... difficilmente arriverà
a superare gli euro di una pizza farcita e coca cola! Tel. 0175956022
e... chiedete di Francesca.
Noi ci siamo tornati varie volte e ogni volta abbiamo lasciato al suo
estro di scegliere per noi e sempre è stata una gradita sorpresa.
Giungiamo in anticipo, si pranza dopo le 12,30. Aspettando in cortile
ci godiamo il fresco lasciandoci alle spalle il ricordo della calura della
città.
Accanto a noi una giovane coppia con una simpatica cagnolina “Carlotta”.
Indubbiamente sono molto affezionati al loro amico a quattro zampe e paiono
usciti dalle affermazioni di Michela Brambilla e il suo “in
vacanza con gli animali” e quell’affermazione che “anche
loro fanno parte della famiglia e quindi hanno diritto di entrare con
noi anche nei ristoranti”, sempre nel rispetto delle Leggi,
ma ne ho visti tanti accovacciati accanto alla sedia, o sotto il tavolo,
puliti, silenziosi, direi... “educati”, con la ciotola d’acqua
e qualche boccone anche per loro, nell’apposito piatto premurosamente
deposto “da ristoratori... intelligenti”, e nessuno ha mai
disturbato... al contrario di certi chiassosi pargoletti scorazzanti tra
i tavoli come fossero in un cortile di casa e non in un ristorante, in
barba... alla Legge che riconosce il ristorante come luogo adibito alla
ristorazione e non ai giochi, riconoscendo a chi pranza il diritto di
non dover subire al... “ristorante” disturbi da... parco giochi!
La coccolo un po’ e mi fa piacere averla nella sala dove pranziamo.
Mi rammarico pensando a certi cartelli “io non posso entrare”,
per fortuna, qui sono ben accetti e c’è sempre una ciotola
anche per loro grazie a Francesca e a don Romano, dinamico sacerdote,
gentile, sempre disponibile, affabile e... conscio che anche loro sono
esseri Creati da Dio....
I ragazzi stanno giocando con gli animatori e ognuno deve elencare un
piatto del menù tipico.
Sorrido ad un giovane che dice “Platessa” e l’animatrice
gli risponde “Ma tu vai in montagna a mangiare il pesce di mare?”:
mi sovviene un mio articolo dove nelle valli pinerolesi, in un... agriturismo
in montagna, mi hanno cucinato la paella alla valenciana con vongole e
gamberetti!
Francesca ha la passione per la cucina e grazie a questo talento naturale
e al cognato, che per molti anni è stato chef sulle navi della
Costa Crociera, ha imparato a cucinare i piatti storici della sua terra,
la Calabria, quelli della terra piemontese e quella della ristorazione
raffinata delle grandi navi.
Oggi ha preparato per noi una delizia di vitello tonnato, delicata la
salsa di maionese, tonno, capperi e acciughe, sapientemente dosati; una
fantastica insalata di merluzzo con fagioli, prezzemolo e aglio; un brasato
al Barolo e Nebbiolo da... farsi crescere i baffi per leccarseli, con
il contorno di spinaci di montagna (buoni); un risotto agli asparagi che
per una che adora il risotto c’è andata matta con il bis,
e dei favolosi agnolotti al ragù, fatti a mano... come una volta,
nessuno è uguale e la pasta è sottilissima.
A sorpresa quest’anno c’è Simone Messa ad aiutare Francesca
ai fornelli, allievo della Scuola Alberghiera di Barge (CN), giovanissimo
ma con tanta passione ed entusiasmo per la cucina, e un giovane cameriere,
Mattia Cavallone, che con quel garbo che... spesso non hanno nemmeno i
veri camerieri, ti serve con un sorriso e a cui perdoneresti anche se
in una serata di gala ti versasse il vino sull’abito da sera.
Simone mi spiega che il vino usato per cucinare il brasato proviene dalla
cantina privata di don Romano, che gestisce la casa alpina, e mi racconta
che la bottiglia di Barolo usata per cucinare portava la data 1983 e quando
l’anno aperta hanno trovato uno strano vino con un colore e un sapore
delicato e non scuro, denso, con fondi e asprigno come immaginavano: decisamente
doveva essere un buon vino che ha saputo conservare per ben 29 anni il...
prestigio del suo nome!
Con entusiasmo parla della sua scuola che è molto giovane, ma ogni
anno aumenta il numero dei nuovi iscritti ed io lo ascolto, sorridendo
a questo giovane dai capelli biondi color del grano che mi fa venire in
mente “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint- Exupéry.
Mattia serve premuroso, come avesse studiato questo mestiere! Premurosamente
domanda se tutto va bene, porge il vassoio chiedendo se ne gradiamo ancora
e penso che molti giovani avrebbero tanto da imparare da lui: buone maniere
ed educazione innanzitutto!
Ma i sapori si apprezzano di più quando si conosce la loro storia,
e per farvi assaporare meglio i piatti che degusterete vi racconterò
come sono nati!
Se le origini del vitel tonnè, meglio noto con l’italico
“vitello tonnato”, sono antichissime e misteriose, alcune
curiosità sono però riconosciute storicamente.
L’origine del nome, apparentemente francese nasconde un piatto piemontese,
anche se gli onori sono condivisi con Lombardia e Veneto. Si sa che un
tempo nulla era trascritto nei libri e nemmeno per le ricette esistevano
i moderni ricettari di cucina, tutto veniva tramandato oralmente da padre
a figlio, da maestro a discepolo, come venivano anche tramandate le ricette
da madre a figlia e questo non sempre rende identificabile o certa la
narrazione.
Nella nostra tradizione gastronomica si incontrano due diversi tipi di
vitello tonnato, uno caldo (invernale) e l’altro freddo (estivo),
anche se personalmente ho sempre trovato solo quello freddo con la base
di maionese tipica del nostro secolo.
Nell’ottocento pare non contenesse il tonno. Considerando che la
tipica ventresca di tonno richiede un tipo di conservazione più
consona ai tempi moderni, forse il riferimento “tonnato” era
al modo di cucinare. Nei mesi estivi, in cui i moderni freezer erano ancora
da inventare e le ghiacciaie non consentivano comunque quella conservazione
sicura e lunga, le carni venivano marinate oppure cotte e poi affettate
e servite con salsine ottenute mescolando i vari ingredienti con una semplice
frusta, oggi sostituita dai moderni... frullatori, ma non necessariamente
venivano utilizzati tonno e uova.
Nella fredda stagione invernale le carni venivano arrostite, e affettate
si servivano con la salsa ottenuta dalla cottura (spesso addensata con
farina).
Il più famoso gastronomo italiano Pellegrino Artusi, nel 1800 spiegava
come ottenere il vitello tonnato con la coscia lessata e tagliata a fette
molto sottili e messa in fusione con una salsa di tonno sott’olio,
acciughe e capperi, simile a quella in uso ai giorni nostri a cui è
stata aggiunta la moderna maionese o quella più antica con uova
sode.
Per chi preferisce legare le sue origini alla Francia, c’è
una antica ricetta che ci ha tramandato un cuoco della corte del re Sole
che pareva ne fosse ghiotto, e un’altra legata alla salsa con capperi,
tonno, acciughe e olio, che entrò nella storia della nostra cucina!
C’è chi dice che l’agnolotto
è nato alla corte dei nobili, inventato dai cuochi utilizzando
gli avanzi di carne del pasto dei signorotti e chi vuole che siano nati
in Piemonte, nelle terre del Monferrato grazie ad un cuoco di nome Angelot
(dialettale di Angiolino) e per questo presero il nome “agnolotto”.
La storia li cita nel 1182: in un atto notarile è riportato l’impegno
di un fittavolo di Albenga (Liguria) di dare al padrone una certa quantità
annua di “ravioli”.
Ma la storia va ancora più indietro nel tempo e afferma che fosse
già conosciuti dai Romani e dagli arabi.
Boccaccio nel “Decamerone” narra del Paese di Cuccagna dove
“Alla cima del monte di parmigiano stanno degli uomini che altro
non fanno che cucinare agnolotti che poi fanno rotolare sul pendio di
parmigiano grattugiato, e giunti in fondo la gente li raccoglie”.
La storia della Valle Varaita termina qui, ma ne avrei ancora tante da
raccontarvi!
Riprendiamo il cammino per risalire il Colle dell’Agnello e raggiungere
la valle francese del Queyras e mentre ci allontaniamo i ragazzi e gli
animatori ci salutano e a me resta il ricordo di un buon pranzo, della
cucina di Francesca... cara amica, di Simone, Mattia, e tanti giovani:
se il futuro dell’Italia è in mano loro... con questi siamo
in buone mani!
di Alexander Màscàl
foto Matteo Saraggi
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