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DAL
MONDO DEL VINO E DELLA VITE
A cura di Roberto
Rabachino [rabachino@asa-press.com]
Liberalizzazione dei diritti dei vigneti, l‘Ue
fa un passo indietro
Primo passo indietro sulla liberalizzazione dei diritti
di impianto de vigneti. Il Gruppo ad alto livello Ue, incaricato di analizzare
la questione, ha terminato il suo lavoro con la redazione di una relazione.
Innanzitutto è emerso un consenso sulla necessità assoluta
di mantenere un dispositivo di gestione degli impianti di vigneti all'interno
dell’Unione europea per tutte le categorie di vini (denominazioni
di origine protetta, indicazione geografica protetta e i vini senza indicazione
geografica), dopo la fine dell’attuale regime.
Gli esperti ritengono essenziale avere un meccanismo dinamico che crei
le condizioni favorevoli per lo sviluppo equilibrato del settore vitivinicolo
europeo. Il Gruppo di alto livello ha studiato varie opzioni per il futuro
e proposto un sistema di autorizzazione di nuovi impianti applicabile
a tutti i vini, che dovrebbe essere gestito dagli Stati membri tenendo
conto delle raccomandazioni delle organizzazioni professionali rappresentative
riconosciute (interprofessioni, consorzi di tutela, camere di commercio).
Tutti i nuovi impianti dei vigneti per tutti i tipi di vini saranno sottoposti
alle modalità di autorizzazione. Le autorizzazioni saranno gratuite,
e non alienabili e valide per un periodo limitato di 3 anni.
Questo sistema sarà dotato di una clausola di salvaguardia o tetto
massimo stabilito a livello comunitario, che consiste nella fissazione
di una percentuale annua di nuovi impianti autorizzati. Gli Stati membri
avranno la possibilità di prevedere una percentuale inferiore a
livello nazionale, regionale o per una categoria di vino determinata,
a determinate condizioni.
In caso di domande individuali ammissibili inferiori alla percentuale
fissata a livello nazionale, l’insieme delle richieste di autorizzazione
saranno accolte. In caso di domande superiori alla percentuale stabilita
a livello nazionale, le autorizzazioni verranno concesse sulla base di
criteri di priorità oggettivi e non discriminatori stabiliti a
livello Ue, con possibili ulteriori criteri nazionali che rispettino gli
stessi principi.
Il nuovo sistema si applicherà per un periodo potenziale di 6 anni,
con una clausola di revisione. Infine, saranno previste delle disposizioni
transitorie. Queste conclusioni saranno presentate al Consiglio e al Parlamento
europeo, ed alimenteranno il dibattito in corso nel quadro della riforma
della Politica agricola comune.
È evidente che, rispetto alla prevista liberalizzazione degli impianti
(già scritta nelle norme Ue) e il negoziato “in salita”
con la Commissione europea, il risultato raggiunto è sicuramente
positivo, come auspicato da Coldiretti. Oggi la Commissione, così
come già ha deciso lo stesso Parlamento europeo, ha compreso le
preoccupazioni dei Paesi produttori e ha dimostrato una concreta volontà
di individuare un modello di gestione del potenziale produttivo, sebbene
diverso dal sistema dei diritti di impianto.
Purtroppo però ci sono ancora molti punti che necessitano di importanti
chiarimenti. Il documento fornito dalla Commissione non è sufficientemente
chiaro sul concetto di ammissibilità delle richieste di impianto,
che dovrà essere legato a criteri minimi generali fissati a livello
Ue. Se così non fosse, il nuovo sistema nasconderebbe di fatto
una liberalizzazione nell’ambito della percentuale di incremento.
È estremamente importante quindi che il nuovo sistema preveda una
clausola di salvaguardia fissata a livello Ue ad una percentuale molto
bassa e sicuramente inferiore a quella proposta dalla Commissione (era
del 2%). Inoltre, bisognerà specificare meglio la portata delle
misure transitorie che necessariamente dovranno accompagnare il passaggio
al nuovo sistema con particolare riguardo ai diritti in portafoglio detenuti
dai produttori.
Su questi aspetti bisognerà quindi lavorare per costruire un sistema
che possa effettivamente consentire una maggiore flessibilità e
capacità di adattamento al mercato, ma senza incorrere nel rischio
di una “deregulation” che finirebbe per modificare il volto
della vitivinicoltura europea, determinando una considerevole spinta verso
le aree produttive meno vocate e i Paesi dell’Est Europa (fonte
Coldiretti e Ministero Politiche Agricole).
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