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ATTORNO
ALLA TAVOLA
A cura di CARLO PASSERA [ passera.web@asa-press.com
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DATECI MENO, MA MEGLIO
Meno, ma meglio. Sembra essere questa la tendenza di fondo in
fatto di consumi: minori quantità, perché le difficoltà
economiche, le incertezze del mondo del lavoro, gli interrogativi sullo
sviluppo futuro suggeriscono un utilizzo più moderato di quanto
il mercato ci offre; ma nello stesso tempo cerchiamo migliore qualità,
perché nessuno ormai vuole più rilanciare al Bello e al
Buono; perché si preferisce magari “volare basso” nella
quotidianità, per poi dare sfogo alla propria voglia di eccellenza
puntando saltuariamente in alto, comprando il meglio. Tutto ciò,
in campo enogastronomico, ma non solo. A delineare questo trend che riguarda
la società nel suo complesso è infatti stato un interessante
“esperimento” che ha riunito recentemente a Stra (Venezia)
tra importanti distretti produttivi della regione, quello del Prosecco
doc di Conegliano Valdobbiadene, quello della Calzatura del Brenta e quello
del Mobile Classico, adesso alleati tra loro. All’origine del “patto”,
che si è concretizzato in un progetto di fusione dei rispettivi
Osservatori del mercato, una considerazione: la società cambia
rapidamente e il mondo produttivo ne deve tenere presente per mantenersi
concorrenziale; in uno scenario dove vi è un enorme bisogno di
innovazione, cercare risposte anche al di fuori del proprio settore più
aiutare a migliorare la competitività. Per la prima volta, dunque,
settori produttivi tanto diversi si sono uniti per studiare il mercato:
ne è nata una analisi comune sulle macrotendenze dei consumi, condotta
da Astra Ricerche e presentata da Enrico Finzi, con l’obiettivo
di conoscere in anticipo come cambia la domanda. Il quadro generale è
quello di una società dove le variazioni della demografia, in passato
considerate lente, oggi risultano molto rapide a causa della crescita
dell’immigrazione, dell’invecchiamento della popolazione e
della nascita di una classe post adulta, ma non vecchia, che si mantiene
dinamica e moderna fino in età avanzata. Poi vi sono i giovani,
sempre più precoci nell’uso delle tecnologie e sempre più
tardivi nel raggiungimento dell’indipendenza economica. Infine le
famiglie, che tendono a divenire sempre più piccole e sempre più
anziane. Tutto ciò comporta la necessità di “bruciare”
meno rapidamente le proprie risorse economiche, distribuendole in modo
più razionale; ma nello stesso tempo determina nel consumatore
una maggiore consapevolezza nell’acquisto, che a sua volta porta
a una maggiore capacità di valutazione della qualità intrinseca
di un prodotto.
L’esito di tutto questo, come anticipato, è il “meno
ma meglio”. Ossia: con la crisi economica la società mantiene
certi consumi, riducendone la quantità, ma preservando la qualità.
Ciò accade a tutti i livelli, anche nel ceto medio-alto, presso
il quale la tendenza alla riduzione dei consumi è dovuta alla scarsità
di tempo o di spazio per godere appieno di un bene. Ne deriva una successiva
conseguenza: se vogliamo il meglio ma abbiamo poco tempo per cercarlo,
ecco la necessità di qualche “garante affidabile” o
presunto tale; da qui deriva una richiesta crescente di marchi (Doc, Docg,
Igp, ma danno sicurezza anche l’attività dei Consorzi, i
Disciplinare di produzione…) visti come strumenti sempre più
importanti per indirizzarci all’acquisto. Molto più della
pubblicità tradizionale, che è in crisi perché il
consumatore – quando può - vuole divenire coproduttore del
messaggio, attraverso l’incontro con il produttore, le visite in
azienda, eccetera.
A conclusioni analoghe è arrivata anche un’altra indagine,
questa volta commissionata all’istituto di ricerca Ipsos dal Movimento
Difesa del Cittadino. Le conclusioni, in sintesi: il 45% degli italiani
controlla sempre l’etichetta di origine; la gran parte è
disposta a spendere di più per prodotti Made in Italy o a denominazione
registrata; in tema di informazione fornita dai mass media, i cittadini
la considerano “allarmista e disorientante” (45%). Tra i soggetti
(istituzionali e non) che si occupano di sicurezza alimentare la maggiore
fiducia riscuotono gli istituti scientifici (83%) seguiti da gli organi
di controllo, come i Nas, e dalle associazioni a tutela dei consumatori.
Gli italiani hanno insomma un’alta considerazione (96% del campione)
dell’importanza dell’etichetta ai fini della sicurezza alimentare.
A questa realtà non segue però un comportamento sempre coerente:
il 28% non controlla l’etichetta, il 27% la controlla spesso e meno
di un italiano su due (45%) dichiara di controllarla in ogni occasione.
Sono soprattutto le donne che fanno questo controllo (50% contro il 39%
degli uomini) e persone in età matura (49% degli ultra 55enni contro
il 36% dei più giovani). Ma c’è parecchia confusione
sull’obbligo dell’etichetta di origine: oltre l’80%
crede che sia obbligatoria anche per il maiale! Colpisce (negativamente)
che siano soprattutto i giovani ad avere scarsa conoscenza su questi obblighi,
con l’88% della fascia di età 18-34 contro il 79% delle persone
sopra i 35 anni. In generale comunque le percentuali di risposte che danno
per scontata l’origine sull’etichetta sono alte per tutti
i prodotti presi in considerazione (olio di oliva, pesce, maiale, passata
di pomodoro): quindi si può evincere una richiesta di maggiore
controllo e maggiore informazione sull’origine dei prodotti.
Quest’ultimo elemento è considerato importante sia in ottica
di tutela del consumatore, sia in ottica di mercato: infatti l’86%
degli intervistati si dichiara disposto a spendere un po’ di più
per acquistare un prodotto italiano, ed il 78% per un prodotto dop; anche
il biologico riesce a incrementare la disponibilità a spendere
di più da parte di un 55% degli intervistati, ma si tratta di una
percentuale notevolmente inferiore a quella degli altri due prodotti.
Quest’ultimo dato fa infatti riflettere sulla diffusione e la stabilizzazione
del mercato del bio: un settore che si sta espandendo da anni ma sembra
non affermarsi nella spesa alimentare dei consumatori nonostante sia conosciuto
come cibo sano e genuino.
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