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ATTORNO
ALLA TAVOLA
A cura di CARLO PASSERA [ passera.web@asa-press.com
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LA SIGLA DOP, QUESTA SCONOSCIUTA
Doc, Docg, Dop, Igt… Per i comunicatori
che operano nel mondo dell’enogastronomia sono tutte sigle assai
familiari e che vengono usate tranquillamente, anche quando la propria
“audience” non è composta da cultori della materia.
Ma davvero il lettore sa di cosa stiamo parlando? Acronimi come quelli
citati in effetti hanno ormai da tempo raggiunto un buon livello di notorietà:
ma se si chiede agli italiani cosa differenzia un prodotto certificato
da un altro che non lo è, allora il discorso cambia radicalmente.
A fronte di un ottimo 90% di intervistati che ha sentito parlare della
sigla Dop, solo una sparuta minoranza, il 5%, è in grado di spiegare
davvero il valore aggiunto che la sigla dovrebbe dare al prodotto sul
quale è apposta. E’ quanto emerge da un sondaggio commissionato
dal Consorzio Olio Dop Chianti Classico e che è stato presentato
nei giorni scorsi a Firenze nell’ambito del Banco d’Assaggio
dell’olio delle Dop italiane. Spiega Carlo Salvadori, presidente
del Consorzio: «Ci è sembrato giusto puntare i riflettori
sulla conoscenza che gli italiani hanno della produzione di qualità
e, di conseguenza, sul ruolo che i media hanno in tal senso». I
risultati, come detto, non sono entusiasmanti. Certo, il tema dell’alimentazione
interessa parecchio ai nostri connazionali (ben il 72% degli intervistati
conferma che l’alimentazione ha un valore determinante nella propria
vita), due persone su tre badano alla qualità del cibo che acquistano
e che finisce sulle loro tavole e soltanto l’8% manifesta un deciso
disinteresse nei confronti della buona cucina (con una netta prevalenza
maschile, laddove le donne sembrano più attente a come e a cosa
mangiano). Di più: nella Penisola si dà parecchio peso anche
alla qualità dell’olio utilizzato: solo il 14% degli intervistati
lo ritiene poco importante, i più “premiano” la tipologia
extravergine. Fin qui le note positive: ma se poi andiamo ad analizzare
il grado di conoscenza dei marchi che dovrebbero garantire una certa qualità,
le note si fanno dolenti. Chi conosce sigle come Doc, Dop, Docg, Igt,
Igp, Stg? Decisamente la parte del leone la fa la sigla Doc, che si attesta
su un 76% di conoscenza esatta, anche se non va dimenticato come un italiano
su dieci non abbia la benché minima idea di quale sia il significato
dell’acronimo in questione. Calo netto già quando si passa
alla sigla Docg, conosciuta in modo adeguato soltanto dal 45% degli intervistati
e via a scendere con Igt al 23%, Igp ugualmente al 23% e Stg solo al 7%.
Due italiani su tre conoscono inoltre l’olio Dop, dato di per sé
incoraggiante: resta però da stabilire quanti di questi sono in
grado di abbinare alla sigla una filosofia e una metodologia strettamente
connesse ad un concetto di qualità superiore. Risposta: ben pochi.
Interrogati sul tema, gli italiani protagonisti del sondaggio sono perlopiù
naufragati miseramente: soltanto circa il 5% degli intervistati è
stato in grado di offrire una risposta adeguata, utilizzando nel suo discorso
termini come “legge”, “disciplinare”, “controlli”,
“filiera”, “cultivar”, “territorio”.
La stragrande maggioranza degli altri se l’è cavata dicendo
genericamente che un prodotto certificato è in linea di massima
più buono e anche più sano. In pratica su mille intervistati,
soltanto 58 sono stati in grado di offrire una risposta che fosse in qualche
modo adeguata al quesito. «Si tratta di dati interessanti, sui quali
è necessario riflettere - sostiene Giuseppe Liberatore, direttore
del Consorzio Olio Dop Chianti Classico - Siamo il Paese che conta il
maggior numero di prodotti certificati, a testimonianza di una tradizione
e di una storia che non conoscono eguali in questo campo. Eppure abbiamo
le idee assai confuse su cosa sia esattamente la certificazione e quale
valore rappresenti per il consumatore».
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