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ATTORNO
ALLA TAVOLA
A cura di CARLO PASSERA [ passera.web@asa-press.com
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L’AMATRICIANA “CONTRAFFATTA”
La Settimana Enigmistica, si sa, vanta innumerevoli tentativi
di imitazione, il che è sicuro indice di successo. Anche la cucina
italiana fa furore in tutto il mondo ed ecco puntuali i tentativi di copiarla,
che ora non si limitano più alle mozzarelle australiane o ai Chianti
californiani, fino agli esotici Parmesan, Reggianito o Combozola (esotici
sì, ma anche abbastanza catastrofici per la nostra bilancia commerciale).
A essere (male) imitate, addirittura parodiate, con esiti ben prevedibili,
sono addirittura le regole della nostrabuona cucina. Lo denuncia a chiare
lettere una ricerca realizzata dall’Accademia Italiana della Cucina:
la nostra gastronomia in terra straniera è vittima di un progressivo
“imbarbarimento” causato dalla crescente contraffazione delle
ricette originali. Il dossier lascia poco spazio al dubbio: nel 60% dei
casi la cucina italiana all’estero è realizzata in modo non
molto corretto o addirittura maldestro. E solo nel 40% dei casi risulta
“ben interpretata”. Questo accade anche perché quasi
la metà (47%) dei cuochi che operano nei ristoranti italiani all’estero
non sono nostrani (sono in maggioranza australiani e messicani) e solo
una piccola parte (9%) di questi ha seguito scuole, stage o tirocini nella
Penisola. Al danno si aggiunge la beffa quando scopriamo che non solo
la ricetta è spesso contraffatta, ma il discutibile esito finale
viene perlopiù spacciato per tradizione: la cucina proposta è
infatti quella classica-tipica ben nel 78% dei casi, mentre nel 32% dei
casi si tratta di cucina “fusion”, un ibrido tra tradizione
e innovazione, e solo nel 10% dei casi si può parlare di vera e
propria cucina “innovativa”. Questa forma d’imbarbarimento
della ricetta tradizionale è diffuso ovunque. Oltre a Usa, Canada
e Australia, baluardi della gastronomia italiana e quindi del suo “tradimento”,
particolarmente toccate dal fenomeno della contaminazione sono Irlanda,
Portogallo e Finlandia. Ma il discorso vale anche per la Germania, dove
alla stima e alla considerazione per la cucina italiana fanno da contraltare
aggiunte formali e cromatiche, abuso di certi ingredienti (aglio, peperoni,
rucola, aceto balsamico) e soprattutto la diffusione di abitudini alimentari
davvero non italiane, come quella di accompagnare un primo e un secondo
con il cappuccino. Ma qual è il piatto della tradizione italiana
maggiormente tradito nei ristoranti italiani all’estero? Al primo
posto la pizza e a seguire il tiramisù, le lasagne, le scaloppine
di vitello e la pasta al ragù. Tra le ricette più “abusate”
spiccano anche numerosi piatti tipici regionali, in primis gli spaghetti
alla bolognese, i ravioli, gli spaghetti alle vongole, l’ossobuco
e i saltimbocca alla romana.
La fusione tra i gusti della tradizione e i sapori locali inoltre dà
spesso luogo a una forma di cucina ibrida e alla creazione di piatti che,
paradossalmente, hanno successo anche se ben lontani dalla tradizione
Italiana. Ne è una dimostrazione la cucina “all’italiana”
olandese: a L’Aia, nei ristoranti nostrani, si possono trovare nei
menu le “insalate di pasta” o i “pesci al forno col
pesto”. A San Paolo del Brasile è molto diffuso il consumo
in un piatto unico di “carne o pesce insieme alla pasta”.
Ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli, ma non tutti i numeri sono
disastrosi. Se c’è tanta contraffazione, infatti, la ragione
è chiara: la cucina italiana piace. Tantissimo. La sua immagine
è molto cresciuta negli ultimi anni: è considerata “ottima”
nel 57% dei Paesi dove esiste una delegazione Aic. E’ in assoluto
la preferita per il 68% de Paesi stranieri monitorati dalle delegazioni
seguita, a sorpresa, dalla cucina cinese (40%) e a ruota dalla francese
(38%) e dalla giapponese (17%). Così è ampiamente diffusa
in tutti e cinque i continenti ed è in espansione: sono ben 16
le città straniere monitorate dall’Aic con più di
100 ristoranti italiani. L’Australia la fa da padrone: Melbourne
è leader con più di mille ristoranti italiani, seguita da
Sidney, New York e Montreal con 500. Dati che confermano il ruolo fondamentale
che l’emigrazione di massa ha avuto nello sviluppo della gastronomia
italiana all’estero. Nonostante questa discriminante anche l’Europa
si fa rispettare: è Parigi, con ben 400 ristoranti italiani, la
culla della nostra gastronomia in Europa, segue Francoforte con 200 e
Londra con oltre 150.
In definitiva, c’è da sperare che questa buona fama e diffusione
aumentino poco a poco la conoscenza, così da superare certi orrori
culinari spacciati come made in Italy. Una buona notizia in questo senso
giunge dalla Virginia: spiega la delegazione locale dell’Aic come
il gusto degli americani si stia finalmente affinando, un piatto ibrido
per eccellenza come gli “spaghetti con le meat balls” (polpette),
prima diffusissimo, è ad oggi praticamente scomparso dai menù.
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