MONOGRAFIE Nello spazio della Tavernetta da Elio, in Fatebenefratelli, riservato per tanti anni a Indro Montanelli, Matteo Scibilia dell’ Osteria della Buona Condotta di Ornago è venuto a dar man forte a Marco, delfino di Elio Niccoli. I Niccoli per tanti lustri, quasi 10, sono cucinieri toscani in milanese, e lo sono stati per Indro, mantenendo integra ed alta la bandiera della gastronomia popolare toscana, in particolare della lucchesia e del pesciatino. Matteo è invece originario siculo, opera in Brianza, ad Ornago e Cavenago, ma conosce a fondo Milano e la ristorazione ambrosiana. Entrambi fanno parte, con Piero Sagresti di "Piero e Pia" a tavola con noi, di quella cucina di qualità che caratterizza il mangiarbene del mosaico gastronomico italiano proveniente da tante nicchie regionali, ben rappresentato in terra ambrosiana. Tra i mangiarbene toscani, la trippa anche all’estero occupa forse il posto più popolare: la storia dei "trippai" di Firenze dura da oltre cinque secoli e costituisce parte importante del patrimonio fiorentino. La sua impronta storica e di costume, le famiglie che si sono tramandate per generazioni la proprietà del "banchino", l’identità gastronomica del "lampredotto", l’evoluzione verso il mantenimento di una genuinità anche di degustazione "per strada o in terrazza?" sono state ricordate dal Dr Carlo Valli, consigliere di ASA, al gruppetto dei favoriti che hanno aderito al divertimento.
Carlo è stato ricco di storie al contorno ed alla vitalità dell’aperta esibizione di protagonismo della bontà dei ventri per la strada che da cibo popolare sono assurti all’esibizione di pasto ipocalorico del professionista e dell’uomo arrivato. E’ nettamente un’esibizione machista, ma spontanea: il banchino di Careggi o del Porcellino valgono buonuscite (goodwill) da sogno, difficilmente approvabili da qualsiasi consiglio d’amministrazione di multinazionali, che come hanno comperato tanto in Chianti avrebbero magari desiderato ripetere in città, ma il colore del fisco forse non si sarebbe armonizzato con quello di una cessione di proprietà all’estero... Il menù della serata era basato su tradizione ed evoluzione, rappresentata dalla ricerca di parti di "trippa" di rara consuetudine, come il "cordoncino" ed il "tondino" nelle versioni storiche e il "lampredotto" elaborato dalla ristorazione in pietanza da élite della gastronomia. Il "cordoncino" è una delicatezza che ha in oriente un’immagine di dispensario di prestazioni afrodisiache talmente convincente da spingere alla spedizione verso Cina e Giappone di tutti i "cordoni", di sostegno del mesentere, ancora crudi e croccanti nella loro muscolarità, per via aerea, per delicate preparazioni di "consistenze" e "sapori" di essenzialità elegante di intimità viscerali. Dai venti gradi di definizione che i cinesi danno della "consistenza", "texture" in inglese, per quella del "cordoncino" selvaggio userei il termine "slippery": una consistenza che tende a sfuggire, intrigante, elusiva alla masticazione ma contemporaneamente docile e morbida. Nei ricordi è anche "juicy", succosa, anche se intimamente "resilient". Come m’aspettavo la parte non è stata accessibile, seppure la selezionata macelleria milanese da cui si serve Marco se ne sia interessata e sirimanderà l’assaggio ad altre occasioni, magari... riprovando Franco Cazzamali e Marco Nicoli visite da amici ai freddi giacimenti di Franco Cazzamali, nel suo negozio-laboratorio del cremasco Marco ha presentato il "Tondino al Marsala", non il "cordoncino", ma di quella parte che la Confraternita dei Trippai di Moncalieri classifica come "esofago" o "barra" o "tondino" o "erbera"... nell’edizione che alcuni frequentatori della Tavernetta da tempo hanno apprezzato Una rappresentazione d’archivio del crudo
è d’uopo, anche se cruda, prima di passare a immagini più
affascinanti... Tondino, o esofago di vitello. Sezionato a fettine, avvolto da salsa al Marsala classica, il servizio ne fa un piattino che incuriorisce prima alla vista e poi ai sapori. La consistenza in questo caso è "velouté", dal nome della salsa francese. Alla masticazione dà una senzazione "spongy" ma altrettanto "juicy" e per nulla "fibrous". Al primo boccone è scioccante e stimola al conflitto cerebrale palato, vista e gusto: in questo caso userei dall’elenco delle consistenze il termine "chewy", indice di una masticazione da meditazione, proprio come si converrebbe fare con un vero "toscano"... Nel "In difesa della buona Italia" (1988) scrivevo: "La consistenza di proteine animali, dei fasci di fibre muscolari, ha una parte irreversibile d’origine dalla natura dell'animale: un branzino che abbia nuotato a lungo alla ricerca delle sue piccole prede, una gallina che abbia saltellato alla ricerca di grani di mais e di frumento, un maiale in libertà, una vitella che abbia cercato le erbe preferite nei pascoli in libertà: tutti questi animali hanno una differente consistenza naturale rispetto ai loro simili provenienti da allevamenti organizzati razionalmente. Non solo per i tendini e le membrane, ma per la costituzione cellulare della stessa fibra." Tanto c’è da dire su quella della trippa perchè proprio la muscolarità delle sue fibre è uno dei massimi esempi di "sostanza" in grado di fungere da strumento culinario di intervento miracoloso, senza apporti di sapori specifici, ma solo di gradi di "consistenze". Ne parleremo alla tavola rotonda del secondo round alla La Famiglia Bustocca a Busto per il 15 marzo e cercheremo qualche altra chicca rara... tra "Trippe Ambrosiane". Per quest’occasione l’amico Matteo Scibilia, dal ponte con vista della sua consulenza per la ricerca di materie prime gustose di altissima gamma per il settore della ristorazione di alta gamma, ha avuto accesso alla "trippa di baccalà" ed al altre golosità. Da poche settimane gustato l’edizione in zuppetta al profumo del finocchietto di Aimo e Nadia con cui ravvivo la presentazione di questo report illustrato della Trippata di Carnevale, rimandando a viaggi in via Montecuccoli per le indescrivibili sensazione del ventaglio dei suoi sapori. Matteo ha portato le vesciche natatorie di baccalà, pretrattate alla pesca, per farne una sontuosa sorpresa di boccone esoticamente "nun" e "tsuei", in inglese "tender" e "crisp" – tenero e croccante. Ne avevo in più riprese parlato a Marco. Ne ha tagliato classiche striscioline che ha fatto saltare con olio extravergine ed ha aromatizzato con santoreggia, poco pepe e sale e pomodorini del tacco parzialmente essicati al fumo. A parte ha abbrustolito crostoni di toscano e disteso il sauté sugli stessi che hanno assorbito l’intenso condimento... Poco sale? Certo, ma un pizzico di bottarga di lavarello ha fatto da... tocco delicato di sapidità! Il risultato è eccellente per l’apprezzamento del ventaglio delle consistenze che erano completate dal carattere "crispy" del crostino. Per la maggior parte dei convitati e per due su tre degli chef presenti (il terzo era Piero, patron di Piero e Pia) si è trattato della prima volta dell’assaggio... con consensi di apprezzamento! Nel caso di Matteo, si tratta di una versione molto diversa dal progetto della zuppetta di Aimo e della Trippa di Coda di Rospo di Moreno Cedroni (Madonnina del Pescatore, Senigallia) che viene servita su coppetta di polenta, aromatizzata da sautè in salsa rossa... La trippetta si presta ad essere anche conservata pre-cotta in vasetti che Cedroni mette in vendita dalla sua boutique gastronomica... Questa versione di pseudo-trippa, che esala mare alla sua ripresa, è in lista quasi giornalmente come il "lampredotto" all’Osteria della Buona Condotta, via Cavenago 2 – Orsago (MB). Mancano alla "tripopata" solo le fragranze del genere "ventri di pisci spada" dello stretto di Messina e dei tonni delle Egadi, consigliati a tavola con ricette simili alle preparazioni di "stocco alla messinese", abbinati con patate ed olive... Matteo salta la trippa, di baccalà.... Marco Niccoli riprende il filone con la tradizionale "Trippa alla Fiorentina", rossa, tutti i giorni in lista a "La tavernetta", che quando ha due giorni migliora ancora, servita su piatto piano come "risotto all’onda", sapida e sugosa. La consistenza classica della trippa di vitello cotta con sapienza casalinga si accosta con buon gusto ad abbondanti grattugiate di Parmigiano... e non lascia traccia di pesantezza anche dopo tre piatti! Successo palese! Anche a Firenze la trippa è composta da rumine (la parte a forma di sacco più grande, detta anche trippa, croce, crocetta, pancia, trippa liscia o busecca), omaso (formato da lamelle, detto anche centopelli o foiolo) e reticolo o cuffia (un piccolo sacco con aspetto spugnoso, detta anche cuffia, nido d’ape, bonetto o beretta). Le informazioni alimentari si possono riassumere in %: carboidrati: 0,0; proteine: 15,8; grassi: 5,0; acqua: 72,0 e mg per 100 g: colesterolo: 95 sodio: 107; calorie: 108.
Altre informazioni nutrizionali possono essere ricavate dalle schede dedicate alla Busecca alla Milanese, da "Per un Codice della Cucina Lombarda", 2° edizione della Regione Lombardia: Valori nutrizionale per una porzione di Busecca alla milanese (200 g di trippa + altri ingredienti): Calorie 547 Proteine 45,8 g Lipidi 27,2 g Glucidi 27,2 g Sodio 302,3 mg Colesterolo 352,0 mg Fibra alimentare 8,3 g Equilibrio nutrizionale classificato equilibrato in lipidi, calcio, zinco, vitamine B2, PP e C ricco in proteine, fosforo, ferro, Vit A povero in glucidi Il gruppo delle signore, o gineceo di Carnevale, ha molto gradito questa presentazione classica della Tavernetta che non dà adito a sorprese gustative e che conferisce alla ricetta fiorentina un eccellente equilibrio di aromi di erbe e una consistenza non tanto variabile da parte a parte, intenerite dalla cottura prolungata, che nella specificità definerei con il termine di "soft" e "smooth", cioè morbida, che si lascia modificare facilmente con la masticazione, liscia e senza callosità ma capace di rivestirsi della cremosità dei condimenti. Tra edizioni simili che variano principalmente nei tagli di trippa e nei componenti ortofrutticoli delle varie regioni, la fiorentina è tra più amate dal pubblico. E’ una classica minestra quasi asciutta, senza apporto apparente di amidi da patata o da legumi, molto gradevole ed appetitosa, che la tradizione di cucina dei Niccoli ha conservato nel tempo. La successiva esecuzione del "Lampredotto" riassume l’estro di Matteo che della semplice cottura in brodo leggero dei "banchini" di Orazio al Porcellino ha sviluppato una pietanza di alta qualità gastronomica: oltre alla gratinatura e all’inclusione di perle di contrasto di consistenza conferite dal pistacchio, abbiamo appreso che Matteo gioca anche con la selezione delle parti componenti il sistema delle trippe... in modo da generare una consistenza media che non si scosti da quella tradizionale fiorentina di strada e di cucina d’antan. Il matrimonio con Parmigiano di entrambe le esecuzioni è eccellente, la gratinatura conferisce un apporto deciso alla tavolozza dei sapori che si sprigionano dalla fase continua del cremoso brodo residuo della cottura e dalla interruzione della sensazione "chewy" della masticazione apportata dal pistacchio, decisamente e piacevolmente assimilabili a ciotoloni di riferimento stabili nel letto di scorrimento dell’amalgama dei condimenti, come piccoli massi nel letto di un torrente in altopiano... Siamo in un mondo crepuscolare, ricco di sfumature che richiamano meditazioni e trovano riscontro nel "panino al lampredotto" di strada. Se si cerca che il panino sia correttamente imbevuto - con la fantasia o con l’esperienza gustativa - proprio nella superficie di contatto con il "ventre tripposo" si riuscirà a recepire che l’interfaccia s’ispessisce con la mollica e – senza tuttavia incoronarsi di gratin – fa da ammortizzatore di conservazione del sapore integrale del "lampredotto" che si infrange contro la crosta del panino rimasta all’asciutto... Da ruscello si passa al fiumiciattolo: dipenderà dalla dimensione del panino... e dalla fantasia del meditatore! Lampredotto
gratinato al pistacchio, di Matteo Scibilia Penso di avere detto quanto tutto mi sia piaciuto. Per tutti è stata una serata interessante e gustosa. Il martedì milanese di carnevale sembrava tuttavia più un giorno di quaresima. Il gruppo ha scambiato curiosità, apprezzamenti, soddisfazione, piacere in rivoli di conversazione generale attenta e di digressioni personali create dall’occasione. Il sorbetto al mandarino della cucina di Marco completava il menù e non solo quattro ma oltre quattrocentoquarantaquattro chiacchere preparate dall’amico Raimondi, chef che ci è legato affettuosamente da tanti anni, hanno chiuso la serata: mancavano solo baci, ma sinceri abbracci di buona notte e successo per tutti hanno concluso con un sogno di ottimismo tante riflessioni fatte anche a voce alta, senza riferimento alla "trippata", che avrebbero indotto – come si sta avvertendo – la gente comune e quella più fortunata ad nutrire qualche pensiero in più oltre quello dell’età. La settimana della moda anima una Milano sofferente per la sua circolazione, per la sua debolezza alle prepotenze e alla difficoltà di comunicazione. Eravamo in sintonia: gourmet, cuochi, operatori della ristorazione, giornalisti e semplici umani a cui piace la buona cucina. Due ore abbondanti di buon’umore in amicizia e tante cose nuove imparate e comunicate, per lo meno sulla trippa! Grazie a Marco, a Matteo, a Carlo... ne è valsa la pena, senza cianfrine e interessi oltre a quelli di mangiarbere, comunicare e imparare a conoscere ed apprezzare l’uomo che si dà da fare. La tavola è un’occasione, la buona tavola un premio gratificante! Enzo Lo Scalzo, 21 febbraio 2007
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