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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
La questione è grave ma
non è seria
Breve storia di una polemica che non doveva nascere
Probabilmente non tutte le persone che seguono questo sito sono al
corrente di una polemica, complici alcuni media, che sta montando - augurandomi
si sciolga definitivamente ai primi disgeli - attorno ad una balordaggine
del direttore iper presenzialista di Rai Uno, Fabrizio Del Noce. Quindi
l’aforisma del grande Ennio Flaiano utilizzata nel titolo si adatta
perfettamente al caso. Personalmente sono dispiaciuto che colleghi che
stimo si siano accodati a plaudire con enfasi un fatto oggettivamente
poco significativo amplificandolo e cavalcandolo demagogicamente, quando
non per altre motivazioni più o meno palesi. A volte ci caschiamo.
Ma con l’agroalimentare occorre prudenza e discernimento. Per fare
un esempio, quanti di noi scribi abbiamo gridato al lupo per l’aviaria
dei polli, contribuendo non poco a mettere in seria crisi un intero settore?
Sappiamo poi tutti come è andata. Ciò nonostante nel magazzino
dei cervelli si può trovare anche qualche “non allineato”
che cerca di ragionare pacatamente su fatti concreti e senza pregiudizi.
Ma ecco il “misfatto”. E’ successo che Fabrizio Del
Noce la notte di Capodanno ha stappato con goffaggine davanti ai teleschermi
della sua rete una bottiglia di Champagne. Apriti cielo, perché
mai un prodotto straniero quando vantiamo fior di Spumanti italici? Vero
è che siamo in Europa, dove si accatastano ben 27 Paesi, ma santo
Dio un po’ di nazionalismo quando ci vuole (e ci torna utile) ci
vuole! A mio avviso, il fatto in sé più che un oltraggio
alla nostra enologia è un atto di superficialità. Scommetterei
qualsiasi somma che dei circa 11 milioni di italiani che secondo l’Auditel
aspettavano davanti al televisore lo scoccare della mezzanotte, non più
di una decina di persone - gli altri erano distratti dalle ballerine -
hanno notato non solo la tipologia del vino ma anche l’etichetta
(tra l’altro, se non sbaglio, anche quella del Bollinger Grand Année
somiglia a quella del Dom Perignon). Malgrado la dabbenaggine del citato
direttore che, detto per inciso, assai poco capisce di cibo e di vini
(chi lo ricorda quando conduceva come fosse un deportato alla Cajenna,
ma trasportato da elicotteri dello Stato, la trasmissione “Linea
Verde”, tra mortadelle e provoloni senza distinguere il suino dal
cacio?), vi sono tuttavia alcune considerazioni che da persone serie dobbiamo
fare. Nessuno può affermare che la “vituperata” bottiglia
di Champagne non gli sia stata messa in mano (senza malizia né
intento esterofilo) da qualche assistente del set riminese, dove si è
tenuta la diretta, che nella bolgia che vigeva in quel contesto: musica
a decibel pazzeschi, luci accecanti, tette e culi ballonzolanti, anche
il più razionale e sobrio dei manager non era certo in grado di
valutare “l’oltraggio” che perpetrava all’italica
vitivinicoltura.
Fermo restando che il sullodato direttore non è il principe della
sobrietà (il “goliardico” bacio in bocca con Fiorello
resta un monumento al pattume televisivo specifico di Rai 1), e il brindare
“a canna” come ha fatto in quell’occasione la dice lunga
sulla raffinatezza del nostro; né tampoco è un manager di
vaglia visti i conti in rosso scarlatto della Rai, e della sua rete in
particolare. Tuttavia mi è parso sopra le righe scrivere lettere
aperte di protesta al Ministro dell’Agricoltura (il quale, per inciso,
tramite il suo portavoce, ha fatto sapere che “non è materia
di competenza del Ministro Zaia”) affinché intervenga e sanzioni,
né tampoco invocare inchieste parlamentari, e neppure che l’Assessorato,
sempre dell’agricoltura, del Veneto verghi parole di fuoco accusando
di snobbare il loro Prosecco (dimenticando, ahi, ahi, il Lessini Durello)
minacciando che a fronte di cotanta ingiuria i veneti non pagheranno più
il canone. Auspicabile che franciacortini, trentini, astigiani, pavesi
dell’Oltrepo e altre regioni spumantistiche non si accodino a gridare
al vituperio. Saremmo alla farsa.
Tornando all’incriminata bottiglia di Champagne, qualcuno ha sollevato
l’ipotesi di marchetta, come s’usa dire in termini giornalistici.
Lo escluderei, semmai maliziosamente si può azzardare, in quanto
è lui che decide la sede dell’evento capodannesco televisivo,
che qualche ‘presente’ lo potrebbe aver preso da Rimini (Pro
loco, associazione albergatori, ecc) oppure dalla Provincia o dalla Regione.
Ma ciò sono appunto ipotesi maliziose. Quindi, è verosimile
che essendo “fuori sede” la famigerata bottiglia (assieme
probabilmente a molte altre) sia stata messa a disposizione da qualche
albergatore, bar/ristorante/grossista di bevande del posto anch’essi
ingenuamente “plagiati” dal luogo comune universale che i
brindisi importanti si fanno con lo Champagne. Tuttavia nessuno nega che
i nostri Spumanti sono mediamente buoni, in qualche caso eccellenti, tant’è
che le vendite e le esportazioni starebbero a dimostrarlo. Ma secondo
Maurizio Zanella, autorevole produttore delle nostrane bollicine (fondatore
e artefice del noto franciacortino Ca’ del Bosco), meglio fermare
le bocce e analizzare i dati. Infatti, scrivendo anche a questo sito,
racconta: “Prendo spunto da una serie di articoli apparsi sui media
italiani in dicembre e nei primi giorni di gennaio - molti dei quali certamente
“ispirati” da comunicati di fantomatici forum, associazioni
di categoria e Consorzi di tutela - che, in toni trionfalistici, hanno
annunciato che lo Spumante italiano sta avendo grandissimi successi di
vendita, mentre lo Champagne è in calo, è entrato in un
periodo di crisi e sta perdendo quote di mercato e quindi lo Spumante
italico trionfa. Concludendo, con gran disinvoltura, calcisticamente parlando,
secondo lor signori: Spumante batte Champagne: 1-0.
Ma come si fa a mettere in discussione un vino che ha costruito con 300
anni di storia l’immagine più consolidata e forte al mondo?
Infatti credo sia difficile smentire che il sinonimo brindisi-Champagne
non è solo un vacuo luogo comune. L’allure che sprigiona
non solo psicologicamente è un fatto incontrovertibile. Rendiamocene
conto, lo Champagne al di là delle varie marche fa brand da solo.
Dalle nostre parti i pur buoni Spumanti non fanno certo marchio. La Franciacorta,
ad esempio, non vuole che le sue bollicine si chiamino Spumante; per gli
astigiani che pure producono le bollicine, non è Spumante ma Moscato
(quando lo è davvero) e anche il Prosecco che Spumante lo è,
così non lo si deve chiamare. Alla faccia dei tutti uniti per l’italianità!
Manca, superfluo ricordarlo, tra i produttori delle nostre bollicine una
politica e una strategia di comunicazione univoca per imprimere un’immagine
concreta (la scelta prodotto/marca la farà il mercato); scarsa
o nulla una visibilità impattante mentre sono noti, quantomeno
a chi si occupa anche marginalmente di agroalimentare, i litigi da contrada,
i distinguo capziosi, le faziosità regionali. Mi chiedo allora
che sarebbe successo se il sullodato Del Noce avesse brindato (rigorosamente
a canna beninteso!) con una bottiglia di Ferrari piuttosto che con Bellavista
o Mosnel oppure un Asti o un Prosecco di Valdobbiadene? Lo scontro di
Montespertoli tra Guelfi e Ghibellini assomiglierebbe a una passeggiata
di salute. Se un consumatore brinda a Champagne, beve Champagne, punto.
La scelta, ad esempio, tra Veuve Cliquot, Philipponnat, Moët &
Chandon, Dom Perignon, eccetera, sarà dettata dall’esperienza,
dal gusto e dal prezzo. Gli spumantisti d’Oltralpe sono una corporazione
coesa che si riconoscono nel Comité Interprofessionnel du Vin de
Champagne che si occupa dell’immagine che difendono strenuamente,
del marketing nazionale e internazionale, della promozione, dell’iniziazione
al consumo e delle degustazioni, attività che svolge per tutte
le Maisons e le Caves. I vignerons aderenti a questo comitato parlano
di terroir, di cépage, di uve, di millésimés, di
Champagne de corp, de coeur, d’esprit, mentre dalle nostre parti
ognuno fa da sé e si promuove come può e come sa affidandosi
al massimo a chef più o meno stellati, che opportunamente retribuiti
in qualità di testimonial, elaborano ricette costosissime. Insomma,
con tutti guai che ha il nostro agroalimentare non credo sia il caso di
battere la grancassa su una cazzata (termine un po’ volgare ma qui
davvero stigmatizzante) come questa. Ci sono in giro tonnellate di pesce
avariato, forme di Parmigiano Reggiano, fiore all’occhiello del
nostro made in Italy, sgranocchiate da pantegane, sequestri giornalieri
di fiumi di vini contraffatti e montagne di cibi scaduti da anni, agropiraterie
con cifre da capogiro, l’infinito problema delle quote latte dove
sembrano una chimera i 30 centesimi al litro ottenuti dai produttori,
e noi invochiamo la Santa Inquisizione per una bottiglia di Champagne.
Suvvia, se il nostro mestiere è quello di comunicatori, comunichiamo.
Ma, per piacere, con un briciolo di sobrietà.
Giuseppe Cremonesi, giornalista
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