PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]


I sapori di Maremma si scoprono a tavola?
Un rapido assaggio dell’habitat e della gastronomia maremmana coniugate a molteplici degustazioni di Morellino. “Complice” una volonterosa iniziativa riuscita per metà.

D’acchito verrebbe da rispondere: “e dove altrimenti?”. Giusto, ma solo in parte, anzi in piccola parte. Questa considerazione dopo aver partecipato alla seconda edizione Non solo Morellino nella Madia dei sapori, iniziativa voluta e patrocinata dal Comune di Scansano con la collaborazione della Strada del vino e dei Sapori Colli di Maremma e il Centro Commerciale Naturale della cittadina maremmana con il coordinamento dei colleghi Asa Carlo Ravanello e Cinzia Tosetti.
Scopo: divulgare la conoscenza del vino e degli altri prodotti tipici agrolimentari e del territorio. Obiettivo raggiunto? A mio avviso solo in parte. Spiego: ferma restando l’abnegazione di otto ristoratori della zona che si sono prestati a far giudicare da alcuni colleghi due piatti ognuno (il cui “verdetto” doveva essere espresso obbligatoriamente utilizzando un solo aggettivo, ossia con una sinteticità che manco lo style giornalistico britannico adopera), ebbene, snocciolando giocoforza un rosario di banalità lessicali, i “sapori” erano perlopiù buoni, in qualche caso ottimi ma solamente con un volonteroso lavoro d’investigazione e di domande si poteva risalire alla provenienza e consistenza degli ingredienti. Chiarisco a mo’ d’esempio citando una delle ricette, quella del coniglio al Morellino. E’ un piatto che può cucinare anche mia zia che fa la dattilografa col coniglio comperato alla Coop, mentre, se come ipotizzabile nella ricetta degustata, l’animale era stato allevato dal contadino Mario Rossi nel suo podere, a terra e non in batteria costretto in minuscole stie, alimentato con erba, fieno e verdure avendo poi lui stesso (il contadino e non il coniglio) la possibilità di raccontare dove vivono lui e la sua famiglia (fungendo implicitamente da Virgilio del suo territorio illustrando con parole sue i plus e i minus = vero turismo cultural- gastronomico) spiegando la razza del coniglio, l’età dell’abbattimento, il peso ottimale per la macellazione, i tempi giusti di frollatura, ecc, ecco che la ricetta (peraltro, eccetto la tipologia di vino, non solo maremmana) avrebbe avuto tutt’altro spessore. O meglio, “sapore”.
Con schiettezza va detto che per contro i vini, in particolare il Morellino, hanno prevalso sui piatti da degustare. Fors’anche perché, al contrario delle materie prime utilizzate nei piatti e dell’abilità degli chef cucinieri, i vini sono stati presentati con professionalità ed enfasi (magari un tantino debordante) dai rispettivi produttori sempre presenti a pranzi e cene. Con loro si è potuto infatti disquisire a lungo sulla “locomotiva” di quest’area maremmana che è il Morellino, che consta di 17mila ettolitri (vendemmia 2007) toccando anche alcuni temi scottanti. Come la recente diatriba tra Consorzio di Tutela e il Consorzio Vignaioli Morellino di Scansano (152 soci conferitori, 1.800.000 bottiglie compreso il Bianco di Pitigliano, 7 milioni di euro di fatturato, significativa commercializzazione tramite insegne della Gdo), diatriba che non fa certamente bene all’immagine e alle politiche qualitative e commerciali, specie in questi ultimi anni in cui questo simpatico vino (a partire dal nome) sta riscuotendo apprezzamenti in Italia e all’estero. Chiacchierate pacate ma anche approfondimenti tesi a spiegare punti di vista, atteggiamenti e chiarimenti circa il posizionamento sul mercato; problema quest’ultimo non poco imbarazzante poiché risulta che le fasce di prezzo - pur essendo sempre Morellino Doc quando non Docg - hanno divari critici. Bottiglie esibite a 2,50/3 € ed altre sino a 40: scansioni che come minimo sconcertano il consumatore finale.
Della manifestazione che ha permesso a chi scrive di “assaggiare” solo in piccola parte le tante anime e le tante peculiarità del territorio, rimane il disappunto di aver intuito la scarsa determinazione allo sfruttamento delle enormi potenzialità che ha insite in termini di turismo enogastronomico che, mi piace ricordarlo, secondo i dati dell’European School of Management, questa branca genera oltre 14 miliardi di euro all’anno e il suo principale mercato è l’Europa che vale 3,8 miliardi con 4 milioni di turisti con una spesa media pari a 950 euro. Riguardo l’Italia, il suo sottostimato fatturato risulta essere di 1,2 miliardi di euro, con continue crescite esponenziali, generato da 1,26 milioni di turisti che spendono mediamente 950 euro. Regioni leader, Alto Adige e Trentino, Toscana (circoscritta prevalentemente nel Senese) e Piemonte. Credo sia superfluo ricordare il vero significato di turismo enogastronomico, considerato che non è per caso che a latere e ad importantissimo supporto sono sorte in tutta la Penisola le Strade del Vino e dei Sapori unitamente alla proliferazione degli agriturismi “aiutati”, spesso a dismisura, da generose leggi regionali e provinciali che in parecchi casi ne hanno snaturato la quintessenza. Altra componente di straordinaria importanza, l’afflato culturale. Certo, le zone che possiedono monumenti, chiese, musei, palazzi, castelli e bellezze naturali, oltre a strutture e infrastrutture adeguate, sono privilegiate, ossia più attraenti. Anche perché il novello gastronauta, sia solo sia con moglie e figli, vuole vedere, conoscere, sapere cosa mangia e beve, la provenienza e la natura delle materie prime, come vengono prodotte e trattate, spiegato e raccontato da chi coltiva, alleva e trasforma. Cose che il piatto, pur gustoso e ben fatto non dice. Inoltre, poiché non starà a tavola o in cantina 12 ore al giorno, vorrà sapere, conoscere e capire qualcosa del monumento, chiesa, palazzo, torrione o dell’edicola sacra scoperta in qualche sentiero che, coniugando il tutto, gli rimarrà impresso nella mente e, perché no, anche nel cuore. Quindi molto probabilmente ci tornerà e di certo ne parlerà a colleghi, amici e conoscenti con un tam tam che vale più di mille spot televisivi.
Sempre in occasione della rassegna, assieme ai colleghi un buon esempio l’abbiamo avuto visitando l’Azienda Regionale Agricola di Alberese, una impresa statale, ovviamente con i conti in rosso, ma che affidata recentemente ad un manager capace proveniente da imprese private, arriverà probabilmente entro l’anno al pareggio se non addirittura con utili. C’è il compendio della Maremma in questa azienda, c’è un parco naturale incontaminato e protetto che si estende su oltre 10mila ettari, c’è la natura selvaggia equilibrata da ecosistemi differenti, mare, pineta, suoli coltivati (biologicamente ça va sans dire) oliveti, e poi cavalli, capi di bestiame bradi governati dai mitici butteri. Su 300 ettari dedicati si coltiva grano, orzo, pomodoro da industria, ceci, girasoli, oltre ovviamente a foraggi vari, e poi alveari che danno un miele purissimo e profumato. Infine, altri 50 ettari di ordinati filari consacrati al Morellino di Scansano Doc e Docg supervisionato da quel guru dell’enologia, inventore dei Super Tuscans, che risponde al nome di Giacomo Tachis. Qui si che si è visto come si produce, qui si abbiamo toccato con mano il cibo allo stato naturale, qui si ci è stata fatta vedere passo passo la filiera produttiva facendoci rendere conto del prodotto finale e del contesto in cui è stato generato. Certo, non tutte le aziende e tutte le cantine hanno tale potenzialità, tuttavia tutte dovrebbero adoperarsi per far comprendere, in questo caso a noi della stampa affinché a nostra volta lo si divulghi correttamente, quali sono i sapori, i profumi e i colori della vera Maremma. Cose, come accennato, che un piatto pur squisito, non riesce a trasmettere.

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