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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Agroalimentare
Le Confraternite: tra vera passione e gioioso folklore
Mi considero mediamente un buongustaio, da anni
mi occupo di ciò che accade nell’universo di cibi e bevande,
delle loro origini, del mercato/i dove sfociano o dovrebbero sfociare,
nonché dei comportamenti di chi li acquista e dei canali che li
distribuiscono. A volte sono anche riuscito a sbirciare nelle cucine della
ristorazione pubblica di ogni ordine e grado per capire manipolazioni,
cotture e mise en place ed ho parlato con chi sta ai fornelli. Insomma,
qualcosa di questo mondo mi è noto. Tuttavia esistono fatti ed
eventi che ancora mi stupiscono.
Ad esempio mi stupisce l’elevato numero di Confraternite e Ordini
Cavallereschi dell’enogastronomia nazionale vivacemente attivi.
Ma ancora di più mi stupiscono i personaggi che li animano. Fermo
restando che aderirvi significa sicuramente essere persone mosse da autentica
passione oltre che buongustai, e che queste associazioni sostengono d’avere
quale missione l’enfatica promozione di un certo cibo o vino coinvolgendo
nuovi adepti per divulgarlo, mi intenerisce il fatto che serissimi avvocati,
nobili matrone, piastrellisti e manicure, giornalisti professionisti e
graziose titolari di boutique della modo piuttosto che bancari e pittrici
di nature morte, almeno una volta al mese si ingualdrappano con curiosi
(e un po’ carnevaleschi) mantelli, feluche e gorgere brandiscono
mestoli o arrugginiti spadoni e inneggiano alla trippa o sciorinano entusiasticamente
la digeribilità della bagna caûda. Passione quindi, di quella
rovente. Infatti, pare che in alcune loro serate gastronomiche a tema
non sempre si finisca con brindisi e abbracci fraterni. Può risultare
che il Venerabile Maestro o qualche Cavaliere abbia alterchi vibranti
con lo chef perché gli “gnocchi con la fioreta” (leggi:
ricotta morbida) che hanno, va da sé, la loro Confraternita, siano
stati utilizzate patate inadeguate comunque non quelle previste dal capitolato,
o che la bottiglia di prezioso Sassicaia sia stata (orrore) decantata
senza l’ausilio della candela.
Lo ammetto, pur sapendo dell’esistenza di simili riti, non ero a
conoscenza che esistesse una Federazione nazionale che li radunasse; si
chiama Federazione Italiana Confraternite Enogastronomiche (FICE), e manco
immaginavo che si riconoscessero in un Comitato Europeo (CEUCO).
Beata ignoranza. Ma volevo saperne di più cadendo però in
un profondo sconforto. La causa? Gli ordinamenti costitutivi. Neppure
la più pervicace burocrazia italica è capace di stilare
statuti così rigidi e involuti. Neppure una holding ha un organigramma
composito come una Confraternita enogastronomica o un Ordine Cavalleresco
di cibo e bevande. Oltre al Venerabile Maestro che normalmente la presiede,
la piramide organizzativa si dipana in un lungo percorso di titoli e ruoli
sino al tesoriere; la qual cosa suona leggermente esilarante se si pensa
che se tutto fila liscio, tra quote d’iscrizione ed eventuali mini
sponsorizzazioni locali, ci saranno al massimo movimenti annui di cassa
per poche centinaia di euro. In ogni caso a far buona guardia c’è
la figura del probiviro.
Tuttavia la cosa più curiosa, per non dire oltre, è che
in parecchi casi queste organizzazioni hanno il patrocinio (e forse qualche
incentivo) di Regioni, Province e Comuni con i loro diversi Assessorati.
Nulla di male, beninteso, significa che lungo le lunghissime filiere del
settore tutto va bene e che i miei stupori sono fuori luogo. Ingenuamente
pensavo che per promuove, tutelare ed illustrare i nostri tesori agroalimentare
a partire dalle 156 DOP e IGP (per tacere delle altrettanto numerose DOCG,
DOC e IGT dei vini) che l’Italia vanta, avanzassero e crescessero;
che Mipaaf, Buonitalia, ICE, Camere di Commercio, Consorzi di Tutela,
Coldiretti, Confagricoltura, Fedagri, Federvini, ed altri innumerevoli
organismi similari fossero sufficienti per ribadire coram populo che i
nostri vini, i nostri cibi e loro preparazioni culinarie sono inarrivabili.
Sempre ingenuamente pensavo che seduti a tavola davanti a un piatto di
baccalà alla vicentina si potesse tutt’alpiù disquisire
pacatamente sulla mantecazione e sul retrogusto dell’olio utilizzato
e che non occorresse un Venerabile Maestro che lo certificasse, pena l’esecrazione
e il pubblico ludibrio.
A mo’ d’informazione per chi, come me, ignorava il contesto,
voglio elencare alcune di queste Confraternite partendo dall’ultima
nata proprio in questi giorni di fine anno: la Patata di Bologna Dop,
Confraternita che verosimilmente dovrebbe affiancare il Consorzio di Tutela,
specie alla luce del fatto che il 2008 è stato proclamato dalla
Fao “l’anno della patata” e che nello stesso periodo
nel capoluogo felsineo si terrà l’incontro annuale appunto
della FICE.
Ma continuiamo. Le Confraternite, ormai quasi tutte titolari di un sito
web, spaziano dalle Alpi al Lilibeo, ed ecco quella della “castradina”
(castrato in umido), del “salame d’la turgia”, da non
confondersi col salam d’la duja, quella dei “culargiones”,
della “torta di patate”, della “norcina, del “cotechino
caldo” ma anche quella del “cotechino magro”. Quindi
del “peperoncino” del “bollito misto”, del “salame
di Varzi”, del “pesto”, della “faraona”
e quello della “gallina padovana”, e poi del “pesce
azzurro di Cetara”, dei “due meloni”, del “tortellino”,
del “risotto”, del “fritto misto alla piemontese”,
del “baccalà alla vicentina”, degli “amanti del
cetriolo”, delle “fave”, e ancora, delle “patate,
pipelli i’mpachiuse”, del “bisato di Speo”, del
“cacio pecorino piceno”, dell’”aceto balsamico
tradizionale di Reggio Emilia”, della “rana” e del “salame
d’oca”. Chissà quant’altre ancora me ne sfuggono.
In verità ci sarebbe da aggiungere gli Ordini Cavallereschi perlopiù
consacrati a Bacco come quello del “Sassicaia”, del “Recioto”
e del “Valpolicella” ma anche del “tartufo d’Alba”.
Il rammarico è quello non appartenere a cotanta élite.
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