PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]


Sommario

Agricoltura
L’Ente Risi non è nel calderone


Mercati
Vento in poppa per il nostro export agroalimentare


Zootecnia- Suini
Occhio alle cosce


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Agricoltura
L’Ente Risi non è nel calderone

Che pulizia vada fatta è sacrosanto. Se ne parla dalla notte dei tempi ed ora, con l’aria di populismo che tira, stracci e detersivi alla mano, si è deciso di accelerare lo scrostamento dei 120 (ma pare siano ben di più) Enti Inutili stimati da una apposita commissione, sovvenzionati ovviamente dallo Stato, ossia da noi tutti. Peccato però che pervasi dalla sindrome di Mary Poppins qualcuno, distrattamente o di proposito, ha deciso senza minimamente documentarsi che anche il più grande organismo risicolo italiano fa parte di quelle entità perlopiù parassitarie e quindi da spazzar via. Infatti, nel listone (leggi calderone) stilato nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre, ci è finito anche l'Ente Risi. Che, attenzione, non è pubblico e soprattutto non costa nulla allo Stato. Eppure.
«Un errore - si è affrettato a precisare il ministro De Castro. - Si attende che venga corretto ma ancora non è accaduto». Il titolare delle politiche agricole ha fatto sapere che l'Ente nazionale Risi non sarà cancellato. L’inserimento nel Ddl della Finanziaria rischia d’essere un goffo autogol. L'Ente, infatti, è tuttaltro che pubblico anche se si chiama Nazionale: è stato istituito con una legge del 1931 e si autofinanzia con i versamenti devoluti dagli industriali del settore (30 centesimi di euro per quintale) per l'acquisto del riso; ha un bilancio di 7 milioni di euro, dà lavoro a un centinaio di dipendenti e garantisce il monitoraggio del complesso mercato risicolo nazionale, la cui produzione è poco più della metà dell'intera Ue. Questo istituto, assicura il presidente Piero Garrione, non riceve un solo euro dallo Stato né direttamente né indirettamente, e davvero sfugge la ragione per cui dovrebbe essere chiuso. Ora l'Ente Risi attende di essere formalmente cancellato dalla lista nera. Per tutti gli enti compresi nell'elenco dovrebbe scattare infatti il cosiddetto meccanismo detto ‘del taglione’, con 180 giorni di tempo per portare a termine un programma di ristrutturazione, pena, appunto, la cancellazione. Ma anche in questo caso l'Ente Risi ha le carte in regola in quanto la riforma l’ha appena conclusa con l’approvazione del nuovo statuto e il rinnovo delle cariche. Garrione sta comunque con le orecchie dritte: «Abbiamo appurato che non c'era la volontà punitiva, ma non ci basta. Siamo preoccupati e dobbiamo fare in modo che la lista arrivi depennata in Parlamento». Nelle risaie non si parla d'altro.

Mercati
Vento in poppa per il nostro export agroalimentare

Complice soprattutto l’euro forte o se si preferisce la debolezza del dollaro, l’agosto scorso ha segnato i maggiori incrementi delle esportazioni italiane con i prodotti dell'agricoltura e della pesca (+20,9%) nonché da una vasta gamma di alimentari trasformati e dalle bevande (+7,3%). Inoltre, i dati complessivi dei primi otto mesi del 2007 evidenziano risultati felicemente positivi per le esportazioni in Russia (+27,2%), nei paesi Mercosur, ossia il mercato dell’America Latina (+25,6%), in Cina (+22,3%), nei Paesi dell’Opec, vale a dire quegli esportatori di petrolio (+18%). Andamento ancor più rilevante se inserito in un contesto internazionale che vede un sensibile rialzo dei prezzi agricoli e l'ulteriore indebolimento del dollaro rispetto all'euro. Malgrado questi dati pur incoraggianti, il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Paolo De Castro ha ammonito: “Occorre lavorare ancora meglio sostenendo, attraverso un rinnovato lavoro di squadra dell'intera filiera produttiva dell'agroalimentare e della pesca, l'internazionalizzazione delle aziende italiane perché solo attraverso passi concreti possiamo valorizzare le potenzialità del nostro straordinario patrimonio”. Un'ulteriore spinta a proseguire sulla strada intrapresa arriva anche dagli Stati Uniti; lo si evince osservando i dati diffusi dal Dipartimento del commercio secondo i quali, nonostante il continuo apprezzamento dell'euro sul dollaro, nel primo semestre 2007 l'export agroalimentare italiano verso gli Usa è aumentato del 5,2% rispetto allo stesso periodo del 2006.

Zootecnia- Suini
Occhio alle cosce

C’è qualcosa che non quadra in questa filiera dell’alimentare. Da un lato gli allevatori nazionali di suini dichiarano per voce del presidente della Sezione Suini di Confagricoltura Milano e Lodi che “c’è eccedenza di capi da macellare e le stesse aziende di macellazione non riescono a piazzare il prodotto alle aziende di trasformazione”. La Coldiretti, per contro, allarma sull’aumento delle importazione del 5% nelle cosce di maiale dall’estero (oltre 20 milioni di pezzi) per cui è necessario intensificare i controlli ed introdurre l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutta la carne di maiale per impedire di spacciare come made in Italy prodotti importati. Cosa che ha peraltro eseguito il Comando provinciale dei finanzieri di Napoli che ha portato al sequestro di centinaia di prosciutti con i marchi contraffatti “Parma” e “San Daniele”. Un fatto è certo, la mancanza di trasparenza favorisce l’arrivo in Italia di milioni di cosce di maiale destinate spesso a essere spacciate come prosciutti nazionali poiché non è chiaro l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli allevamenti. Negli scaffali dei supermercati si stima che ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che ciò sia chiaramente indicato in etichetta, e con l’uso d’indicazioni fuorvianti come “di montagna” o “nostrano” si ingannano i consumatori sulla reale origine causata, appunto, della non obbligatorietà per i salumi di indicare in etichetta l’origine come avviene invece per le carni bovine e avicole.
Per produrre prosciutto crudo in Italia sono inviate alla stagionatura 12,5 milioni di cosce provenienti da suini nazionali, mentre un numero ben superiore se ne importano dall’estero (19,6 milioni). L’aumento delle importazioni da altri Paesi europei che hanno raggiunto quote elevate sul mercato italiano, è causa di una pesante crisi di mercato del settore dove è a rischio il futuro dei 5.300 allevamenti nazionali, ai quali vengono riconosciuti prezzi al di sotto del costo di produzione.