CONSUMI BEVANDE
ACQUE MINERALI & SPOT: IL COCKTAIL PIÙ
BEVUTO DAGLI ITALIANI
L’acqua minerale è la bevanda più diffusa in Italia.
Lo dice un’indagine di GfK Eurisko commissionata da Mineracqua
(www.mineracqua.it), associazione dei produttori di acqua minerale,
che afferma che il 98% delle famiglie italiane acquista acqua minerale
più o meno regolarmente per un consumo annuo pro capite di circa
180 litri. Dato questo che ci pone quale Paese, non solo europeo, con
i consumi più elevati. Per contro, un’altra recente indagine
effettuata dall’istituto Cresme per Aqua Italia (www.aquaitalia.it)
racconta che 3mila famiglie bevono con frequenza acqua del rubinetto.
Tornando alle minerali, dette anche “oro blu”, sono prodotte,
o meglio imbottigliate con un volume di 6,7 miliardi di litri, da 177
imprese che generano ben 287 marchi per un valore di mercato che sfiora
gli 11 miliardi di euro. Al proposito è bene ricordare che i
marchi più venduti che costituiscono una sorta di Eldorado liquido,
sono di proprietà di multinazionali straniere: S.Pellegrino (gruppo
Nestlè), San Benedetto (gruppo Danone) e la Co.Ge.Di che da sole
coprono tre quarti del mercato nazionale. L’elvetica Nestlè
e la francese Danone sono rispettivamente al primo e secondo posto a
livello mondiale tra le imprese del settore. La prima possiede più
di 260 brand in tutto il mondo tra cui figurano Vittel, Perrier, San
Pellegrino, Levissima, Panna, San Bernardo, Pejo, Recoaro. Danone possiede
invece, tra le altre, Ferrarelle, San Benedetto, Guizza, Vitasnella,
Boario, Fonte Viva, ecc.
Precisazione: l’acqua minerale costa di media 26 centesimi al
litro, (beninteso se consumata tra le mura domestiche, perché
al bar o al ristorante ma anche al semplice chiosco il prezzo lievita
sino a 100 volte) mentre l’acqua del rubinetto costa 0,001 euro
al litro e in molte regioni manco viene pagata.
Siamo un popolo di disinformati o di scriteriati: in Sicilia si beve
acqua minerale che proviene dalla Bergamasca e a Bolzano quella di Rionero
in Vulture, trasportata da un via vai di camion che percorrono incessantemente
lo Stivale intasando strade e autostrade, inquinando l’aria con
tonnellate di gas di scarico e consumando un mare di carburante per
la felicità dei petrolieri. Per tacere delle enormi quantità
di plastica che sarà pure riciclabile ma è altrettanto
inquinante. Ulteriore dettaglio che alla luce della quotidianità
pare trascurabile, la fatica e il disagio di caricarsi sulle braccia
pesantissime confezioni dal supermarket a casa di queste acque benedette.
Anzi, acque sante. Non è un caso che la maggior parte delle nostre
minerali hanno nomi di Santi e Sante. Alleluia!
A partire dagli Anni Novanta le acque minerali da semplice commodity
sono diventate sofisticati prodotti di marketing assoggettate appunto
a questa legge e da una comunicazione pubblicitaria enfatica, emozionale
e bugiarda. Beviamo le minerali per dissetarci? Macché, la beviamo
per fare “plin plin”, per digerire in un attimo persino
una cofana di bagna càuda, per diventare più belli, per
dimagrire, per avere la pelle più liscia e luminosa, per arrestare
“gli inestetismi della cellulite”, in attesa dell’uccellino
che cinguetti sulla nostra spalla come succede a Del Piero. Molti poi
la bevono attratti da packaging d’alto design o originali, mica
per quello che contiene. La panciuta bottiglietta della Perrier è
ormai un must. E che dire di una bottiglia che è un caso di marketing
da studiare all’Università. Mi riferisco alla T’
Nant una spring water proveniente dal Galles (praticamente sotto casa)
che arriva in container da noi grazie all’intuito di Piero Biscaldi,
un intelligente ancorché scaltro importatore genovese di bevande
il quale, visto il grande successo dovuto all’originale bottiglia
in vetro (ed ora in Pet) di un brillantissimo blu cobalto, si è
comperato addirittura le fonti gallesi.
Ma allora le minerali sono più pure, naturali e genuine di quelle
del rubinetto come la pubblicità e i padroni dell’”oro
blu” lasciano intendere condizionando il consumatore? C’è
più o meno sodio o manganese? Ci sono più residuati? Che
caspita sono i residuati? Praticamente nessuno legge le etichette con
le composizioni firmate da illustri docenti batteriologi che, quando
va bene, sono referti di 5 o 10 anni addietro. E nel frattempo che succede?
Nessun problema, il business è talmente ricco che qualora in
alcune acque minerali ci fossero dosi eccessive di prodotti tossici
o dannosi per la salute, ci pensa qualche Ministro della Sanità
ad elevare per legge i dosaggi ammessi.
A tal riguardo occorre puntualizzare i seguenti aspetti. Essendo l’acqua
minerale considerata a suo tempo dal legislatore come terapeutica, per
anni è stato consentito a queste acque di contenere cinque volte
la quantità di arsenico e quaranta volte quella di manganese
ammesse nell’acqua di rubinetto. Sostanze che Fao e Oms hanno
sempre denunciato come pericolose per la salute per chi beve sistematicamente
la stessa acqua minerale senza controllo medico. Un’acqua troppo
ricca di arsenico e manganese può forse essere venduta in farmacia
ma non certo nei supermercati in sostituzione della tanto bistrattata
acqua dei rubinetti di casa nostra.
Nel 2003 una serie di inchieste di cui era titolare il procuratore di
Torino Raffaele Guariniello accertavano (come è accaduto alla
Guizza), contenuti di idrocarburi al benzene in quantità 10 volte
superiore alla media. Alcune fonti, come è successo alla Fiuggi,
vennero chiuse dopo la scoperta di sostanze nocive nelle bottiglie destinate
a sciogliere i calcoli renali. In questo clima di scandali l’ineffabile
ministro di allora, Sirchia, che non aveva ancora pensato di vietare
in ogni dove il piacere delle sigarette, per non disturbare questo mercato,
varò in piene festività natalizie del 2003, un decreto
che innalzava la soglia di tolleranza per molti degli inquinanti trovati
nelle griffatissime minerali (tra i quali tensioattivi, oli minerali,
antiparassitari, idrocarburi) facendo rientrare, come per magia, molte
industrie nella legalità. Semaforo verde quindi alle minerali
con eccesso di arsenico o manganese attutibili semmai con un trattamento
di ozonizzazione, ossia tramite l’uso di ozono. Procedimento che
potrebbe dar luogo a sostanze indesiderate, più pericolose di
quelle che si intende limitare: i bromati fortemente cancerogeni.
Le aziende imbottigliatrici dovevano presentare entro il 31 ottobre
2004 i certificati di analisi che attestassero la conformità
dell'acqua alla direttiva europea 2003/40 riguardo l'adeguamento ai
parametri per antimonio, arsenico e manganese. 115 però non hanno
inviato (uffa questi burocrati !) alcuna comunicazione mentre le 11
imprese lige al dispositivo hanno inviato le loro analisi che però
dimostrarono il superamento dei limiti massimi. Il Ministero ha quindi
sospeso l'autorizzazione a partire dal 1° gennaio 2005, con due
distinti decreti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 305 del 30 dicembre
2004.
Laconico il commento di Mineraqua, che riunisce l'80% delle marche in
commercio, che ha precisato trattarsi di prodotti che rappresentano
una piccolissima quota del mercato. Il provvedimento ha trasversalmente
toccato le fonti praticamente di tutte le regioni italiane. Per dovere
di cronaca ecco di seguito l'elenco dei marchi delle acque interessate
dai provvedimenti.
Per superamento dei limiti:
Diamante di Codrongianos (Ss), per arsenico;
Fonte Garbarino di Lurisia di Roccaforte Mondovì (Cn), per arsenico;
FonteAlta di Roncegno (Tn), per arsenico;
Giulia di Anguillara (Rm), per arsenico;
La Francesca di Rionero in Vulture (Pt), per arsenico;
Nevissima di Vinadio (Cn) per arsenico;
San Lorenzo di Bognanco (No), per manganese;
San Paolo di Roma, per manganese;
San Pietro di Roma, per manganese;
San Faustino di Massa Martana (Pg), per manganese;
Virginia di Prata Camportaccio (So), per arsenico.
Per non aver trasmesso le analisi:
Acqua della Grotta di Conversano (Ba);
Acqua del Limbara di Tempio Pausania (Ss);
Acqua Madonna delle Grazie - di San Vincenzo (Is);
Acqua Terziana di Terzo d'Aquileia (Ud);
Acquabaida (Pa);
Acquevive di Rocchetta al Volturno (Is);
Agabuna di Frisanco (Pd);
Albaviva di Valli del Pasubio (Vi);
Amica di Cerreto di Spoleto (Pg);
Antica Fonte di Barbarano di Barbarano (Vi);
Arvenis di Ovaro (Ud);
Ativa di Transacqua (Tn);
Augina di Scorzé (Ve);
Aurora di Castelletto d'Orba (Al);
Bagolino di Bagolino (Bs);
Benaglia di Lazise (Vc);
Bonora di Montefiora Conca (Rn);
Camorei di Borgo San Dalmazzo (Cn);
Canali di Carmiano (Le);
Canay di Murialdo (Sv);
Certosa Fonte Camarda di Polia (VV);
Certosa Fonte Serrine di Polia (VV);
Certosa Fonte Pietre Bianche di Polia (VV);
Ciappazzi di Castroreale (Me);
Cinciano di Poggibonsi (Si);
Cinzia di Pennabilli (Rn);
Cisano di Bardolino (Vr);
Col de' Venti di Muccia (Mc);
Corona di San Giuliano Terme (Pi);
Faito di Castellammare di Stabia (Na);
Fonte del Parco di Montefiorino (Mo);
Fonte della Virtù di Pontermoli (Ms);
Fonte Cerreto di Montecavallo (Mc);
Fonte della Buvera di Anzolo d'Ossola (Vb);
Fonte di Tito di Greve in Chianti (Fi);
Fonte Geu di Forni Avoltri (Ud);
Fonte Maddalena di Ardea (Rm);
Fontemura (Ar);
Fontenova di Fornovo di Taro (Pr);
Fonte Napoleone di Marciana (Li);
Fonti Feja di Castelletto d'Orba (Al);
Fucoli di Chianciano (Si);
Futura di Pianipoli (Cz);
Gajum di Canzo (Co);
Gallo di Montefortino (Ap);
Gemma di Monasterolo del Castello (Bg);
Generosa di San Miniato (Pi);
Giada di Salerno (Sa);
Giardinella di Fasano (Br);
Goccia Azzurra di San Gregorio d'Ippona (Vv);
Goccia Diamante di Cimadolmo (Tv);
Idrea di Tonadico (Tn);
La Vena d'Oro di Ponte nelle Alpi (Bl);
La Vittoria di Courmayeur (Ao);
L'Aqua (Ar);
Laurentina (Rm);
Lavagello di Castelletto d'Orba (Al);
Lentula di Cantagallo (Prato);
Leona di Montevarchi (Ar);
Levico Forte di Levico Terme (Tn);
Le Grazie di Salzano (Ve);
Lizzarda di Recoaro (Vi);
Lyde di Vitulazzo (Cs);
Madonna della Guardia di Ceranesi (Ge);
Madonna dell'Ambro di Montefortino (Ap);
Margherita della Sila di Spezzano (Cs);
Maxim's di Stia (Ar);
Mia di Scarperia (Fi);
Montechiaro di Conversano (Ba);
Monteferrante di Monteferrante (Ch);
Monticello di Loro Ciuffenna (Ar):
Montinverno di Medesano (Pr);
Oropa di Biella;
Paraviso di Lanzo d'Intelvi (Co);
Perna della Certosa di Polia (V V);
Piagge del Prete di Genga (An);
Pieve di Calci (Pi);
Pradicino Rio delle Ghiaie di Riolunate (Mo);
Preistorica di Amandola (Ap);
Preziosa di Stresa (No);
Primia di Transacqua (Tn);
Radiosa di Casteldeci (Pe);
Riviana di Varano di Melegari (Pr);
Rivivo di Pomarance (Pi);
Roana di Ussita (Mc);
Rocca Bianca di Novara di Sicilia (Me);
Rocca Galgana di Fornovo di Taro (Pr);
Rocche Valletti di Varese Ligure (Sp);
Sacromonte di Varallo (Vc);
San Donato di Napoli (Na);
San Felice di Pistoia;
San Germano di Vitulazzo (Ce);
San Leopoldo di Casciana Terme (Pi);
San Marco di Minturno (Lt)
San Marino di Sassofeltrio (Pe);
San Moderanno di Berceto (Pr);
San Nicodemo di Mammola (Rc);
San Pancrazio Trescore di Trescore Balneario (Bg);
Santa di Chianciano (Si);
Santhé di Mombaroccio (Pe);
Santo Raggio di Assisi (Pg);
Scheber di Macugnaga (Vb);
Serenissima di Cornuda (Tv);
Silvana di Galeata (Fo);
Smeralda di Monasterolo del Castello (Bg);
Sorgente degli Ontani di Arcidosso (Gr);
Sorgente San Michele di Casal Martino di Celano (Aq);
Tamerici di Montecatini Terme (Pt);
Valle d'Itria di Martina Franca (Ta);
Vallicelle di Montopoli Valdarno (Pi);
Valviva di San Giorgio in Bosco (Pd);
Varanina di Medesano (Pr);
Verde di Riardo (Ce);
Verna di Chiusi della Verna (Ar);
Vesuvio di Ercolano (Na).
Onde capire meglio il peso condizionante della pubblicità ecco
i risultati dell’indagine di Mineracqua cui si accennava. L’indagine
ha consentito di confermare le aree su cui si basa il sistema valoriale
percepito delle acque minerali nell’area gustativa e in quella
salutista.
Questi due elementi, dice la ricerca, emergono soprattutto nel confronto
con l’acqua del rubinetto.
Sul piano del gusto l’acqua minerale confezionata “ è
più gradevole dell’acqua del rubinetto che risulta più
pesante e con uno sgradevole gusto di cloro”. Sul piano salutistico
l’acqua minerale confezionata è superiore a quella del
rubinetto perché “ha un gusto migliore” (evidentemente
l’arsenico piace!), “contribuisce maggiormente al benessere
fisico” (il fisico delle pin up è un argomento indiscutibile)
, “è sicura e controllata” (vedi elenco sopra citato).
Praticamente spudorato, infine, l’item riguardante l’etichettatura.
L’etichetta - dicono i risultati dell’indagine - mantiene
il suo ruolo di strumento primario di comunicazione: è il “biglietto
da visita” dell’acqua minerale, un elemento chiave per comunicare
informazioni e aiutare la scelta. La composizione chimica è infatti
ritenuta l’informazione più importante da quasi il 50%
di coloro che leggono l’etichetta prima di scegliere il prodotto.
Suvvia, un po’ di onestà: alzi la mano chi ha letto almeno
una volta la composizione chimica dell’acqua minerale. E pur ammesso
che qualcuno sia riuscito a decrittarla, cosa ne ha dedotto?
Vi sarebbero altre considerazioni da fare attorno al grasso business
delle minerali di carattere politico e amministrativo (concessioni delle
fonti a prezzo simbolico, controlli super parte degli impianti d’estrazione
e d’imbottigliamento, ecc), prezzi al consumo, vessazioni di baristi
e ristoratori che neppure se piangi ti danno un bicchiere d’acqua
del Comune, e via lamentando.
Ma queste sono altre storie.
Per concludere ancora una curiosità calzante. Circa una decina
d’anni fa il Comune di Milano ha dato corso ad un progetto (poi
stoppato un po’ dai costi distributivi e pubblicitari, un po’
dal cambio della Giunta) per imbottigliare e vendere l’acqua comunale
ritenuta ottima sotto ogni profilo. Già pronto il logo “Acqua
Milano” per le etichette, pronta la descrizione della composizione
chimica (come ovvio, esattamente la stessa dell’acqua erogata
ai cittadini) e studiato il piano di marketing. Il concetto era: se
i milanesi vogliono a tutti i costi bere “la minerale” spendendo
fior di lirette che almeno i soldi rimangano in casa.