PERCORRENDO
LA FILIERA MERCATI
MIGLIORA L’EXPORT AGROALIMENTARE NAZIONALE Non siamo alle vacche grasse, ma qualche concreto segnale di miglioramento si è verificato. Mi riferisco al fatturato dell’intero comparto alimentare che ora vale 110 miliardi di euro, con una percentuale del 2,8%, parecchio maggiore del Pil di casa nostra. Dopo un quadriennio di stagnazione le esportazioni, fatta eccezione per la frutta fresca, sono cresciute del 10% . «Tuttavia - ammonisce Gian Domenico Auricchio, neo presidente di Federalimentare - occorrono maggiori sinergie tra produttori, industria e distribuzione. In poche parole bisogna fare squadra e puntare decisamente sull’estero perché da soli non si va da nessuna parte». Nella sua analisi Auricchio non nasconde un annoso e mai risolto problema, quello di una struttura industriale alimentare nazionale estremamente parcellizzata. Un dato esplicativo: sono 24.000 le imprese che hanno meno di 9 dipendenti, circa 7 mila quelle sopra. Il Governo qualcosa ha fatto introducendo benefici fiscali per chi si aggrega o per le aziende che si mettono in rete. Negli ultimi anni c’è stata una maggiore attenzione delle istituzioni, che unita all’attività di Confindustria, ha facilitato la crescita all’estero proprio perché presentati uniti. Inoltre, la conferma che i prodotti alimentari nazionali sono i migliori ed i più sicuri. A conferma, risulta che nel 2006 il settore ha investito in sicurezza e controllo 2,86 miliardi di euro, ovvero il 2% del fatturato. Ma è ancora troppo poco. Le idee non mancano e le imprese alimentari di successo spuntano un po’ ovunque, ma con il pur apprezzabile concetto di nicchia non si cresce. Concludendo, c’è da rimarcare che pesa ancora molto la mancanza di un colosso italiano della grande distribuzione. ZUCCHERO DA COMMODITIES A SPECIALITY Con la riforma Ocm varata lo scorso anno le aziende nazionali del settore saccarifero hanno subito una batosta atroce. Risultato? Importiamo oltre il 50% del fabbisogno interno. Consolatoriamente si potrebbe sostenere che non tutti i mali…con quel che segue. Infatti, qualcosa di positivo è successo; stante che il settore è stato costretto a giocare in difesa ha affinato strategie industriali e commerciali innalzando, in primis, gli standard qualitativi sviluppando poi prodotti specifici destinati all’industria alimentare, alla farmacopea e naturalmente al consumatore finale. Cioè a dire che se sino l’altrieri lo zucchero era vissuto come una banale commodities, oggi è da ritenersi una specialità. Basta osservare gli scaffali della gd per accorgersi del cambiamento dove si può scegliere, attirati anche da un packaging elefantino e funzionale - citando ad esempio esclusivamente i marchi di Italia Zuccheri Commerciale - tra ‘Zucchero Solubilissimo, ‘La via dello Zucchero, ‘Il Tuo Zucchero’, ‘Oro del Tropico’, ‘Purissimo’ e, dedicato al settore dolciario artigianale il brand ‘Le specialità Artigianali’ di Italia Zuccheri declinate in diverse varietà. Per capire però di quale contesto si tratta credo sia utile snocciolare qualche cifra cominciando dalla materia prima. In Italia la superficie coltivata a barbabietola da zucchero si estende su 90mila ettari, la resa per ettaro è di 60 tonnellate mentre i volumi lavorati sono stati nel 2006 mediamente 54 milioni di tonnellate. La trasformazione industriale, eseguita nei 6 stabilimenti attivi, è stata di 780mila tonnellate per un valore di un miliardo di euro. Ed ora i consumi: la totalità degli italiani ha consumato, sia direttamente sia indirettamente un milione e 56mila chili di zucchero; a persona, ossia pro capite, 5 chili di zucchero tal quale e 20 chili indirettamente, ossia quello immesso in dolci, bevande e preparazioni gastronomiche varie. Sotto il profilo della commercializzazione l’industria alimentare assorbe oltre l’80% del prodotto, i retailers il 15% e il restante dal canale Horeca.
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