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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Sommario
ACCORDO DI FILIERA
PER L’AUTENTICA PASSATA DI POMODORO
CONGETTURE ALCOLICHE
DAMIGIANE & CARAFFE…E I FIASCHI?
CRIMINALITA’ IN AGRICOLTURA
UN MISCONOSCIUTO SERVIZIO DELL’ARMA
A PROTEZIONE
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RISTORAZIONE
TAVOLI VUOTI (?) E LACRIME DEMAGOCICHE
I dati di un recente sondaggio della Federazione italiana pubblici esercizi
(Fipe) ripreso, tra l’altro, dal Corriere della Sera, lasciano sconcertati,
meglio, allibiti per le palesi mistificazioni emerse. Infatti, secondo
questo sondaggio parrebbe che il 75% dei “mangifici pubblici”
italiani perdono clienti. Più precisamente, il 41,7% degli intervistati
dell’universo della ristorazione, sostengono che nei primi quattro
mesi di quest’anno hanno registrato un saldo negativo; di più,
il 33,3% dichiara che il saldo è “molto” negativo mentre
soltanto il 16% ammette di servire più o meno lo stesso numero
di commensali dello stesso periodo dell’anno scorso. Ma gli alti
lai non finiscono qui: il 78% di patron e gestori tuonano sul rincaro
delle materie prime e con la mano sul cuore l’86% giura di non aver
ritoccato i prezzi. C’è persino un 5,4% che stoicamente assicura
anzi di averli diminuiti. Se tutto ciò fosse vero un paio di domande,
come si suol dire, sorgano spontanee: disaffezione di una parte dei 12
milioni fumatori castrati dal divieto? O forse pranzare e cenare fuori
costa troppo? «Macché - commenta Edi Sommaria, storico direttore
generale della Federazione - la colpa non è né dell’euro
né dei prezzi (e neppure del divieto della sigaretta post prandium?);
c’è crisi, è vero, ma è la gente che ha meno
voglia di divertirsi; si gioisce poco, c’è una perdita di
convivialità». A smentire la perdita di affluenza potrebbero
bastare i dati di sondaggisti diciamo più qualificati, come ad
esempio Nielsen che invece, dai suoi monitoraggi costanti sull’andamento
dei consumi, si ricava che 18 milioni di italiani giornalmente mangiano
fuori casa spendendo ben 57 miliardi di euro l’anno e che la tendenza
proiettata al 2007 sarà di una crescita del 15,8%. Se non si crede
ai dati, sarà sufficiente guardarsi attorno e vedere locali di
ogni ordine e grado comprese le ex economiche pizzerie, pieni di gente
gioiosa (il conto e l’inverno a porte chiuse per i fumatori arrivano
dopo). Tuttavia, ciò che fa più invelenire è l’improntitudine
del suddetto direttore generale che afferma testualmente che «Il
giro d’affari per addetto è in calo verticale e il titolare
di un esercizio guadagna poco più di un suo cameriere». Se
si va avanti con questo andazzo, prosegue previsionando cupamente Sommaria,
sarà ineluttabile il taglio delle spese senza sacrificare però
il personale, quindi molti potrebbero ridurre l’uso di prodotti
freschi sostituendoli con surgelati e piatti pronti. Sono senza parole.
Anzi, no, qualcuna mi è rimasta ed è frutto di una riflessione.
Non avremo qualche colpa anche noi della stampa cosiddetta specializzata
che in generale (non pagando il conto e spesso non guardando neppure i
prezzi sul menu dove frequentemente appare anche la voce fuorilegge del
coperto) tessiamo lodi sperticate e usiamo raffiche di aggettivi iperbolici
per raccontare un ristorante, una trattoria o un qualsivoglia luogo di
ristoro senza mai aver messo il naso in cucina dove lavorano cingalesi,
egiziani, turchi e giapponesi che beccano quattro soldi (sono in stage,
perbacco!); senza mai aver osservato come sono bravi a scongelare velocemente
un branzino d’allevamento propinato come appena catturato; senza
mai aver sbirciato la padellata di ratatuille della premiata multinazionale
spacciata come appena manipolata in cucina, piuttosto che una semplice
torta al limone made Bindi (o simil concorrente) dichiarata come creazione
dello chef pasticcere o preparata dalle mani sante di nonna Assuntina?
Vogliamo dire ancora qualcosa sui ricarichi dei vini, delle acque minerali
o del caffè finale che “addolcito” da tre zuccheri
diversi e una pralina costa dai 3 agli 8 euro e magari aggiungere qualcosina
riguardo a ricevute fiscali e scontrini che, quando ci sono, riportano
criptici termini quali: “cons1 - cons2 - bevande - tot €, oppure
sbrigativi sinteticissimi: “un pasto, totale €? Tout va bien...
colleghe e colleghi, continuiamo a fare come le famose tre scimmiette.
Altrimenti come salvare dalla bancarotta i “poveri” ristoratori?
CONGETTURE ALCOLICHE
DAMIGIANE & CARAFFE…E I FIASCHI?
Non si può negare che gran parte delle iniziative pensate
e varate dall’Associazione Nazionale Città del Vino siano
state positive. In un universo perennemente in fibrillazione come quello
enoico composto com’è da soggetti con personalità,
mentalità, culture, professionalità (e interessi) diversi,
è già straordinario registrare come questa associazione
riesca a compattare le spinte, le istanze e le filosofie delle 540 città
aderenti. Lascia tuttavia perplessi un’intervista, rilanciata da
Winenews, di Paolo Benvenuti, direttore della associazione, che partendo
dalla riflessione riguardante i prezzi del vino che, a suo avviso, sono
in discesa libera (presso quali canali?), che le bottiglie di marca vengono
svendute dagli outlet e anche dalle enoteche (graditi nomi e indirizzi
per fare incetta), sostiene che la formula giusta potrebbe essere quella
di rivalutare il vino sfuso per il consumo familiare, riprendendo l’antica
tradizione di “fare il pieno” mediante damigiane direttamente
dal produttore.
«Partiamo dalla premessa - spiega Benvenuti - che in Paesi come
la Francia si stanno inviando alla distillazione milioni di ettolitri
di vino invenduto, ci siamo quindi chiesti: non è meglio bere piuttosto
che distillare? Visto che in famiglia negli ultimi anni è diminuito
il consumo di vino in bottiglia (inesatto: leggere i dati di Iri information
resources), la nostra proposta è di rilanciare abitudini abbandonate
tempo fa, come quella di comprare la damigiana dal produttore di fiducia,
o di promuovere la caraffa di vino “della casa” al ristorante.
Ovviamente si parla di vino dal buon rapporto qualità/prezzo. Sono
strade che sono state rinnegate anche per una forma di snobismo, ma che
a nostro parere vanno rivalutate, anche se con un’ottica moderna».
Non è stato fatto cenno ai fiaschi - intesi come contenitori, beninteso
- anch’essi forse da rivalutare per l’innegabile fascino che
emanano e l’attrattiva che ancora riscuotono soprattutto tra i turisti
stranieri. Vero è che quest’ultimi sono sempre meno, vanno
in Croazia, Spagna, Grecia, Marocco o alle Maldive, ma questo è
un altro discorso.
CRIMINALITA’ IN AGRICOLTURA
UN MISCONOSCIUTO SERVIZIO DELL’ARMA A PROTEZIONE
Il ministro delle Politiche agricole e forestali ha sottolineato
più volte come il settore sia assolutamente sano, ma, proprio per
questo, è compito delle istituzioni preposte mantenere alta la
vigilanza al fine d’individuare e colpire ogni forma di illegalità
che possa turbare il regolare svolgersi delle attività. «Di
fatto - spiega proprio sul sito del Ministero Luigi Curatoli, comandante
Carabinieri Politiche agricole – che recenti studi hanno posto in
evidenza svariate manifestazioni di fenomeni deliquenziali». D’altronde
è noto che storicamente l'ambiente rurale è percepito dalla
criminalità come fonte di facile arricchimento. In Italia alcune
tra le massime espressioni della criminalità organizzata hanno
appunto avuto origine nelle campagne, in forma di protezione imposta,
anche a causa della grande distanza (non solo fisica), dalle istituzioni.
Successivamente, nonostante la reazione dello Stato sia diventata assai
più concreta, la criminalità ha mantenuto grande interesse
verso le attività agricole anche per appropriarsi illegalmente
delle risorse stanziate a sostegno del settore. Fenomeni delinquenziali
che vanno dal danneggiamento delle colture, al furto di macchine e attrezzi
agricoli e, per i macchinari più costosi, alla loro restituzione
dietro esborsi onerosi, che emergono tuttora da studi e osservazioni sul
campo. Vessazioni tese ad impedire il lavoro dell'imprenditore fino a
costringerlo a cedere l'azienda. In altre occasioni è lo stesso
imprenditore agricolo che, con metodi truffaldini fa apparire attività
inesistenti o gonfia artatamente quelle svolte, al fine di appropriarsi
illecitamente dei contributi erogati dallo Stato o dalla Unione Europea
per migliorare e preservare le produzioni.
Anche il Procuratore nazionale antimafia ha mostrato grande attenzione
a questi particolari problemi costituendo, nell'ambito dell'organismo
da lui diretto, un “Servizio criminalità in agricoltura”.
Lo stesso Procuratore ha indicato, tra le strategie di contrasto, la sensibilizzazione
dei cittadini e l'incremento della presenza delle forze dell'ordine in
aree rurali. L'Arma, proprio nella direzione indicata da Pierluigi Vigna,
negli ultimi tre anni ha impostato in queste aree nuove Stazioni e da
tempo ha istituito il comando Carabinieri Politiche Agricole (a nostro
avviso misconosciuto) che, attraverso le sue articolazioni periferiche
(Nuclei antifrode carabinieri - N.A.C.- con sede in Parma, per il nord
e centro, Salerno, per l’Italia meridionale) offre un supporto specializzato
a tutti i comandi dell'Arma sul territorio, interagendo con loro per dare
risposte pronte e concrete ad ogni illecito che incide negativamente nel
settore agricolo.
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