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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Sommario
PIRATERIA
I FALSI DEL NOSTRO ALIMENTARE VALGONO
50 MLD
PREVISIONI
STARBUCKS PER ORA E’ ALLA FINESTRA
MA LA “TAZZULELLA” E’ A RISCHIO
STATISTICHE
LOMBARDIA: MOTORE DELL’AGRO-ALIMENTARE
DELLA NAZIONE
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PIRATERIA
I FALSI DEL NOSTRO ALIMENTARE VALGONO 50 MLD
Le statistiche, si sa, vanno prese con le molle. Tuttavia quei “mastini”
dell’ufficio studi della Coldiretti, coadiuvati dalle imprese più
attente (e più penalizzate) e da alcuni consorzi di tutela quattro
conti li hanno fatti e il bilancio è a dir poco sconcertante. Sul
mercato globale per i nostri prodotti alimentari (bevande e vini compresi)
veniamo scippati di una cinquantina di miliardi di euro. Prodotti copiati,
mistificati, piratati: insomma taroccati. A volte in maniera, diciamo
così, raffinata, il più delle volte, grettamente. Taroccamenti
anzitutto nelle materie prime, quindi nei processi di trasformazione,
nel packaging, nelle etichette (con il tricolore a volte invertito), loghi,
lettering e “sound” che richiama termini italiani: Parmeson
e Parmesan, Proschiutto, Cambozola e via strologando. Ci sarebbe da sorridere
se non fosse che queste nequizie pesano per circa la metà dell’intero
fatturato del settore originale. Per rendere giustamente plateale e documentato
quanto emerso, a Napoli la Coldiretti ha “imbandito” per la
prima volta una tavolata dei falsi made in Italy con i casi più
eclatanti di pseudo cibi italiani scovati nei vari continenti. Negli Usa
si vendono salsa e conserva di pomodoro col marchio “Contadina“,
salsa trasformata in California; nel Wisconsin si fabbrica dell’inusitato
provolone mentre nel Minnesota si produce della falsa mozzarella. Negli
stores australiani facile trovare della salsa Bolognese nonché
mozzarella, ricotta, Parmesan “perfect italiano” con bandiera
tricolore in etichetta, prodotti rigorosamente nella terra dei canguri,
mentre in Cina l’industria locale offre pomodorini ciliegia “di
collina”, quindi l’ambitissimo Parmeson, (letteralmente così
scritto), della caciotta (Italian cheese) e del Pecorino sulla cui confezione
appare curiosamente una mucca anziché una pecora! Ma di tarocchi
se ne trovano facilmente anche nella cara Vecchia Europa dove sono state
scoperte produzioni tedesche di Aceto balsamico di Modena e di Amaretto
Venezia la cui bottiglia imita sfacciatamente quella del noto Amaretto
di Saronno, mentre in Spagna si imbottiglia olio di oliva Romulo: l’etichetta,
per chiarire, riporta la lupa capitolina che allatta “Romulo”
e Remo. E anche nei nuovi Paesi UE come l’Estonia si vende salsa
al “basilico Bolognese” di origine sconosciuta. Nella hit
parade delle contraffazioni, stante l’ampiezza e la ricettività
dei mercati, spiccano Usa e Australia. Negli Stati Uniti, solo il 2% dei
consumi locali di formaggio italiano sono soddisfatti da regolari importazioni,
per il resto si tratta di imitazioni e falsificazioni ottenute sul suolo
americano con latte statunitense e l’assenza del “sapere”
dei nostri casari. Assieme all’ormai “mitico” “Parmesan”
si trova un iperbolico “Cambozola”. Tuttavia, la tragedia
è che queste produzioni fasulle non sono riservate soltanto all’uso
interno ma vengono disinvoltamente esportate su nuovi mercati come la
Cina dove sugli scaffali dei supermercati di Pechino e di Osaka sono arrivate
prima le imitazioni dei prodotti originali con il rischio che si radichino
nei consumatori che sciaguratamente si abitueranno a quei sapori anziché
a quelli autentici. Ci sono altre chicche che meritano citazioni soprattutto
a danno dei due nostri formaggi più contraffatti: Parmigiano Reggiano
e Grana Padano. Ecco alcune delle declinazioni più fantasiose:
Parmesao in Brasile, Regianito in Argentina, Reggiano e Parmesano nell’intero
Sudamerica, Parmeson in Cina e Parmesan dagli Stati Uniti al Canada all'Australia
fino al Giappone, ma anche "Grana Pardano", "Grana Padana"
o "Grana Padona". Individuare gli autori e gli strumenti per
arrestare queste vergogne non è semplice; troppe le collusioni
tra produzione e canali distributivi, troppa e farraginosa la burocrazia
a tutti i livelli (dai dicasteri, ai controlli sanitari, alle dogane),
fattori che coadiuvano più o meno coscientemente scorrettezze e
manovre furbastre. E’ noto che altri settori del made in Italy soffrono
di piraterie. Ma nel caso dell’agroalimentare c’è una
non trascurabile differenza che lede indubbiamente economia, immagine
e creatività; ma se uno compra un paio di scarpe, un vestito, una
borsa, un orologio o un foulard taroccato rimane semplicemente una persona
imbrogliata, ma se uno mangia una schifezza non è solo una persona
imbrogliata ma una persona che potrebbe stare fisicamente male, magari
molto male. Ed è una differenza sostanziale.
PREVISIONI
STARBUCKS PER ORA E’ ALLA FINESTRA MA LA “TAZZULELLA”
E’ A RISCHIO
Voci e previsioni raccolte tra gli esperti del settore caffè smentirebbero
l’imminente invasione in Italia della catena di caffetterie in franchising
Starbucks, colosso statunitense fondato a Seattle nel 1971 alla cui presidenza
siede Howard Schultz che ebbe a dichiarare che il successo planetario
di questa holding è dovuta particolarmente all’ispirazione
avuta durante un suo viaggio in Italia per la nostra cultura e l’approccio
verso il caffè. Starbucks, vanta oltre 12mila coffeshop in 37 Paesi
nel mondo (in Europa: Francia, Germania Gran Bretagna, Irlanda, Spagna,
Svizzera, Austria). Si potrebbe credere che resistenze e perplessità
per uno sbarco nel nostro Paese siano dovute sia alla capillarità
dei bar esistenti (uno ogni 500 abitanti), sia all’atavico conservatorismo
nostrano nei confronti per l’espresso; fattori che in pratica renderebbero
difficile l’accettazione dei prodotti, del servizio e della filosofia
di Starbucks. In realtà non è così. Certo al bar
caffè più o meno corti piuttosto che semplicemente macchiati
o corretti con grappa, brandy o sambuca così come il cappuccino
continuiamo a consumarne ettolitri, ma robuste avvisaglie di un cambiamento
di tendenza sono sotto gli occhi di tutti. Starbucks stia pure alla larga
ma intanto sia le major del caffè di casa nostra sia intraprendenti
imprenditori privati hanno colto, o per meglio dire, copiato (almeno in
parte) la sua filosofia e la sua offerta, spesso migliorandola arricchendola
con innovazioni originali. Un esempio? I 350 affiliati delle caffetterie
Segafredo Zanetti sparsi nel mondo propongono oltre ovviamente al classico
espresso un superlativo quanto curioso “zambello” ossia caffè,
cacao, cioccolato in scaglie, zabaione e caramello per tacere dai vari
long drink shakerati come il cioco moka, meringotti e mocambotti graditissimi
prevalentemente dalle nuove generazioni soprattutto femminili. Anche Illy
ha da tempo creato una linea di locali monomarca (ceduti anche in franchising)
chiamati Espressamente, oltre un centinaio sparsi per il mondo, che propongono
ricette elaborate dall’Università del caffè di Trieste.
Continuando con i nomi nostrani, Lavazza dal 1999 ha varato nei cinque
continenti oltre 100 punti di vendita specializzati targati Caffè
Roma, così come Caffè Vergnano offre la possibilità
di affiliarsi con una proposta di locali di diverse dimensioni con un
layout lussuoso ancorché funzionale dove spiccano il legno e il
colore nero. L’offerta è ampia e articolata declinando il
caffè con svariate originali ricettazioni. Londra, Parigi, Berlino,
New York, Los Angeles e Tokyo le nuove imminenti aperture dei Mokarabia
Coffe Bar mentre in Italia sono in funzione a Milano, Bologna, Roma e
Cortina D'Ampezzo. Puro Gusto è il nome delle nuove caffetterie
varate dal Gruppo Autogrill dove il now-how per proporre qualità
e servizio non manca. Infine, anche il colosso elvetico Nestlé
sta potenziano le sue boutique Nespresso allocate soprattutto in Svizzera
ma con una recente lussuosa apertura a Milano. In questo elenco certamente
incompleto non è da dimenticare l’iniziativa di un imprenditore
privato da considerarsi un po’ il pioniere di queste nuove tendenze.
Si tratta di Lino Alberini, un cultore di Parma degli aromatici chicchi
che da un semplice bar torrefazione dal 1999 a oggi ha aperto col nome
di Lino’s Coffe 32 punti di vendita. Oltre alle qualità davvero
rimarchevoli delle sue miscele si può gustare un fumante ciocchino
o magari un energetico budinone.
La strada che supera la banalizzazione della tazzina di caffè e
degli ambienti dove consumarla è ormai aperta. Naturalmente si
può fare di più continuando a “copiare”, ma
anche a cassare ad esempio i bicchieri long size di cartone, l’impresa
leader di questo mercato: Starbucks. Saranno benvenuti iniziative ed eventi,
perché no, anche culturali (incontri letterari, mini concerti,
presentazioni discografiche,ecc); indispensabile la disponibilità
di quotidiani e riviste evitando quelle dedicate al gossip, nonché
la connessione senza fili ad internet; d’obbligo infine mantenere
la qualità delle materie prime e nei rapporti interpersonali la
nostra italianità.
STATISTICHE
LOMBARDIA: MOTORE DELL’AGRO-ALIMENTARE DELLA
NAZIONE
La notizia è di quelle difficili da contestare. I dati parlano
chiaro, sono autentici e conclamati. Dal punto di vista agro-alimentare
la Lombardia è, per l’Italia, la regione propulsiva del settore
nonché tra le più rilevanti nel contesto europeo. Infatti,
produce il 23% delle carni bovine, circa il 40% della carne suina, il
41% del riso nazionale e il 40% del latte. Tutto ciò emerge dalla
quarta edizione del "Rapporto sul sistema agro-alimentare" relativo
all'anno 2005, elaborato dall'Università Statale degli Studi di
Milano, dalla Smea di Cremona e dall'Università Cattolica del Sacro
Cuore di Piacenza. Facendo un’analisi sull’intero territorio
si evince quindi che la produzione agro-industriale lombarda supera il
15% del totale nazionale per un valore complessivo di 11 miliardi di euro,
cifra che rappresenta, tra l’altro, circa il 4% del PIL regionale.
La produzione agricola e le attività di trasformazione alimentare
sono svolte in 70mila strutture produttive coinvolgendo oltre 200.000
lavoratori, di cui 150mila stabilmente occupati, ovvero il 3,6% delle
forze di lavoro lombarde.
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