PERCORRENDO LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com ]


Sommario

ZOOTECNIA
MERCATO DA 37,5 MILIARDI PER LE BOVINE DA CARNE E DA LATTE


ORTOFRUTTA
IL SISTEMA DEL SETTORE CONTINUA A NON FUNZIONARE


VINI
SUI TRUCIOLI DI LEGNO VINCE BRUXELLES


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ZOOTECNIA
MERCATO DA 37,5 MILIARDI PER LE BOVINE DA CARNE E DA LATTE


14 novembre 2006. Promossi da Aia e Ismea e realizzati dall'Osservatorio Latte è stato presentato il “Rapporto sulla Zootecnia Bovina in Italia 2006” e contestualmente gli studi sul “Mercato del latte” e “Mercato della carne bovina”. Nel 2005 il giro d'affari dei due comparti - ai prezzi al consumo - ha superato i 37,5 miliardi di euro, per il 63% riconducibili alla filiera latte, che ha fatturato 23,5 miliardi, e per la parte restante (14 miliardi circa) al settore delle carni bovine. Il 2006 si sta caratterizzando, tanto per cambiare, come un anno problematico per i produttori di latte, mentre il settore delle carni mostra segni di ripresa. Le dinamiche più recenti evidenziano quest'anno una tendenza che si tradurrà in un forte inasprimento dei costi a carico degli allevatori. Gli allevamenti in Italia sono scesi l'anno scorso sotto le 50.000 unità, un numero quasi dimezzato in un decennio. Di pari passo è fortemente aumentata, soprattutto nelle aree di pianura, da cui proviene il 78% della produzione di latte, la concentrazione e la dimensione media aziendale, che corrisponde attualmente a una produzione commerciale di 227 tonnellate l'anno. Per la filiera carne, al contrario, i risultati degli ultimi dodici mesi evidenziano un esito positivo confermato da prezzi e consumi in aumento rispetto all'anno precedente. Un andamento che ha in parte alleviato anche i conti dei produttori di latte che con la vendita del bestiame ottengono un'importante integrazione di reddito. In merito ai problemi della rarefazione e dell'onerosità nell'approvvigionamento dei capi da ristallo, settore in cui l'Italia dipende quasi totalmente dall'estero. Il presidente dell'Aia ha sottolineato l'esigenza di avviare concretamente il “Progetto carne” promosso dall'Associazione Italiana Allevatori al fine di aumentare, soprattutto nelle regioni centro-meridionali, la produzione di carni bovine attraverso l'incremento delle vacche nutrici e dei vitelli da ristallo di matrice nazionale. “Nel 2005, spiegano all’Ismea, emerge dall'analisi della catena del valore nella filiera latte un dato di partenza, ai prezzi alla produzione, di 4,7 miliardi di euro che al consumo raggiunge l'imponente cifra di 23,5 miliardi, aumentando di quasi 5 volte. Cioè a dire che per ogni 100 euro pagati dal consumatore finale finiscono nelle tasche dell'allevatore solo 19 euro, 33 vanno all'industria di trasformazione e ben 48 alla distribuzione, inclusi gli importatori. Le cifre evidenziano, inoltre, che i margini della distribuzione hanno ormai superato la soglia dei 10 miliardi, facendo segnare un'ulteriore crescita rispetto al 2004 (+1%). Nella filiera carni da 3,9 miliardi come dato di partenza si raggiunge al consumo quota 14,1 miliardi, un valore che anche in questo caso aumenta dalla stalla alla tavola di quattro volte e mezza. Sul fronte della produzione dopo due anni segnati dai ribassi, il 2005 ha chiuso con un forte aumento nel settore del latte vaccino, per un ammontare complessivo di 10,9 milioni di tonnellate, in crescita del 3,1% su base annua. Un risultato che ha comportato un consistente esubero rispetto alla quota assegnata all'Italia dall'Ue. Riguardo alle carni bovine, al contrario, la dinamica produttiva rivela una generale flessione, attribuibile prevalentemente al segmento del vitellone.


ORTOFRUTTA
IL SISTEMA DEL SETTORE CONTINUA A NON FUNZIONARE


E’ persino odioso rammentare ancora una volta le carenze che affliggono il comparto ortofrutticolo nazionale; mali che un po’ tutti, dai politici agli operatori (Apo, Consorzi, ecc.) e anche noi della stampa evidenziamo senza che nulla o ben poco accada in termini di miglioramento. Spagna, Grecia, Portogallo e Francia rappresentano il 70% della produzione lorda vendibile dell'Ue. L'Italia copre il 23,2% del valore della produzione comunitaria di ortofrutta ed è il secondo produttore dell'Unione europea dopo la Spagna con il 25,7%. Ciononostante il settore segna un calo dei consumi interni sia nel fresco sia in nel trasformato, fatta eccezione per i prodotti di quarta gamma che, malgrado la loro distribuzione non sia per nulla omogenea sul territorio nazionale, ha una crescita costante a due cifre percentuali. Gli ortofrutticoli italiani continuano ad essere caratterizzati da una forte frammentazione produttiva e da un basso grado di aggregazione del prodotto, ma anche da elevata volatilità dei prezzi, difficoltà di adattamento della produzione alle esigenze del commercio (leggi pianificazione delle colture), scarso potere contrattuale della parte agricola soprattutto nei confronti alla moderna. distribuzione organizzata. Nel 2005 il peso dell'industria di trasformazione ortofrutticola è stato pari al 4,5% del fatturato agroalimentare nazionale. Dagli Stati generali è emersa anche la necessità di cercare nuovi mercati di sbocco per l'ortofrutta nazionale e che Buonitalia potrebbe trasformarsi nello strumento utile per raggiungere questo obiettivo.


VINI
SUI TRUCIOLI DI LEGNO VINCE BRUXELLES


Quante paginate, quanti convegni, quante parole si sono spese per vietare l’invecchiamento del vino con i trucioli di legno? Fiumi. Risultato? Il bicchiere resta mezzo pieno o mezzo vuoto secondo i punti di vista. Il Regolamento Ce 1507/2006, recentemente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, consente che oltre alle tradizionali botti in legno, per l'invecchiamento del vino potranno essere utilizzati anche trucioli di legno. Vero è che la nuova normativa riguarda i soli vini da tavola ed è vietata per i vini a denominazione d'origine (Doc, Docg e Vqprd), tuttavia va ricordato che i consumi dei cosiddetti vini da tavola non sono proprio minuscoli tant’è che la norma non è stata certamente applaudita da molti produttori italiani preoccupati di difendere la qualità delle produzioni nazionali. L'impiego dei trucioli di legno, “chips per gli esterofili”', comporta grandi vantaggi commerciali dei quali già beneficiavano i produttori di vino del Nuovo Mondo, in particolare Australia, Nuova Zelanda e Cile, che stanno progressivamente guadagnando notevoli quote sul mercato internazionale. Il regolamento sopra citato descrive nel dettaglio le modalità di impiego dei pezzi di legno di quercia nell'elaborazione dei vini e la designazione e presentazione dei vini così trattati. Eccole: i trucioli utilizzabili per l'invecchiamento devono essere lasciati allo stato naturale oppure riscaldati in modo definito leggero, medio o forte, ma non devono aver subito combustione neanche in superficie e non devono essere carbonacei né friabili al tatto. Non devono aver subito trattamenti chimici, enzimatici o fisici diversi dal riscaldamento e non devono essere addizionati con prodotti aromatizzanti. Per quanto concerne l'etichetta, deve indicare l'origine della specie botanica di quercia e l'intensità dell'eventuale riscaldamento, le condizioni di conservazione e le prescrizioni di sicurezza. Il regolamento dettaglia anche la dimensione delle particelle di legno (tali che almeno il 95% in peso sia trattenuto da un setaccio con maglie da 2 millimetri) e la purezza. Per la designazione di un vino fermentato, maturato o invecchiato in un contenitore in legno di quercia il regolamento indica le sole diciture che possono essere utilizzate: “fermentato in barrique”, “fermentato in botte di quercia”, “fermentato in botte”. Queste stesse definizioni si applicano anche per la dicitura “maturato” e “invecchiato”. Ergo, mettiamoci gli occhiali, muniamoci di lenti d’ingrandimento e leggiamo le etichette. Prosit.