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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Sommario
CONSUMI E AGRICOLTURA DAL FORUM COLDIRETTI
GIORNALI E TV SONO I RESPONSABILI DELL’INFORMAZIONE
SUI CIBI
CONSUMI
HAPPY HOUR DI PESCE CRUDO (MA NON SOLO)
A RISCHIO
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CONSUMI
E AGRICOLTURA DAL FORUM COLDIRETTI
GIORNALI E TV SONO I RESPONSABILI DELL’INFORMAZIONE
SUI CIBI
23 ottobre 2006. Cui aggiungere la lenta ma costante salita
di un altro importante media anche se ancora poco diffuso per questo scopo:
Internet. Questo e molto altro è stato detto e mostrato durante
l’annuale forum della Coldiretti conclusosi pochi giorni fa a Villa
d’Este di Cernobbio (Co). Forum che ha visto la partecipazione dei
maggiori protagonisti del settore agroalimentare e della distribuzione
nazionale oltre ad importanti economisti internazionali che hanno analizzato
l’impatto dei due Paesi più forti competitor dell’Occidente,
Cina ed India, e di ben tre ministri del Mipaaf, precisamente due ex (Pecoraro
Scanio e Alemanno) e l’attuale Paolo De Castro. Interessante infine
l’intervento del Commissario Europeo per l’agricoltura e lo
sviluppo Mariann Fischer-Boel che ha tracciato il futuro del settore,
così come quello altrettanto partecipato della vicepresidente e
assessore all’agricoltura della Regione Lombardia, Viviana Beccalossi,
(associata Asa) che ha rammentato il ruolo delle istituzioni riguardo
al patto di filiera ponendo l’accento, ovviamente, su quanto appunto
fatto dalla sua Regione.
Sunteggio qui gli argomenti salienti cercando di andare per ordine poiché
di carne al fuoco in questa sesta edizione del Forum ne è stata
messa parecchia. Inizio con i risultati dell’indagine curata dall’Ispo
di Renato Mannheimer sulle opinioni degli italiani sull’alimentazione.
Un secco plebiscitario no alle manipolazioni genetiche nel piatto, quindi
ogm al bando o comunque decisamente rifiutati. Circa le abitudini dei
consumi alimentari il 77% dichiara di acquistare regolarmente, o talvolta,
prodotti Dop; il 71% compera cibi biologici, il 60% alimenti garantiti
ogm free, il 44% prodotti del commercio equo e solidale ed infine il 41%
prodotti arricchiti con nutrienti. Sarebbe interessante sapere quanti
individui del 77% della popolazione adulta conosca il vero significato
di Dop e ciò che questo sigillo comporta nel processo produttivo,
e quanti del 71% sappia definire il concetto di biologico. Ma, come si
suol dire, questo è un altro discorso. Un fatto è comunque
assodato: c’è una diffusa preoccupazione che sfocia in alcuni
casi in paura di cosa si mette nel piatto. Una sorta di tranquillizzazione
psicologica è data dai prodotti made in Italy, infatti, ben l’88%
degli italiani preferisce “consumare italiano”, addirittura
circa il 50% è disponibile a pagare di più per assicurarsi
dell’origine nazionale. Ed a proposito di soldi, ecco il valore
complessivo dei nostri consumi alimentari: 125 miliardi di euro pari a
circa 456 euro il mese per famiglia stimando che questa spesa è
la seconda voce dopo di quella per l’abitazione. Mangiare italiano
si è detto, ma com’è costituito il patrimonio agroalimentare
del made in Italy? L’ultimo censimento dei prodotti tradizionali
comprende 4.255 specialità di cui 1.252 paste e prodotti da forno,
circa 1.200 di verdure fresche e trasformate, 716 tra carni fresche compresi
i salumi, 456 formaggi, 146 bevande. I prodotti Dop e Igp sono 155 e 481
i vini tra Doc, Docg e Igt ossia il 60% della produzione vinicola nazionale.
Come accennato già dal titolo, sono la tv e i giornali ad avere
la responsabilità maggiore nella divulgazione delle informazioni
sugli alimenti in vendita, lo dice il 53% della popolazione mentre il
28% afferma d’informarsi tramite gli articoli sui giornali, il 23%
lo ricava dalle pubblicità, quindi dalle riviste specializzate,
dalla radio e da Internet.
Estrema attenzione il mondo agricolo nazionale ha riservato all’intervento
del commissario Ue all’agricoltura. Tracciando lo scenario prossimo
venturo del comparto, Mariann Fischer-Boel ha in sostanza anticipato che
la politica agricola comunitaria dei prossimi anni sarà segnata
da una robusta semplificazione delle procedure e degli interventi. Ci
sarà un sistema di pagamento unico per le aziende agricole (Pua)
con l’eliminazione di tutti i regimi differenziati. Il futuro del
settore non potrà inoltre prescindere dalla riunificazione di tutte
le 21 organizzazioni comuni che andranno a convogliarsi in un unico alveo
di regole condivise. Insomma, nel 2013 dovrebbe (il condizionale pessimistico
e di chi scrive) esistere una sola organizzazione comune di mercato valida
per tutte le produzioni. Su questo tema di politica agricola comune per
tutti i Paesi della Ue il presidente di Coldiretti Paolo Bedoni non solo
è più che d’accordo ma auspica la felice riuscita
della riforma enunciata. Riconosce che esistono forti spinte corporative
ed assistenziali che ne frenano il varo, ciò non toglie che la
Confederazione che presiede si batterà affinché arrivi al
giusto compimento.
CONSUMI
HAPPY HOUR DI PESCE CRUDO (MA NON SOLO) A RISCHIO
23 ottobre 2006. Era preventivabile ma alle mode non si sfugge.
E’ allarme per il pesce crudo sottoforma soprattutto di sushi e
sashimi offerti con l’aperitivo da operatori non precisamente esperti
nel maneggiare dell’ittico crudo rispetto ai cuochi degli autentici
ristoranti giapponesi. Il problema, che non riguarda in ogni caso solo
il pesce, l’hanno sollevato i Nas di Milano, città che ha
imposto in pratica la moda dell’happy hour, e che ora assiste ad
un autentico boom del pesce crudo anche nella ristorazione tradizionale
nostrana, per tacere di quella etnica. Il fenomeno però ha anche
degli aspetti poco noti che il nucleo antisofisticazione evidenzia preoccupatamente
con le sue indagini. Ad esempio, il fatto che la maggioranza dei ristoranti
segnalati come giapponesi siano in realtà cinesi, e che l’aumento
del consumo di prodotti ittici crudi sia spesso causa di problemi di infezioni
cutanee e gastrointestinali. Il fenomeno non è nuovo ed è
purtroppo costante, segnalato dai periodici controlli dei Nas nel settore
della ristorazione etnica che hanno portato alla denuncia di molti titolari
di locali per violazioni alle norme igienico-sanitarie. Succede che parecchi
esercizi, come dire, “disinvolti”, si sono aggiunti a quelli
seri, gestiti pericolosamente da personale senza nessuna esperienza specifica
nella trattazione e somministrazione di questo tipo di alimenti. Per capire
la delicatezza del comparto, in Giappone per proporre queste vivande gli
chef devono superare severi esami per l’ottenimento di un apposito
patentino. I cinesi non si sognano neppure simile prassi ma sono stati
i più lesti a cavalcare la moda del sushi soltanto cambiando insegna
dei locali. La ragione di tali “magiche” trasformazioni si
evince facendo due conti: wan ton e gamberi fritti sono venduti al massimo
a cinque euro, un piatto di pesce crudo, specie se contestualizzato in
un ambiente elegantino, anche 50 euro. In ogni caso che il problema sia
serio lo dice a chiare lettere l’Ordine dei tecnologi alimentari;
basti pensare che la catena del freddo imporrebbe al ristoratore di tenere
note di carico e scarico del materiale, della lavorazione e della conservazione
dei prodotti ittici. Ma quanti, ci si chiede, tra gli oltre 10mila ristoranti
di Milano e provincia sono quelli che hanno un simile requisito? L’Asl
fa chiudere annualmente circa una settantina di locali. Ma il fatto che
il loro numero, nonostante le continue serrate, rimanga costante la dice
lunga sulle strategie commerciali di questo settore: molti ristoranti,
infatti, si adeguano velocemente e riaprono, ma dopo poco - dicono gli
esperti - rimane immutata la discutibile qualità delle materie
prime così come la loro freschezza e la scarsa igiene che dovrebbero
essere garantite. Nel settore del cibo più alla moda, che va dal
sushi agli stuzzichini serviti in vassoi comuni, è dunque allarme,
vuoi per piccole negligenze vuoi per grande colpevole superficialità.
Si pensi infine anche ai tanti pub e bar che si sono improvvisati locali
consacrati all’happy hour rifilando agli ignari clienti alimenti
che, spesso, “sono fuori dal frigo da molte ore, o provengono -
affermano i Nas - dalle rimanenze di altri ristoranti”.
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