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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Sommario
MIELE
DOLCE MA SENZ’ANIMA (NE’
IMMAGINE)
ITTICI
PER IL CAVIALE C’E’ ANCORA
LUNGA VITA
CONSORZI
COSTITUITO QUELLO DEI PRODUTTORI LATTE
D’ASINA
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MIELE
DOLCE MA SENZ’ANIMA (NE’ IMMAGINE)
11 settembre 2006. La produzione di mieli stimata dall’Osservatorio
nazionale nel 2005 è stata di 13mila tonnellate, la raccolta del
2006 invece, sta andando maluccio specie per alcune varietà come
l’eucalipto (-70%) e quello di castagno (-50%) mentre è stata
un’annata ottima per il miele primaverile di acacia che, per fortuna,
risulta essere il preferito dagli italiani. Questi dati arrivano da Montalcino
sede dell’annuale “Settimana del Miele”, la più
antica rassegna del settore. Mercato in affanno quindi, complicato inoltre
da importazioni (circa 10mila tonnellate) a prezzi stracciati e di qualità
non sempre buone, sicuramente non di alta qualità come la produzione
di casa nostra. Per avere comunque una fotografia sufficientemente nitida
del settore l’Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani
ha tracciato, mediante un’apposita ricerca, l’identikit del
consumatore italiano di miele cogliendone le modalità di consumo,
la conoscenza delle marche, i comportamenti di fruizione e i luoghi d’acquisto.
Oggettivamente sull’immagine, la cultura e il vissuto di questo
alimento gli operatori del settore avrebbero parecchio da fare in proposito.
All’atto d’acquisto la marca passa in sottordine, pochi o
nessuno conoscono il processo di trasformazione. E’ buono, fa bene,
è dolce ma pochissimi sanno distinguere le varietà dei fiori
dai quali proviene. Stante l’enorme frammentazione dei produttori
(50mila, oltre un milione di alveari e 55miliardi di api) non c’è
una appropriata comunicazione informativa; il tutto - anzi il poco - è
lasciato a semplici foglietti inseriti o incollati sulla confezione. Insomma,
il miele pur percepito come naturale e salubre non ha, presso la massa
degli italiani, un “anima” propria né un’immagine
pregnante. Nulla o ben poco si è fatto e si fa per coinvolgere
i non consumatori e quelli occasionali che sono la maggior parte. Infatti,
in termini di volumi siamo il fanalino di coda della Ue consumandone pro
capite soltanto 400 grammi annui.
Proseguendo la disamina dell’indagine, risulta che il miele preferito
tra le molte varietà disponibili è quello di acacia; in
termini di modalità di consumo l’uso prioritario è
quello di dolcificante: si mette nel latte per la prima colazione, nel
caffè, tè e tisane. Vi è comunque un 26% di individui
che lo spalmano sul pane, e un 15% che lo mangia a cucchiaiate direttamente
dal vasetto, mentre il 5% lo utilizzano come ingrediente di torte, crostate
e dolci vari e qualcun altro lo sposa con yogurt e formaggi. Si sceglie
preferibilmente quello liquido (quello solido è però molto
amato dai bambini) e lo si acquista perlopiù al supermercato, ma
senza leggere l’etichetta. Il dato più sintomatico che emerge
è che a livello nazionale i consumatori occasionali sono assai
di più di quelli regolari. In termini di preferenze il primato,
come detto, spetta a quello d’acacia (37%), seguito dal millefiori
(29%) e dal castagno (10%); discreto risultato anche per quello di girasole.
Assai meno diffusi gli agrumati, il tiglio, la melata, l’eucalipto
e altre varietà tutte oscillanti tra l’uno e il 3% delle
preferenze. Le marche non rivestono assolutamente un ruolo importante;
meno di un terzo degli intervistati ricorda stentatamente almeno una marca
di miele. Circa i formati, il vasetto da 500 gr è la confezione
più richiesta, seguito da quello da 250 grammi e dalla confezione
famiglia da 1 kg . Si compera prevalentemente presso le grandi superfici
(iper e supermarket), anche se consistenti sono gli acquisti effettuati
direttamente dagli apicoltori. C’è anche chi si rivolge alla
drogheria sottocasa e chi lo acquista in erboristeria o sui vari mercatini
rionali e paesani oppure nei negozi di prodotti equo-solidali. Nella scelta
del canale di vendita, i consumatori ammettono che, se da una parte ci
si indirizza presso l’apicoltore per il rapporto più stretto
con il prodotto, d’altra parte sembra che ci si senta più
rassicurati sotto l’aspetto igienico-sanitario su quello proposto
dalla grande azienda. I fattori decisionali d’acquisto sono anzitutto
la varietà del fiore di provenienza, quindi l’aspetto ed
in particolare il colore. Incidono inoltre il formato, ossia il peso,
la data di scadenza, la marca, il Paese di provenienza, il prezzo e l’origine
biologica. Va tuttavia evidenziato che ben il 25% del campione non ha
saputo indicare alcun fattore decisivo d’acquisto, facendo quindi
pensare ad un acquisto banale o abitudinario. Circa la percezione del
prodotto, la maggioranza del campione ritiene che il miele in commercio
non sia sempre del tutto naturale e che subisca, talvolta, dei processi
industriali. Indagando più in profondità si scopre che i
consumatori intuiscono che il miele possa subire manipolazioni industriali,
però solo il 20% conosce il riscaldamento fino a 80°, ossia
il principale processo industriale cui può essere sottoposto il
miele. Quindi, molti hanno idee vaghe su quali possano essere questi processi:
più che di una conoscenza si tratta di sensazioni generiche. Circa
il 20 % degli intervistati affermano di trovare sul mercato mieli di diversa
qualità, ma non sanno poi indicare alcuna caratteristica distintiva
per un miele di alta qualità. Infine il vissuto del miele; in genere
i consumatori gli attribuiscono molti pregi: proprietà terapeutiche,
buon sapore, effetti positivi sulla salute, prodotto naturale, ecc. Gli
unici fattori negativi percepiti di un qualche significato sono: le troppe
calorie e il costo elevato.
ITTICI
PER IL CAVIALE C’E’ ANCORA LUNGA VITA
11 settembre 2006. Nonostante il provocatorio titolo del convegno organizzato
a Calvisano (Bs), sede di Agroittica, “Caviale: fino a quando?”
buone speranze per le prelibate uova di storione ve ne sono ancora parecchie.
Di certo il convegno promosso da questa italianissima azienda che ha avuto
il pregio di focalizzare le proprie risorse allevando una particolare
specie di storione bianco, specificamente lo “Acipenser Transmontanus”,
ma soprattutto di proporre al palato dei gourmet più raffinati
l’unico caviale made in Italy che assolutamente nulla ha da invidiare,
nelle sue declinazioni Calvisius raffrontabile e persino vincente ai migliori
Caviar Molosso le Calvisius Elite, caratterizzato da grani dalle dimensioni
molto grandi superiori ai tre millimetri. Ebbene questo convegno ha avuto
il pregio di evidenziare di togliere il coperchio all’enorme pentolone
della produzione e diffusione di caviale “taroccato” in atto
da troppi anni. Tale problematica è ben nota agli operatori, allevatori,
trasformatori e commercianti seri, ma assai meno nota ai consumatori che
comprano a prezzi evidentemente più convenienti i vari sostitutivi
- peraltro sempre più sofisticati nelle loro preparazioni e confezioni
- delle palline di pasta pressata di pesce piuttosto che uova che non
provengono certamente dagli storioni. Ada approfittarne inoltre (inutile
nascondersi dietro al dito) molti ristorati e operatori del catering che
smerciano del caviale falso come autentico. A rimarcare queste illegalità
ed a tracciare un quadro esaustivo del comparto con dati e statistiche,
un autentico riconosciuto guru del settore, Armen Petrossian, che ha parlato
inoltre della scarsa protezione delle leggi in proposito. Va però
detto che finalmente il 9 luglio scorso, da Bruxelles è stata emanata
una nuova normativa europea che prevede una etichettatura più dettagliata
nella quale deve essere riportato l’anno e il Paese di produzione,
la specie di origine nonché lo stabilimento di lavorazione nel
quale il caviale è stato confezionato. Poiché in alcune
aree vocate, Russia e Iran in particolare, vi sono state per anni catture
incontrollate depauperandone la specie, giusta la preoccupazione sia dei
gourmet sia ovviamente dei produttori sulla sparizione dai mercati di
questa eccellenza gastronomica. Non sarà così, poiché
gli allevamenti sono in crescita un po’ ovunque, sia in Europa sia
altrove. Nel Dubai, per esempio, dove le risorse economiche non mancano
sono stati impiantati alcuni allevamenti straordinari. Le stime riguardo
alla disponibilità di caviale legale sui mercati mondiali, grazie
anche allo sviluppo degli allevamenti, è di 650 tonnellate quest’anno
e nel 2008 di 800 mila tonnellate. Quanto all’illegale, stime prudenziali
indicano una disponibilità tre volte superiore. Dalle nostre parti
è la prima volta che viene organizzato un convegno riguardante
questo prodotto e le problematiche connesse. Convegno moderato dal collega
Asa Riccardo Lagorio, che ha avuto una partecipazione di stampa e pubblico
più che notevole. Presenti, e davvero interessate le autorità,
a partire da Viviana Beccalossi, vicepresidente e assessore all’agricoltura
della Regione Lombardia che da bresciana Doc ha voluto porre l’accento
sul fatto che nella sua terra, dove già esistono giacimenti agroalimentari
di notevole spessore e valore, sia sede di un’azienda produttrice
di un’eccelleza alimentare qual è il caviale. Va detto che,
col piglio che la distingue ha auspicato un’incontro sinergico tra
le ormai famosissime “bollicine” franciacortine e il caviale.
«Nessun medico e neppure nessun buongustaio - ha chiosato - ha ordinato
che il matrimonio col caviale si debba fare necessariamente con lo Champagne.
Molti dei nostri Franciacorta lo “sposerebbero” altrettanto
bene, se non meglio». Invito che Enzo Maiolini, presidente del consorzio
per la tutela di questo vino (pare) abbia raccolto. Appropriata quindi
la sede, in realtà un piccolo centro dell’entroterra bresciano
sede appunto di Agroittica ovvero l’unica azienda italiana produttrice
di un ottimo caviale. L’Agroittica Lombarda nasce nel 1978 per allevare
e commercializzare l'anguilla sfruttando il calore refluo proveniente
da una vicina acciaieria. All'inizio degli anni '80, iniziano dei problemi
nella reperibilità del novellame, suddiviso rispettivamente in
"ceche" (i piccoli fino a 5 grammi) e "ràgani"
(da 5 a 30 grammi). Spinta da quest'esigenza l'azienda intraprende studi
e ricerche per individuare specie alternative all'anguilla che si potessero
allevare nello stesso ambiente. Le ricerche culminarono nell'accordo con
l'Università di Davis per l'importazione di larve di White Sturgeon,
un pesce dalle carni bianchissime che può vivere per decenni, raggiungendo
anche i 200-300 chili. L'arrivo di questo pesce segnò l'inizio
di una stagione di prosperità, culminata con l'apertura di uno
stabilimento di trasformazione e affumicatura delle carni, che di lì
a breve iniziò la lavorazione anche di altri pesci, forniti da
allevamenti selezionatissimi. Grazie alla ricerca e ad un'attenta selezione
genetica, Agroittica ha sviluppato una tecnica di riproduzione dei propri
storioni. Quando nel 1998 è entrato in vigore il trattato internazionale
CITES, che limita la pesca e il commercio dello storione, questa tecnica
si è trasformata in un ottimo vantaggio competitivo. In pari tempo
la produzione dell'anguilla è diventata attività complementare,
fino a cessare, complice anche una crisi del mercato specifico. Ma l’azienda
era pronta, dopo le opportune sperimentazioni, a commercializzare il persico
spigola, stabilendo un altro primato italiano. Questo pesce dalle carni
delicate ha avuto un successo immediato presso il pubblico e la produzione
è cresciuta fino alle 200 tonnellate annue attuali, che ne fanno
il leader italiano. Dal 1992 ha iniziato a produrre e commercializzare,
unicamente dai propri storioni, il caviale Calvisius estratto solo al
momento del consumo e preparato con una tecnica che ne mantiene intatto
il personalissimo gusto. Da una produzione iniziale di circa un quintale
si è arrivati alle attuali 17 tonnellate registrate nel 2005. Capitanata
da Sandro Cancellieri, un manager a tutto tondo, grintoso e determinato,
la società vanta un fatturato di 22 milioni di euro di cui 9 ricavati
dalla commercializzazione del caviale.
Sua eccellenza il Caviale
Il caviale è un alimento costituito dalle uova salate dello storione,
un pesce lungo fino a 4 metri, con corpo slanciato, muso munito di rostro
e di quattro barbigli tattili; è presente anche nel Mediterraneo,
lungo le coste; in primavera e in estate risale i fiumi per deporre le
uova, che forniscono il noto caviale. Nel mar Caspio vivono cinque delle
venti specie; da tre di queste (Beluga, Ossitrina, Sevruga) si ottiene
la maggior quantità del caviale mondiale. Il Beluga è il
più grande (4 metri per una tonnellata), è molto raro (non
se ne catturano più di un centinaio di esemplari l’anno),
di colore variabile dal grigio chiaro al nero ed è un pesce antichissimo.
L'Ossitrina detto è lungo al massimo 2 m per 200 kg, di colore
marrone con sfumature che vanno dal dorato al nero; il suo caviale ha
un aroma tipico, che ricorda le noci. Il Sevruga è piccolo e slanciato
(1,5 metro per 25 kg), di colore grigio scuro, è il più
piccolo e anche il suo caviale è quello di dimensioni minori. Per
ricavare il caviale, gli storioni vengono catturati con le reti, quindi
le femmine che raggiungono la loro maturità tra gli 8-12 anni sono
anestetizzate per procedere all'estrazione delle uova, mediante un processo
interamente manuale che prevede la separazione delle uova, a seconda della
loro dimensione, e la pulitura. Al termine della selezione si procede
alla salatura e al confezionamento. Il caviale è diviso in quattro
diversi livelli di qualità, che dipendono dall'uniformità
e dalla consistenza delle uova, dalle dimensioni, dal colore, dal profumo
ecc. Il meno pregiato è quello venduto in pani pressati, ricavato
utilizzando le uova che si rompono durante la lavorazione (almeno il 35%).
Il caviale, apprezzato dai buongustai per il suo aroma particolare, è
sicuramente un alimento dal prezzo molto elevato. Il più costoso
è il rarissimo Almas: confezionato in scatole d'oro a 24 carati,
arriva a un prezzo di circa 24.000 euro al kg. Andrebbe servito freddo,
appoggiato su ghiaccio in coppe di vetro e mangiato con un cucchiaino
(non d'argento, che ne altera il sapore). Bisogna poi prestare attenzione
alla conservazione: una temperatura troppo bassa del frigorifero può,
infatti, rovinarlo.
CONSORZI
COSTITUITO QUELLO DEI PRODUTTORI LATTE D’ASINA
11 settembre 2006. Vi aderisce la maggior parte degli allevatori attivi
sul territorio nazionale allo scopo di dare impulso alla produzione di
latte d’asina così da rispondere alle crescenti richieste
del mercato e garantire, in pari tempo, la tracciabilità del prodotto
nonché monitorare la consistenza delle attuali realtà e
potenzialità produttive. E’ noto che il latte di queste equine
ha proprietà molto simili a quello materno tant’è
che l’associazione dei pediatri italiani lo consiglia vivamente
soprattutto alla luce delle numerose allergie riscontrate sui neonati
(stimate in oltre 15mila casi l’anno) procurate da latti diversi.
Il neonato Consorzio ha, tra gli altri obiettivi, quello di rendere maggiormente
reperibile il prodotto a prezzi più bassi, mentre sotto il profilo
dei controlli scientifici si avvarrà dei docenti dell’Istituto
sperimentale per la zootecnia di Sicilia.
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