|
PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
]
Sommario
VINO
ITALIANI INTENDITORI
DI BACCO (IN BRICK)
ORTOFRUTTA AL DETTAGLIO
MINISTERI DA MANDARE IN ANALISI
LEGISLAZIONE
PUNTI FERMI SUL MADE IN ITALY
Cookie & Privacy Policy
VINO
ITALIANI INTENDITORI DI BACCO
(IN BRICK)
Sfogliando le patinate riviste che indicano le mode e le tendenze
più cool, per tacere delle sbrodolature che si scrivono sia su
queste pubblicazioni sia sulla catasta di libri e guide pubblicate ogni
anno che raccontano di vini, amplificate per di più da tutti i
media televisivi, lasciano immaginare che gli italiani ne siano ormai
profondi conoscitori. Gli affollati corsi per diventare sommellier non
si contano e le pagine su Internet che se ne occupano, poi, sono migliaia.
Infine l’offerta di prodotto: enorme e molto articolata. Una passione
verso Bacco trasversale che ha colpito indiscriminatamente raffinati intellettuali,
geometri e saldatori, nonché donne in carriera, casalinghe e sciampiste
in ugual misura. Insomma, da popolo (soprattutto maschile) che si infervorava
soltanto di pallone, ragazze e motori ora disquisisce con sussiegosa passione
di retrogusti, sentori, nuance, tannini e terroir. Certo, dal mitico vino
“del contadino”, che in molti casi era oggettivamente una
solenne schifezza, l’enologia nazionale ha fatto passi da gigante
e consequenzialmente la qualità del prodotto e il sapere enoico
sono cresciuti notevolmente. Pur riconoscendolo ampiamente, è però
opportuno osservare l’altra faccia della medaglia dando un’occhiata
a quali vini sono comunemente presenti tutti i giorni sulle tavole degli
italiani per rendersi conto che la realtà non corrisponde esattamente
a quanto viene sciorinato. Poiché è complicato ficcare il
naso in casa d’altri è però relativamente semplice
indagare il canale distributivo dove gli italiani acquistano oltre il
50% del vino commercializzato in Italia: la moderna distribuzione. Stupirà
quindi sapere che seppure praticamente tutte le insegne hanno (con grave
ritardo) provveduto ad organizzare il reparto dei vini in modo decente,
e in alcuni casi addirittura perfetto, il grosso del fatturato e i margini
più cospicui sono realizzati con prodotti che costano (al consumatore
finale, beninteso) tra uno e tre euro. In questa fascia di prezzo nel
2003 vi erano sugli scaffali di iper, super, hard e soft discount 2.600
referenze; nella fascia tra 3 e 5 euro le referenze erano 2.100, attualmente
sono 2.650 poiché molte cantine private e sociali sono in pesanti
difficoltà economiche e trovano più conveniente liquidare
sottocosto gli stock piuttosto che far scadere l’annata o fare magazzino.
Osservando i dati, si nota che le prime 10 referenze tra 1 e 3 euro fanno
il 45% dei volumi e le prime 500 il 95%. Altro dato concreto lo offre
la cooperativa Caviro, ovvero “Tavernello”, “Castellino”,
in brick, o come comunemente si suol dire in “cartone” e “Botte
Buona” e “Brumale” in bottiglia, che vanta un fatturato
di oltre 170 milioni di euro producendo e confezionando circa 173 milioni
di litri spendendo in pubblicità il 5% del succitato fatturato.
(In questo periodo imperversa in televisione lo spot con Federico Fazzuoli,
ex conduttore di Linea Verde, con un molto discusso finto talk show).
Come commentare? Pare che tanta gente si riempie la bocca con nomi di
grandi vini e grandi etichette ma tra le quattro mura di casa la sciacquano
con Castellino, Ronco et similia rincuorandosi con lo schiocco dello stappo…
del brick in Tetrapack, fatto con la bocca. Ed a proposito di Tetrapack
il sito “Wine News” riporta una notizia allarmante. In un
laboratorio di analisi di Ascoli Piceno è stato rintracciato l’ITX
anche nel vino contenuto appunto nei recipienti in Tetrapack. “L’ITX
(Isopropyl Thioxanthone), ossia lo stesso trovato giorni addietro nel
latte dei neonati - spiega la notizia - è un fotosintetizzatore
che avvia la polimerizzazione dell’inchiostro nei processi grafici
usati per le scritte dei contenitori oltre che dei film di plastica al
loro interno”. Cin Cin.
ORTOFRUTTA AL DETTAGLIO
MINISTERI DA MANDARE IN ANALISI
Chi scrive, proprio da questa rubrica, è stato tra i primi
a plaudire dell’applicazione dello slogan "dal produttore al
consumatore" segnatamente per i sempre più costosi prodotti
ortofrutticoli. Attività approvata con molta simpatia dal dicastero
di Alemanno, dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci)
nonché, va da sé, dalla Coldiretti. Si trattò (uso
oggi, purtroppo, il passato remoto) della facoltà da parte degli
agricoltori di vendere direttamente i propri prodotti a prezzi contenuti
parecchio inferiori a quelli dei diversi punti di vendita. Quale promemoria
ricordo che in genere questi prodotti subiscono lungo la filiera distributiva
rincari che fanno lievitare il prezzo finale sino a 15/20 volte. Dall’undici
gennaio scorso questa possibilità non esiste più. Perché?
Semplice. Il Ministero delle Attività Produttive avversando in
pratica quanto concesso dal Ministero “cugino” della Politiche
Agricole, ha emesso un decreto in bello stile burocratese che vieta i
mercatini nelle aree private da parte degli agricoltori-produttori. A
questo punto è auspicabile l’intervento di un terzo Ministero
che ponga sotto analisi i contrastanti comportamenti dei suddetti dicasteri.
Quello della Sanità: segnatamente il settore dell’igiene
mentale.
LEGISLAZIONE
PUNTI FERMI SUL MADE IN ITALY
E’ stata promulgata una sentenza definitiva che mette finalmente
un punto fermo su una problematica di grandissima importanza, auspicando
che non venga disattesa come purtroppo accade laddove oltre ai soldi c’è
il valore aggiunto dell’immagine. La Corte di Cassazione si è
pronunciata con la sentenza n. 34103/2005, stabilendo che non può
essere presentato come “made in Italy” un prodotto realizzato
all'estero per conto di un'azienda italiana. Un pronunciamento che si
allaccia all'articolo 517 del Codice penale che sanziona l'applicazione
di “segni mendaci” sui prodotti. Certo, tale sentenza vale
per le griffe del tessile, del calzaturiero, per i prodotti tecnologici
e per ogni altro manufatto ma anche, se non soprattutto, per i nostri
prodotti agroalimentari che al di la del denaro che generano sono il simbolo
più palese della nostro invidiato stile alimentare. Quindi, secondo
quanto previsto anche dall'articolo 24 del regolamento comunitario la
dicitura 'made in Italy' o il similare “prodotto in Italia”
può essere impressa solo su prodotti interamente realizzati sul
territorio nazionale o su prodotti parzialmente fabbricati all'estero
la cui ultima trasformazione sostanziale sia stata eseguita appunto in
Italia. E’ pur vero che il costo del lavoro in Italia è davvero
oneroso, come è pur vero che per una serie di ragioni sociali e
culturali non c’è più una forza lavoro capace di provvedere
alle necessità operative delle imprese che in molti casi hanno
giocoforza delocalizzato le produzioni. Tuttavia è altrettanto
giusto che un prodotto che si fregia d’essere “made in Italy”
lo sia integralmente davvero.
|
|
|