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PERCORRENDO
LA FILIERA
A cura di GIUSEPPE CREMONESI [ cremonesi.web@asa-press.com
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TENDENZE
LA TAVOLA E’ SEMPRE PIÙ EXTRADOMESTICA
Tra effettive necessità pratiche, imitazioni di usanze di altri
Paesi e forti sollecitazioni di un’offerta sempre più ampia
e articolata stanno cambiando rapidamente momenti, luoghi e modalità
di consumo di cibo e bevande.
Per gli amanti della buona tavola e della convivialità, come per
coloro che idillicamente amerebbero vedere radunati attorno al tavolo
da pranzo in orari cadenzati le proprie famiglie, così come per
i saggi nutrizionisti che predicano una alimentazione corretta e bilanciata,
per i cantori della sana cucina casalinga, per i divulgatori di ricette,
insomma per chi crede ancora che i “momenti” e i “luoghi”
per consumare cibo e bevande siano precisi punti fermi, ebbene, se non
è ancora débacle poco ci manca.
Perché la realtà sui comportamenti alimentari degli italiani
è assai diversa dalle convinzioni sostenute sino all’altrieri.
Basta guardarsi attorno nelle aree urbane come in quelle rurali per osservare
cos’è in atto e cosa e cosa succederà nei prossimi
anni. Mangiamo, mordicchiamo, pilucchiamo, sorseggiamo e tracanniamo di
tutto, ovunque e ad ogni ora del giorno. I luoghi delegati alla consumazione
di cibo e bevande stanno perdendo giorno dopo giorno la loro precisa identità
incalzati da “non luoghi” che assolvono più o meno
le stesse funzioni. Duole ammetterlo, ma per gli italiani il cibo rimane
nella sua concettualità un fattore, anzi, un valore importante,
tuttavia, come si può osservare, appunto meramente concettuale.
La società e gli stili di vita sono in continua evoluzione e consequenzialmente
anche i “momenti” per mangiare li adattiamo giocoforza alle
tempistiche dettate dalle nuove composizioni famigliari, dalle modalità
dei diversi tipi di lavoro, dal moltiplicarsi degli impegni extralavorativi
per soddisfare hobby e appagamento di fitness e quindi il “mangiare”
diventa fattore marginale. E’ destrutturato, banalizzato e assume
a volte, persino una fastidiosa obbligatorietà.
Eppure cibo e bevande rivestono una bella fetta dei nostri budget. Vediamo
qualche cifra per rendercene conto. Nel 2004 gli italiani hanno speso
per i consumi alimentari domestici 113 miliardi di euro con una proiezione
di crescita sino al 2007 del 4,1%, percentuale stimata vicinissima alla
soglia della saturazione. Non si arresta invece la spesa per i consumi
delle stesse merci assunte fuori casa che attualmente valgono circa 57
miliardi di euro ma con una proiezione di crescita del 15,8%.
Sono all’incirca 18 milioni gli italiani che dichiarano di consumare
settimanalmente alimenti fuori delle mura domestiche per un totale di
otto miliardi di atti d’acquisto (bar soprattutto, ma anche autogrill,
quickly corner, ecc) cui aggiungere altri tre miliardi di atti per pranzi
e cene private o di lavoro in ristoranti, trattorie, pizzerie, tavole
calde, wine bar, birrerie, ecc.
Tuttavia, ciò che è più rimarchevole sono gli sconvolgimenti
dei luoghi deputati per consumare colazioni, pranzi e cene: ci sono in
atto vere e proprie “invasioni di campo” . Insomma stiamo
assistendo ad un confronto-scontro tra la ristorazione propriamente detta
e bar, catering, banqueting e moderna distribuzione per accaparrarsi la
spesa del food & beverage.
Passiamone in rassegna alcuni tra i più vivaci iniziando dalla
moderna distribuzione:
- i piccoli supermercati situati nelle aree urbane ed extraurbane, detti
punti di vendita “di prossimità” si stanno specializzando
nel preparare, al momento, panini, piattini, insalatone e snack attaccando
direttamente con i loro prezzi assai più economici i normali bar;
- nei market delle grandi superfici situati generalmente vicino a complessi
direzionali o comunque luoghi dove si va a fare la spesa alimentare più
consistente, si stanno affermano i “salad bar” e i banchi
gastronomici assistiti con cibi caldi e freddi erodendo clientela alle
tavole calde o locali simili offrendo anzitutto prezzi più bassi
nonché un ventaglio di proposte assai più ampio e articolato;
- le vending machine, ossia i distributori automatici piazzati in punti
di buon affollamento (uffici, ospedali, stazioni di servizio, mezzanini
delle metropolitane, hall di sale cinematografiche e teatri) dalle quali
oltre agli scontati snack, soft drinks e beveroni vari caldi e freddi,
escono anche prodotti freschi come yogurt, frutta tal quale o in macedonia,
insalate, patatine fritte e persino, udite, udite, spaghetti e maccheroni
fumanti.
Si può aggiungere che il 29% degli intervistati da una indagine
Nielsen afferma di acquistare regolarmente qualcosa da queste macchinette
reputate “infernali” dalle generazioni passate.
Tra gli altri “non luoghi”, in questo caso davvero estemporanei,
dove vengono somministrati cibi e bevande, vanno annoverati le sedi di
party, conferenze stampa, congressi, seminari e dei cosiddetti special
event organizzati in siti inusuali: garage, capannoni industriali dimessi,
grandi scantinati, gallerie d’arte, musei, palestre, librerie, negozi
d’abbigliamento, ecc. In questi casi il fornitore della materia
prima è prevalentemente il catering che spesso propone un pacchetto
di servizi che comprende l’animazione, le luci, la musica e quant’altro
possa essere indicato dal target dei partecipanti.
In fase di sperimentazione avanzata (MacDonald’s docet) occorre
considerare inoltre la ristorazione drive in che si pensava superata ma
che pare sia riconsiderata soprattutto dai giovani disposti a mangiare
i loro sandwich e sorseggiare la loro bevanda comodamente seduti in macchina;
ciò alla luce dei prezzi sempre più elevati dei pubblici
esercizi.
Esiste un altro “non luogo” che sfugge ad ogni statistica:
la strada. Mi spiego: poiché è pressoché impossibile
registrare con un minimo di scientificità statistica la presenza
e il numero di bancarelle e auto-negozi che vendono cibo e bevande da
consumare sul posto (quindi in strada) ecco perché generalmente
non vengono registrati. Eppure noi tutti sappiamo che nei pressi di un
impianto sportivo, di una fiera, di un luogo deputato ai concerti rock
piuttosto che lungo il percorso di una corsa ciclistica (tanto per fare
degli esempi) troviamo bancarelle e baracchini che vendono porchette,
focacce, piadine, toast, panini, bevande, gelati, caffè e (pur
senza licenza) anche superalcolici. Punti di vendita mordi-e-fuggi che
tuttavia sviluppano un considerevole business. Nella maggior parte dei
casi esente da scontrini fiscali.
Questa panoramica che illustra con buona efficacia gli insediamenti dei
“non luoghi” di consumo di cibo e bevande dovrebbe essere
completata da una analisi delle nuove filosofie gastronomiche che appunto
le “invasioni di campo” menzionate comportano e sempre più
comporteranno. Ossia i notevoli cambiamenti sul piano del gusto.
DISTRIBUZIONE
OUTLET ENOICI SULLA PISTA DI LANCIO
Alla recente edizione di Vinitaly circolava la notizia che ora ha avuto
piena conferma. Entro il mese di giugno la società Web Opportunities
aprirà sull’autostrada del Brennero, uscita casello di Rovereto,
una grande market disposto su due piani a insegna “WineOutlet”.
L’idea di una sorta di spaccio aziendale, usuale per i capi d’abbigliamento
griffati, è tuttavia inedita per bottiglie di pregio che potranno
essere acquistate a prezzi accessibili grazie all’ampiezza dell’assortimento.
Infatti, a questa nuova iniziativa hanno già dato credito ben 100
aziende vitivinicole con spiccata presenza di note imprese franciacortine.
La scelta di insediamento in quest’area ne sottolinea la strategicità,
passaggio obbligato di gran parte del turismo Nordeuropeo peraltro già
abituato a sostare in quelle zone effettuando cospicui acquisti, ad esempio,
di prodotti caseari, ortofrutticoli e calzature. Le aziende vinicole che
hanno aderito a questo nuovo progetto hanno pertanto parametri confortanti
per valutare l’iniziativa che, salvo intoppi, può essere
coronata di successo. Ad integrazione del market vero e proprio che ospiterà,
secondo gli auspici di Massimo Meneghello, amministratore della società,
bottiglie di alta qualità rappresentative di gran parte dell’enologia
nazionale, ci sarà un banco mescita cosicché i clienti possano
effettuare meditati assaggi per scegliere poi i propri acquisti. Inoltre,
è previsto uno spazio dedicato per degustazioni e organizzazione
di eventi riguardanti la promozione dei vini. Prevista altresì
una zona destinata a libreria con numerosi titoli sul vino sia in libera
consultazione sia in vendita, nonché un corner shop riservato agli
accessori: bicchieri, cavatappi e altra oggettistica inerente il mondo
di Bacco. Fatturato iniziale previsto, 3 milioni di euro per assestarsi
a pieno regime attorno ai 5 milioni.
Analoga iniziativa, promossa dalla società “Italia S”
che unitamente ad un partner tedesco aprirà prossimamente nel centro
di Francoforte (altri ne sono previsti a Londra, Bruxelles, Berlino, Colonia
e Zurigo) un ampio mall denominato Italia's. Oltre ai vini, rigorosamente
italiani, verranno venduti prodotti tipici del made in Italy come salumi,
pasta, formaggi, conserve, e specialità varie. La fornitura di
questo outlet, che prevede un giro d’affari di 200mila euro mensili,
è assicurata da un certo numero di selezionate imprese italiane
medio-piccole che producono alimenti di nicchia di alta qualità.
Per ora non si parla di prezzi; è auspicabile che siano veramente
competitivi rispetto al dettaglio tradizionale altrimenti non avrebbero
senso né il termine usato né il ruolo che queste iniziative
si propongono.
CONSUMATORI
CHI SONO GLI ACQUIRENTI DELLE DOP
Sono perlopiù maschi, laureati o comunque di istruzione medio-superiore
con buona capacità d’acquisto e gli ultra 55enni. Questi
dati emergono da un sondaggio finanziato dal Mifap realizzato da Federdop
che riunisce i consorzi di tutela appunto delle Dop. Va precisato che
tale sondaggio era circoscritto all’olio d’oliva, tuttavia
si può azzardare l’estensione a tutti, o quasi, gli altri
prodotti alimentari di casa nostra contrassegnati col sigillo europeo
di protezione. Tornando all’olio, emerge che ad orientare le scelte
di acquisto degli oli Dop è la qualità seguita dall’area
di provenienza, dalla certificazione a pari merito con il prezzo. Da sottolineare
che rispetto, ad esempio, di altri prodotti, per l’olio la fedeltà
alla marca è confermata almeno dal 50% degli intervistati. Notevole,
infine, l’autocoscienza sulle proprietà salutistiche dell’extravergine
anche se solo il 60% dei consumatori conosce effettivamente le caratteristiche
intrinseche dell’olio Dop, ossia: significato del marchio, tracciabilità,
disciplinari di produzione, caratteristiche territoriali, ecc. Dal che,
come sottolinea Mauro Candeloro, presidente di Federdop, occorre che si
investa in termini di informazione e comunicazione.
LEGISLAZIONE
LA GRAPPA RESTA IN STAND BAY
La proposta di normativa in discussione a Bruxelles
per l’ottenimento di registrazione della denominazione “grappa”
nel registro delle indicazioni geografiche protette (Igp) è stata
bloccata per l’ennesima volta. In questo caso le mozioni contro
vengono dai commissari all’agricoltura estoni, polacchi, finlandesi
e svedesi che temono la concorrenza all’interno delle comunità
europea di un distillato che, a torto, viene reputato simile alla vodka
di cui questi Paesi ne sono forti produttori. In attesa di un compromesso,
che verosimilmente verrà trovato, la battaglia continua poiché
oltre che un nostro prodotto-bandiera è anche un business di circa
40 milioni di bottiglie che generano un giro d’affari di 500 milioni
di euro di cui il 12% proveniente dalle esportazioni prevalentemente verso
il mercati tedesco, austriaco ed inglese, ma con possibili (già
testate) aperture in Cina e Giappone. Ricordare qui cos’è
la grappa è operazione laboriosa, giusto però ricordare
che ha origini che risalgono al 200 a.C, che nelle diverse regioni italiane
assume nomi differenti (Branda, Fumetto, Acquavite, Filu Ferru, Raspa,
Sgnapa, ecc) e che in passato oltre a essere presente praticamente in
ogni casa come unico superalcolico è assurta negli ultimi anni,
grazie all’applicazione di illuminati distillatori all’Olimpo
della liquoristica mondiale.
PACKAGING
SHOPPER AL POMODORO
La rivista Food Packaging, specializzata appunto su tutto ciò che
riguarda il confezionamento di prodotti alimentari, informa che l’Istituto
di chimica biomolecolare del CNR di Pozzuoli ha messo a punto un nuovo
progetto che permette di ottenere shopper bag biodegradabili a partire
dagli scarti della lavorazione del pomodoro. Il programma di ricerca,
spiegano i ricercatori, ha avuto per obiettivo l'estrazione e la purificazione
di polissacaridi ottenuti dagli scarti della lavorazione del pomodoro
e la riconversione di quest'ultimi in buste di plastica biodegradabili.
Le caratteristiche chimico fisiche di questa estrazione dalle bucce del
pomodoro sono molto interessanti e consentono di sviluppare materiali
ecodegradabili di notevole importanza, come i teli impiegati in agricoltura
per la copertura delle serre e dei campi ed altri diversi pratici utilizzi
assolutamente non inquinanti tant’è che
il progetto pilota è già in corso di sperimentazione in
diverse aziende specializzate.
BUROCRAZIA
FORNI A LEGNA A RISCHIO DI SPEGNIMENTO
Nel mirino della cervellotica burocrazia ci sono i forni a legna delle
pizzerie colpevoli di emettere nell’ambiente sostanze inquinanti
manco fossero gli impianti dell’Italsider o le colonne di Tir sul
viadotto di Mestre. Siamo uno dei Paesi con la più alta dipendenza
da petrolio e dove l’impiego di energie alternative è praticamente
inesistente, ma qualcuno ha pensato di accanirsi sui piccoli forni a legna.
Capire esattamente da dove provenga questa vocazione da novelli spazzacamini
è cosa ardua; verosimilmente può essere scattata in qualche
funzionario del Ministero dell’ambiente. Comunque, prima che i pizzaioli
entrino in fibrillazione, Edi Sommariva, direttore generale della Fipe-Confcommercio
ha voluto precisare che “Proibire o impedire l’utilizzo dei
forni a legna per la cottura di pane e pizza, il cui riconoscimento deriva
proprio da questo tipo di cottura, significa andare verso un mondo di
prodotti industriali e standardizzati a tutto danno delle tradizioni agroalimentari
e delle tipicità. Ed è proprio a tutela di questa cultura
da offrire al consumatore che concordiamo con la richiesta di una deroga
per i forni a legna di ristoranti, pizzerie e panifici già così
rari”. Ricordare la differenza citata dalla saggia parabola tra
la “pagliuzza” e la “trave” nell’occhio
è, in questo caso, più che opportuno.
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