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QUALITA'
Etichette alimentari: la sede dello stabilimento necessaria per il Made
in Italy
Il commissario UE ammette che i consumatori
senza l’indicazione possono essere ingannati
La protezione del Made in Italy attraverso il ripristino obbligatorio
sulle etichette alimentari della sede dello stabilimento di produzione
raccoglie il sostegno ma anche reazioni avverse a Bruxelles. Un’interrogazione
scritta alla Commissione europea è stata presentata il 2 febbraio
dall’eurodeputata Elisabetta Gardini, per segnalare la crescente
difficoltà dei consumatori europei nell’identificare l’origine,
non solo geografica ma anche della sede produttiva – dei prodotti
commercializzati con il marchio delle catene dei supermercati (private
label). A questo aspetto si aggiunge il fenomeno delle delocalizzazioni
che le multinazionali portano avanti, senza informare i consumatori.
I cittadini rischiano così di essere ingannati
quando comprano prodotti alimentari con marchi italiani che lasciano immaginare un’origine
diversa da quella effettiva, come abbiamo segnalato in questo articolo
riportando vari esempi.
Riprendendo le dichiarazioni del Ministro delle politiche agricole
Maurizio Martina che il 17 gennaio 2015, ha manifestato l’intenzione
di notificare a Bruxelles la richiesta di mantene in etichetta l’indicazione
dello stabilimento di origine per tutelare la salute pubblica
e per prevenire le frodi, ai sensi del regolamento UE 1169/2011
(articolo 39). Gardini ha chiesto se la Commissione intenda
chiarire – nelle ‘domande e risposte su come applicare il
regolamento FIC’ – l’obbligo di indicare l’origine
quando la sua omissione possa indurre in errore i consumatori a causa
delle modalità di presentazione dei prodotti, anche in relazione
dei marchi utilizzati. Facciamo un esempio. Quando compra un
un gelato Algida, marchio affermato in Italia da oltre 70 anni, il consumatore
ha buone ragioni di credere che si tratti di un gelato italiano,
prodotto nello storico stabilimento di Caivano. Se così non
è, il consumatore ha il diritto di saperlo per poter
scegliere un gelato autenticamente italiano, preparato con latte
locale come Sammontana, realizzato a Empoli.
Il Commissario lituano Vytenis Andriukaitis il 27 febbraio ha risposto,
facendo una discreta confusione tra le informazioni obbligatorie previste
dalla legge e il diritto degli Stati membri di pretendere la
sede dello stabilimento di produzione in etichetta e le altre misure
in tema di origine dei prodotti (ai sensi del reg. UE 1169/11, art.
39.1 del successivo comma 2). La conclusione è stata che la
Commissione “non considera l’informazione sull’origine
o la provenienza come uno strumento utile né a prevenire le frodi,
né a proteggere la salute pubblica”. La risposta del
Commissario sembra quasi ‘tele-guidata’ dai portatori di interessi
contrari a quelli portati avanti dalle decine di migliaia di cittadini
che hanno aderito alle petizioni promosse da Io leggo l’Etichetta,
Great Italian Food Trade e Il Fatto Alimentare.
Il Commissario ha dovuto riconoscere che il regolamento UE 1169/11
prescrive (all’articolo 26.2.a) il dovere di indicare il paese di
origine o il luogo di provenienza dell’alimento ogni qual volta
l’omissione possa indurre in errore il consumatore sull’effettiva
origine, in relazione alle notizie che accompagnano il prodotto, l’etichetta
e il marchio commerciale oggetto di interrogazione.
Si tratta di una vittoria a metà, da cui possiamo trarre alcune conclusioni:
– il Governo italiano, se deciderà di portare avanti gli
interessi delle nostre industrie, potrà notificare alla Commissione
europea la disposizione nazionale che dal 1992 ha previsto l’obbligo
di indicare in etichetta non l’origine del prodotto ma, la sede
e l’indirizzo di produzione. Poiché è proprio questa informazione
necessaria per tutelare meglio la salute pubblica (nella gestione
dei rischi di sicurezza alimentare) e la prevenzione delle frodi
(al fine di distinguere il vero ‘Made in Italy’ dal falso
‘Italian sounding’).
– i consumatori e loro associazioni, giornalisti e autorità
di controllo hanno ragione nel pretendere che quando un alimento
commercializzato con un marchio italiano è confezionato in uno
stabilimento straniero debba riportare in etichetta quantomeno,
notizia dell’origine da un Paese diverso.
(Dario Dongo - www.ilfattoalimentare.it)
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