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FATTI E
PERSONE
Cibo che si spreca, cibo che manca, cibo che veramente ci serve
Ogni anno buttiamo quasi la metà
di tutto il cibo prodotto
La FAO, agenzia delle Nazioni Unite
che si occupa di alimentazioni, ha fatto due conti, col Food Wastage Footprint:
Impacts on Natural Resources, sulla produzione di cibo, quanto ne consumiamo,
quanto ne manca nel mondo, e quanta terra e quanta acqua e quanta aria
( coi gas serra) impieghiamo, per produrre gli alimenti che mangiamo.
O, meglio, che buttiamo: perché, ogni anno, vanno a finire nel
bidone dell’immondizia 1,3 miliardi di tonnellate di generi alimentari,
cibo prodotto e mai consumato. Quasi la metà della produzione globale.
E nella spazzatura, calcola la FAO, finiscono pure 750 miliardi di dollari,
che è il loro valore di mercato. Ogni anno. Più della metà
degli sprechi alimentari si verificano "a monte”, durante la
fase di produzione, raccolto e immagazzinamento. Il restante 46 per cento
durante la trasformazione, distribuzione e consumo. Tra il 30 il 40 per
cento di frutta, verdura, latticini e carne lo buttano i supermercati
o finisce nei rifiuti delle famiglie di Europa e USA, il 4-16 per cento
va al macero persino nei Paesi più poveri.
Ma è un circolo che non si chiude mai, quello dello speco alimentare:
malgrado la contrazione dei consumi degli ultimi anni, a causa della crisi
economica, si è calcolato che se l’intera popolazione mondiale
avesse la stessa voracità di noi europei, sarebbero necessari tre
pianeti per produrre la quantità di cibo richiesta.
E veniamo all’Italia. Secondo il Libro Nero degli sprechi alimentari
curato da Last Minute Market, 240 mila tonnellate di cibo, del valore
di oltre 1 miliardo di euro, restano invendute nei depositi dei negozi
di alimentari e nella grande distribuzione: ci si potrebbe sfamare 600.000
persone a colazione, pasto e cena, per un anno. Non è solo un problema
economico, per chi quel cibo non se lo può permettere ed è
costretto a tirare la cinghia o a mettersi in coda alla Caritas per un
pacco alimentare. E non è neppure soltanto una vergogna morale:
il ciclo della produzione industriale impatta sempre più pesantemente
sull’ambiente, sulle risorse stesse del Pianeta. Per produrre 1
caloria da carne di manzo ne occorrono 57, tra alimentazione dell’animale,
cure, terra impiegata, emissione di gas serra, lavorazione della carne,
trasporto, imballaggio, vendita al dettaglio. Per una caloria proveniente
dall’uovo, ne servono 37, per i pomodori il rapporto è 4
ad 1.
L’agroalimentare, in Italia, impiega 3 milioni e trecentomila addetti,
pesa sul PIL per l'8,7%, 119 miliardi di euro. Cifre e percentuali che
si raddoppiano, se aggiungiamo l’indotto dei produttori di mezzi
tecnici, i conto terzisti, produttori di mangimi, la distribuzione, la
ristorazione: nel loro complesso il tutto vale la ragguardevole cifra
di quasi 250 miliardi di euro, il 16% del PIL nazionale. Ma le esportazioni
alimentari italiane sono meno della metà di quelle tedesche (rispettivamente
27 e 57 miliardi di euro). E quella che gli economisti chiamano propensione
all’export, per l’Italia in questo settore è decisamente
inferiore a quella di tutti i principali competitor europei (21% per l’Italia,
23% per la Spagna, 25% per la Francia e 31% per la Germania).
Certo, i nostri prodotti sono i più imitati nel mondo, il “Parmesan”
tedesco ha fatto scuola: ma importiamo dall’estero quasi il 50%
dei cereali, il 90% delle proteine vegetali, oltre il 40% della carne
bovina, più del 30% di quella suina e del latte. Squilibrio interno
e squilibrio mondiale, con intere popolazioni costrette a rinunciare al
sostentamento tradizionale della loro pastorizia o agricoltura perché
il loro territorio serve a coltivazioni intensive e monoprodotto. Con
i frutti della terra, dell’allevamento, della trasformazione, che
non permettono più a chi li produce e li lavora di sopravvivere,
e ai consumatori più poveri di dovervi rinunciare, perché
nel frattempo, con la grande distribuzione, il prezzo è raddoppiato,
decuplicato, centuplicato. Expo 2015 e la Carta di Milano vogliono servire
proprio questo menu: il meglio della produzione dai tanti Paesi che verranno
a Milano, ma anche i problemi di produttori e consumatori, per un mondo
più equo e solidale. Anche a tavola. I prezzi della nostra frutta
e verdura sono bassi anche grazie a migliaia di nuovi schiavi sfruttati
ogni giorno nei campi. E quando non ci sono si preferisce far marcire
gli alimenti perché costerebbe troppo raccoglierli. (www.rainews.it)
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