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Usa: rinviata al 2018 l’etichettatura
con le indicazioni di cottura della carne separata meccanicamente
I consumatori statunitensi dovranno aspettare fino al 2018 prima di trovare
sulle etichette degli alimenti a base di carne separata meccanicamente
(*) indicazioni che invitano a cuocere correttamente raggiungendo
una certa temperatura al cuore del prodotto.
Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa),
il rischio di crescita microbica nella carne di pollo, tacchino o di maiale
separata meccanicamente è maggiore quando si usano alte pressioni,
perché la lavorazione provoca una maggiore distruzione delle fibre
muscolari, favorendo lo sviluppo batterico. Il sistema a bassa pressione,
invece, stressa meno le fibre e il rischio di contaminazione può
essere equiparato a quello della carne macinata. La necessità di
indicazioni più precise sull’etichetta dei prodotti
contenenti carne separata meccanicamente era stata proposta dal Dipartimento
dell’Agricoltura sin dal giugno 2013, dopo avere constatato l’abitudine
di molte persone di cuocere in modo insufficiente i prodotti, al
fine di eliminarne gli agenti patogeni. L’industria della carne
si è opposta a questa innovazione, sostenendo che le procedure
industriali garantiscono già la sicurezza.
Per entrare in vigore nel 2016, la procedura decisionale avrebbe dovuto
concludersi entro il 2014 ma il Dipartimento dell’Agricoltura ha
inviato all’ufficio competente della Casa Bianca, l’Office
of Management and Budget (OMB), la propria proposta solo il 21 novembre
e l’OMB non ha assunto alcuna delibera. Siccome queste procedure
hanno cadenza biennale, la nuova etichetta non potrà essere obbligatoria
prima del 2018.
(*) La carne separata meccanicamente si ottiene spremendo
le carcasse degli animali macellati. L’esito è una “pasta
omogenea dal colore rosa” con cartilagini e piccole ossa ridotte
in polvere miscelate ad acqua e aromi, utilizzata per i wurstel
di pollo. Si può trovare anche nei ripieni di tortellini, nei piatti
pronti a base di pollo, nelle lasagne e negli hamburger serviti nei fast
food di alcuni paesi (non in Italia).
(Beniamino Bonardi - www.ilfattoalimentare.it)

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