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VINITALY 2005
EUFORIA CONTROLLATA PER L'ITALIAN WINE
Tra gli stand della 39° edizione del Vinitaly qualche sorriso
in più rispetto alle edizioni precedenti si è notato. Merito
soprattutto della felice controtendenza riguardante le esportazioni che
nonostante le Cassandre prevedessero tracolli, il vino italiano spedito
all'estero ha guadagnato, rispetto al 2003, il 5,2% in quantità
e il 5,4% in valore con un giro d'affari superiore ai 2,8 miliardi di
euro.
Meno brillanti i risultati sul mercato interno; ci sono, è vero,
segnali di ripresa ma i numeri restano piccoli. Secondo una indagine di
Ismea-Nielsen, sulle tavole delle famiglie italiane lo scorso anno si
sono bevuti 810 milioni di litri contro gli 804 milioni dell'anno precedente
(spumanti esclusi che peraltro segnano un calo dell'11% a volume e 9,8%
a valore).
Analizzando gli acquisti nel dettaglio si osserva che la spesa globale
è stata di oltre un miliardo e mezzo di euro con un incremento
del 3%. Bene i vini da tavola, specialmente i rossi mentre i bianchi calano
del 3,5%. In calo anche Doc e Docg del 1,2% in volume ma con una crescita
in valore di oltre il 5%.
Vino caro? Parecchio dipende dai canali distributivi: sul fronte dei pubblici
esercizi (dai bar ai ristoranti, dalle pizzerie alle trattorie passando
dai wine bar) il calo dei consumi a volume valutato nell'ordine del 5%
è molto verosimilmente imputabile a ricarichi spesso assurdi, mentre
nel canale Gdo i ritmi di crescita sono stati (2003>2004) del 4% a
volume e del 5,4% a valore; dati che non lasciano dubbi sulla centralità
che questo canale ha ormai assunto per la commercializzazione del prodotto-vino.
Merito, come ho già ripetutamente ricordato anche su questo sito,
da una serie di fattori. In primis da una maggiore maturità di
una parte (anche se di una sola parte) dei produttori che hanno cessato
di demonizzare il canale ritenendolo "indegno" per i propri
vini; a seguire un netto miglioramento sia della preparazione specifica
dei buyer sia delle strutture delle catene che si sono adoperate, seppur
con colpevole ritardo, a predisporre scaffali e wine corner con una organizzazione
espositiva più adeguata grazie a layout eleganti e organici. I
reparti della maggior parte delle insegne sono ormai paragonabili a vere
e proprie enoteche in qualche caso (Esselunga) addirittura assistiti da
sommelier professionali per consigli su abbinamenti gastronomici e corrette
funzioni di conservazione e mescita. In altri termini presso la grande
distribuzione convivono oggi felicemente bottiglie di prestigiose griffe
e semplici confezioni in tetrapak offrendo così al consumatore
ampie possibilità di scelte.
Il consumatore, eh già, questo sconosciuto. In affetti poche imprese
vitivinicole investono risorse per conoscere il consumatore e il non consumatore
di vino, al contrario di quasi tutte le aziende, alimentari e non, che
indagano costantemente per individuare target mirati e guadagnare quote
di mercato. Ancestrale retaggio di una cultura contadina; al vigneron
interessa prevalentemente che il suo vino sia buono e fatto bene senza
cercare di capire chi lo beve e perché lo beve (o non lo beve).
In buona sostanza nelle maggior parte delle nostre imprese vitivinicole
il marketing è cosa misteriosa.
Eppure da una recente indagine emergono alcuni dati che meriterebbero
qualche attenzione. In prima battuta emerge che il vissuto del vino è
maiuscolamente positivo poiché offre una gratificazione sia sul
piano personale individuale sia socio-culturale. Ci sono valori ben percepiti
di edonismo, di convivialità oltre che sensoriali e organolettici.
Altro valore affatto trascurabile è che il vino viene fortemente
associato ad uno dei più eccellenti prodotti italiani stimolando
un sentimento nazionalistico di orgoglio. E ciò sebbene l'affollato
contesto competitivo con la presenza di vini di altri Paesi altrettanto
buoni e spesso più economici sia noto. Ulteriore considerazione
meritevole di riflessione è che il vino non richiama soltanto connotati
puramente maschili che proiettivamente significano, duri, virili, autoritari,
esibitivi (la capacità di reggere l'alcol, per esempio) ma la sua
simbologia si arricchisce di caratteri e di codici di femminilità
forse più sfumati ma comunque percepiti.
Insomma nel consumatore d'oggi, o meglio nell'immaginario collettivo del
consumatore di vino emergono perlopiù valenze positive a mio giudizio
non sempre opportunamente sfruttate con precisione dagli operatori del
settore. La nuova modernità del vino ha connotati che richiamano
il sapore, ma anche il sapere, la storia, la socialità, la salute,
il senso edonistico ma anche la consapevolezza di un prodotto controllato
e garantito nei processi produttivi consacrati da sigle come Doc e Docg
ritenute valide e forti.
A fronte di questo scenario sicuramente molto positivo ciò che
funge da freno per lo sviluppo dei consumi è il prezzo.
Ma questo è un altro discorso.
Giuseppe Cremonesi
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