SALUTE E BENESSERE

Skyrun Sentiero 4 Luglio dedicato a Davide Salvadori di Corteno Golgi nelle Alpi Orobiche - Effetti curiosi dell’alimentazione

Da qualche anno mi sono appassionato alla gara e all’evento: non più in età, mi accontento di guardare gli atleti con spirito sportivo e grande curiosità per gli aspetti più umani che li accompagnano singolarmente. Sono arrivato a verificare una stretta connesione tra territorio di provenienza, ambiente, alimentazione, uomo o donna che l’atleta sia.

Avevo notato come i primi classificati alla corsa e ai campionati del mondo che ho avuto modo di avvicinare in occasione della bella corsa in alta montagna nelle valli di San Antonio fossero tutti - dico “finora tutti” - caratterizzati da una felice familiarità con una alimentazione basata sull’apporto sostanziale e calorico di amidi: polenta, pasta, riso, cereali...

Unica eccezione restava la francesina - si fa per dire, un tronco di muscoli armonici - Nicole Favre: era la detentrice del record della gara femminile: assente l’anno scorso, è solo seconda dopo la Brizio quest’anno! Era quella che mangiava meno amidi..., come prevede la classica dieta asportiva francese, prima della scoperta di massa della pasta più che del riso. Manca ancora la polenta...

Nel 2005 la classifica maschile porta al primo posto Poletti (che si ripete) e il locale Adriano Salvadori è secondo per pochi secondi dopo 42 km di su e giù per le montagne di Valcamonica... La gara femminile porta al primo posto come lo scorso anno la snella e nervosa Brizio. Seconda la Favre.

Una considerazione ancora di ordine statistico: gli atleti che usano una alimentazione ricca di amidi, come del resto i contadini del sud anche italiano, quelli asiatici e sudamericani, sono snelli, con muscoli nervosi che non assumono grandi dimensioni. Sono sportivi più adatti allo sforzo prolungato che allo scatto.

Atleti e atlete più propensi alla dieta carnivora o proteica posseggono masse muscolari importanti, potenti, capaci di generare e sostenere sforzi intensi (anche prolungati a lungo?) prima di iniziare a intossicare le proprie fibre...

I neri americani, sudamericani, ambientati in continenti in cui abbondano le proteine animali sono in questo gruppo: vanno forte in pianura, forse anche sugli altopiani, ma non sul Kilimangiaro...
Etiopi e altri corrono invece come lepri i diecimila, anch’essi leggeri leggeri... ma non so nulla della loro dieta, in genere cereale dai ricordi di cultura generale e dai documentari in circolazione.

Veniamo agli Sherpa: i portatori nepalesi (da Science del 17 giugno) sono famosi per portare carichi
fino a due volte il loro peso. Julien Bourdet su Le Figaro del 7 luglio si pone alcune domande: come fanno ad essere così prestanti per un arco di vita attiva piuttosto lungo?
Bourdet ritiene che gli specialisti di fisiologia dell’Università di Lovanio siano stati capaci di dare una spiegazione scientifica del fenomeno.

I Nepalesi economizzano al massimo lo sforzo, quindi il consumo di ossigeno, il metabolismo personale: “per lo stesso carico consumano due volte meno l’ossigeno rispetto agli europei.
E’ stato misurato il consumo di O2 e la generazione di CO2 sotto sforzo di camminata senza pendenza. Hanno notato che a differenza delle donne africane abituate al trasporto di un carico sulla testa con andatura bilanciata sulle anche la loro è normale. Quindi hanno cercato altre differenze di comportamento non bastando l’andatura dinoccolata (uso “marcia”) a dare una spiegazione del fenomeno.

Le tesi restanti erano solo due: o il metabolismo tipico del nepalese è meno goloso di ossigeno, oppure le singole contrazioni muscolari sono più efficaci.

Estendo il gioco della scienza dei materiali a quelli alimentari: gli sherpa per tradizione mangiano soprattutto riso, legumi e... poca carne... Quindi si nutrono con un regime ricco in zuccheri lentamente combustibili, e povero in lipidi, che sono a combustione rapida: usano e convertono del combustibile che dura più a lungo.

All’osservazione del collega francese si aggiunge quella derivata dalla velocità di marcia, molto lenta, tanto che uno sherpa medio in opera non percorre più di un chilometro all’ora nei percorsi a tipica pendenza di quel territorio. Il loro moto è frammentato in micro soste di 45 secondi per ogni 15 di marcia: un passo al rallentatore con sosta.

Si tratta di un meccanismo tipico della ripartizione dello sforzo in una sommatoria di piccoli spazi con microrichieste di energia per ridurre dispendi inutili e critici. E’ una legge fisico meccanica che si applica in ogni meccanismo di moto: una fase di riposo susseguente a una fase di sforzo, consecutive, quasi naturalmente sincronizzate.

Una folcloristica rappresentazione è comunenmente praticata in Cina e Giappone: l’esecuzione di movimenti armonici di tuto il corpo in una evoluizione rallentata all’esasperazione che non solo tonifica il fisoco ma anche la mente collegando apparentemente materia ed intelletto.

Ricordo di avere incontrato e imparato da tanti camminatori, scalatori, montagnari che l’adottavano a inizio del secolo scorso come pratica per ascensioni sicure e che non lascino tracce critiche di stanchezza fisica e cerebrale. Anche se la ripartizione dei tempi era al rovescio, anche in sentiero di montagna camminare per 45-50 minuti e sostare per 15-10 minuti era la regola.

Nelle mie sgambettate personali in pista e in corsa anche campestre in natura era invece il ritmo la bilancia del consumo e supporto energetico. Sono sempre stato amico dei maccheroni: me la cavavo abbastanza bene tanto da non ridere a cinquantanni di distanza, ogni qualvolta vedo i progressi che vengono fatti nelle gare di mezzo fondo e di fondo oggi:, a terra e in acqua: il mio ritmo era di 3 primi per ogni mille... i grandi campioni africani viaggiano intorno ai 2,30. In acqua invece il progresso è stato molto più importante, quasi e oltre il 50%, nel cosidetto mezzofondo.

La differenza era che gli allenatori e la medicina sportiva dei tempi.. . costringevano a stare sempre leggeri di stomaco! La dieta proteica arricchita da zuccheri a rapida combustione... alla fine del percorso bloccava i muscoli - se poco allenati - con una cascata di tossine... Quindi si sono moltiplicate per fattori 4 - 5 i tempi dedicati all’allenamento sotto alimentazione strettamente controllata.

La rabbia che questo modo di fare sport non è più tanto divertente: diventa una missione robotizzata, non parliamo del piacere della tavola.

Isabelle Viandier, una mamma nizzarda, sportiva, mamma di due ragazzi di 10 e 7 anni, maestra nella creazione di eventi come portare a scalare il Kilimangiaro altre mamme “ne usciva sempre arricchita da quello che ha condiviso con gli altri, compagni o abitanti del territorio”. In questo l’amicizia a tavola era la favorita.

Anche la nuova detentrice del record del trofeo Davide, Michela Brizio, potrebbe essere testimonial
del piacere della tavola come tante altre atlete: da sane passeggiate “dinocolose” con micrososta ad ogni balzo su e giù per le montagne con la freschezza delle gazzelle per invitarci, anche alla nostra età, a una partecipazione a questo flash di intimità con la natura alpina, con il calore dell’accoglienza del territorio camuno, con una ritrovata forza: in testa potremo anche mettere il turbante degli “sherpa”, meglio... se senza carico!

Alla fine: polenta con.. oppure, vicini di valle, pizzoccheri prima, dopo e durante!

Enzo Lo Scalzo
Agorà Ambrosiana - ASA


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