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SALUTE
E BENESSERE
Pane, cracker, pasta: integrali di nome ma non di fatto.
“E doppiamente dannosi”
La maggior parte degli elementi venduti come integrali in realtà
non lo sono. E certamente non sono salutari. Da anni la legge permette
questi prodotti ingannevoli e, per giunta, più costosi di altri
Uno dei fondamenti della prevenzione
alimentare dalle “malattie del benessere”, secondo molti nutrizionisti,
consiste nell’evitare gli alimenti raffinati industrialmente, soprattutto
quelli fatti con farina 00. Come scrive Michael Pollan, questa farina
è il primo alimento industriale della storia. Ma ciò non
è affatto facile. Da tempo i prodotti meno lavorati costano di
più. Sicché non solo si deve accettare che gli alimenti
meno costosi siano quasi sempre quelli meno salutari e più raffinati,
ossia prodotti industriali con una infinità di ingredienti incomprensibili
in etichetta; ma, oltretutto, nemmeno l’etichetta aiuta. È
il caso dei prodotti etichettati come integrali e che costano più
degli altri: pane, pasta, fette biscottate, crackers, prodotti da forno,
biscotti e dolci. La maggior parte di essi è prodotta con farina
raffinata industrialmente (la cosiddetta 00) a cui viene aggiunta una
crusca devitalizzata e finemente rimacinata, ossia un residuo della lavorazione
di raffinazione. Ad esempio il “falso pane integrale” che
si trova in ogni supermercato, ha un colore chiaro (da farina raffinata
al massimo) inframmezzato da punti scuri (la crusca riaggiunta). Mentre
un autentico pane integrale ha un colore scuro e omogeneo, e un sapore
incomparabile.
“Quel finto pane integrale è il peggio del peggio”
commenta Franco Berrino, uno dei più brillanti studiosi del rapporto
fra alimentazione e tumori. “È doppiamente dannoso, in quanto
provoca l’indice glicemico alto della farina raffinata e l’effetto
dannoso della troppa crusca, che è quello di ridurre l’assorbimento
del ferro e del calcio. La farina 00 ha avuto successo, nonostante non
sia buona e non sappia di niente, perché si conserva indefinitamente:
nessuna farfallina sarebbe così stupida da andare a deporre le
uova in una farina 00, non potrebbe vivere senza nutrienti. Mentre una
farina integrale dopo alcuni mesi è rancida. Il grande vantaggio
della farina raffinata è stata la conservazione. Poi la gente si
è appassionata a mangiare le cose morbidissime che quasi non bisogna
masticare, e ormai pensa che un panino di quelli soffici sia un lusso!
Così si trova anche il paradosso assurdo del supermercato che ti
vende la farina 00 biologica. Ma come si può sciupare un grano
biologico per fare una farina 00? Se mangio la farina 00 posso prendere
anche quella non biologica, tanto i pesticidi rimangono nella parte integrale,
cioè nel germe e nella crusca, e dunque sono eliminati col processo
di raffinazione che porta alla 00”.
In pratica attraverso una molitura industriale e meccanizzata, ossia una
macinazione con cilindri metallici a superficie ruvida che ruotano in
senso opposto (l’abburattamento), si priva la farina del germe e
della crusca: quindi della maggior parte dei nutrienti. Il paradosso è
che poi se ne raggiungono alcuni, in modo e proporzioni arbitrarie: così
in America, dopo le farine con aggiunta di vitamina B, da anni si usano
quelle con aggiunta di acido folico. E oggi si ha il sospetto che tale
aggiunta di acido folico aumenti i tumori dell’intestino. Poco salutare,
oltre che ingannevole, è pure aggiungere la crusca per avere una
falsa farina integrale, aggiunta che è però consentita dalla
legge n.187 del 9 febbraio 2001: per definire un farina integrale basta
che abbia un tasso di ceneri (sali minerali inceneriti) contenuto fra
1,30 e 1,70 su cento parti di sostanza secca, oltre a un tasso minimo
di proteine. Dunque la legge è incurante del metodo di produzione
(ovvero dell’inganno ormai consolidato), oltre che dell’indice
glicemico (ovvero della nostra salute). Occorrerebbe vietare i falsi sfarinati
integrali, obbligandone l’indicazione del metodo di produzione,
cioè diretto e di grana grossa. Oppure basterebbe introdurre l’obbligo
di indicare in etichetta l’indice glicemico (e il carico glicemico),
come hanno suggerito tanti nutrizionisti, che è considerevolmente
più basso nel caso di autentici prodotti integrali. Perché
non si fa nulla?
“Produrre farina con una macinazione a pietra naturale è
molto più costoso che usare i rulli di acciaio” dice Franco
Marino, del Molino Marino, fra i non molti baluardi della farina italiana
di qualità “con la prima si fanno 200-300 kg (dipende dai
cereali) di sfarinato all’ora, mentre coi rulli si può arrivare
a 4000-4500 kg. Il punto però è la qualità della
farina. Oggi che è di moda il germe di grano, si scrive che una
cosa è prodotta con farina di germe, quando poi anche il germe
viene riaggiunto ma non più ricco di nutrienti. Non parliamo poi
della pietra, cioè della farina macinata a pietra. Quale pietra?
Non quella cosiddetta “naturale”, presa da una cava e su cui
poi il mugnaio esercita la martellatura (detta rabbigliatura), il primo
segreto del mestiere: è come affinare la lama di un coltello, in
pratica la pietra ha delle scanalature che permettono l’ottimale
macinazione del gramo senza che la pietra si scaldi e dunque che il cereale
perda troppi nutrienti. Di pietre naturali se ne trovano ormai pochissime.
La pietra più usata è quella “artificiale”,
fatta per andare più veloce nella macinazione (producendo i più)
e per non essere martellata. Questa pietra surriscalda la materia, privandola
in parte dei nutrienti, come le vitamine idrosolubili o i minerali. Per
capirci è quello che può accadere in una cattiva cottura
delle verdure. Oltre al surriscaldamento, la pietra artificiale causa
una spelatura del chicco non ottimale, in sostanza fa come un mixer o
un tritatutto, pregiudicando la qualità delle farine che poi non
assorbono giusta acqua e stentano a lievitare etc… Chiaro che tutto
parte a monte con la selezione dei grani, o con la scelta di non usare
additivi quale glutine o malto o enzimi. Ne parla qualcuno? All’estero
le farina hanno gli ingredienti in etichetta… È inutile condannare
l’industria o i rulli (che possono essere pochi o tanti), ma andrebbe
fatta chiarezza fa un tipo di prodotto e l’altro”. (www.ilfattoquotidiano.it)
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